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TRA IRAN E ABABIA SAUDITA

Perché La Mecca scatena la guerra delle scomuniche

L'hajj, il pellegrinaggio alla Mecca che rappresenta uno dei cinque pilastri dell'islam, dovrebbe unire tutti i musulmani del mondo. Ma il rito sta mettendo in risalto quest'anno la spaccatura fra le confessioni sunnita e sciita, facendo esplodere la rivalità fra Arabia Saudita e Iran. Ecco perché.

Esteri 12_09_2016
La circumambulazione della Pietra Nera a La Mecca

Per l’islam siamo nel mese dell'hajj e dal 9 al 15 settembre folle di pellegrini, provenienti da tutto il mondo, si riversano sulla città santa, La Mecca, per seguire un percorso definito minuziosamente - circumambulazione della Pietra Nera, soste, sacrifici, corse, preghiere, lancio di pietre - e assolvere così uno dei cinque pilastri della fede prescritti ad ogni fedele  musulmano.

Oltre alla shahada, la professione della propria adesione all'islam che si compie nel momento della conversione o del passaggio all’età adulta, la salat, la preghiera rituale da compiersi cinque volte al giorno, la zakat, l’elemosina legale, e il sawm, il digiuno nel mese di ramadan, l'hajj rappresenta il completamento della vita del fedele. Il pellegrinaggio ha un risvolto anche sociale perché il fedele, dopo essere stato alla Mecca per i riti previsti, può vantarsi del titolo di "pellegrino", titolo onorifico che un tempo era indicato anche nei documenti personali. Il pellegrinaggio è una metafora della vita, un viaggio verso il centro del mondo ma anche un viaggio al centro di se stessi alla scoperta del proprio intimo, profondo rapporto con Dio.

Con l'aumento esponenziale dei fedeli di religione islamica, sono cresciute anche le masse dei  pellegrini che arrivano in Arabia Saudita, e non sono pochi gli incidenti che si verificano ogni anno. Lo scorso anno centinaia di persone sono state travolte, calpestate nella calca creatasi durante l'accesso al cortile della Grande Moschea: 717 morti e  più di 800 feriti. Non è stato un caso sporadico: nel 2004 ci sono stati 70 morti sul ponte Jamarat, altri 180 nel 2008, 340 nel 1997 e ancora 270 nel 1994.  Nel 1990 in caso più grave, un incidente in un tunnel ha causato 1.426 morti.

Il 7 settembre l'ayatollah iraniano Khamenei ha rivolto al popolo sciita iraniano un caloroso discorso per la ricorrenza religiosa e ha ricordato le vittime dello scorso anno, fra cui 464 erano sciiti. In esordio ha cercato di consolare i parenti ricordando loro che i congiunti sono paragonabili ai martiri, sono deceduti mentre stavano pregando, con il pensiero, la mente rivolta a Dio, e quindi sono sicuramente stati accolti nella felicità eterna del paradiso. La parte più significativa del testo è però occasione per un duro attacco alle autorità saudite accusate di doppia colpa: la mistificazione dei dati sui morti e i feriti e l’incompetenza nella gestione dei luoghi sacri.

I Sauditi, corrotti dal troppo denaro, infeudati al potere occidentale, non sarebbero, secondo Khamenei, né capaci né degni di gestire i luoghi santi dell'islam. Si riconosce nel lungo discorso l'auto-candidatura dell'Iran a subentrare ai Sauditi nella gestione dei luoghi santi, quasi una rivendicazione di primato morale per il possesso dei luoghi che hanno visto la nascita e la morte del Profeta Mohammad. La reazione da parte saudita non si è fatta attendere. Subito è scattata la risposta di Ryad ad opera del Mufti Abdulaziz al-Sheikh che ha scritto "dobbiamo capire che loro non sono musulmani, loro sono figli dei Magi e la loro ostilità verso i musulmani è di vecchia data. Specialmente verso il popolo della Sunna, quindi, nessun diritto di lanciare accuse e di rivendicare i luoghi santi. Giovedì il governo saudita ha proibito agli iraniani il pellegrinaggio - cosa che non succedeva dagli Anni '80 - con la scusa di non poterne garantire la sicurezza e accusandoli di voler trasformare il pellegrinaggio in una contestazione politica. 

Lo scontro, in verità, risale ai primi decenni dell'islam, quando lo scontro fra il quarto Califfo Alì,  cugino e genero del profeta, e il comandante Muhawiyya, della ricca e potente famiglia degli Omayyadi meccani, capo delle truppe stanziate in Siria, causa nel 661 d.C. la divisione della comunità islamica, la umma, prima in due e poi in tre gruppi: i sunniti, gli sciiti (il termine deriva da shiat Alì cioè partito di Alì) e kharijiti. Gli sciiti hanno sempre accusato i sunniti di aver mistificato il Corano abolendo una parte significativa della nona sura (capitolo) del Corano in cui veniva insignito Alì della legittima successione, hanno elaborato nel tempo una giustificazione della sofferenza, dato origine ad una gerarchia religiosa, completamente assente nel sunnismo, etc. Hanno avuto una storia complessa: a volte cacciati, a volte accolti, sono vissuti in diverse aree geografiche  ma nel XVI secolo hanno costituito in Persia uno Stato di cui è erede l'attuale Iran. 

La loro importanza è aumentata da quando, con l’instaurazione della Repubblica dell'Iran nel 1979, dopo la cacciata di Reza Palhavi e il ritorno in patria dell’ayatollah Khomeini, rappresentano per tutto il mondo islamico un esempio di lotta vittoriosa, una esempio concreto di stato islamico secondo gli auspici del Profeta. Oggi, con le tensioni in atto nel Medio Oriente - la Siria in fiamme, la Turchia con quadro politico molto delicato e un gioco diplomatico fra Russia e Usa sempre più articolato, la lotta all'Isis non conclusa, il problema curdo, Israele con palestinesi e herzbollah (sostenuti dall'Iran) mai pacificati, etc. - a nessuno sfugge che il crescere della tensione fra Iran e Arabia Saudita può facilmente avere gravi ripercussioni su scala mondiale.