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IL CASO

Per dialogare con l'islam non si va in moschea

Archiviate le elezioni regionali dalla Francia arriva una notizia sul dialogo interreligioso, in particolare per quanto riguarda i rapporti con l'islam. Venerdì scorso, presso la comunità turca d'Auray, padre Emilie Begumira ha condotto una ventina di parrocchiani alla preghiera musulmana. Ma questa iniziativa serve davvero al dialogo?

Editoriali 17_12_2015
L'interno di una moschea

Archiviate le elezioni regionali dalla Francia arriva una notizia sul dialogo interreligioso, in particolare per quanto riguarda i rapporti con l'islam. Venerdì scorso, presso la comunità turca d'Auray, padre Emilie Begumira ha condotto una ventina di parrocchiani della chiesa di Saint-Gildas alla preghiera musulmana. «Noi crediamo nello stesso Dio», avrebbe detto il parroco secondo quanto riporta il quotidiano d'oltralpe Le Télégramme. Si è trattato di un gesto per mettere da parte ogni violenza in nome della religione, maturato dopo i tragici fatti di Parigi dello scorso 13 novembre. I fedeli cattolici guidati dal loro parroco hanno così partecipato alla preghiera e alla predicazione dell'Imam Fatik Ozturk.

«L'islam», avrebbe detto Ozturk durante l'incontro, «è una religione di pace e di amore, che non riconosce i crimini e le uccisioni. Il Corano respinge criminalità e il terrorismo. Sostiene invece che la vita è un impegno sacro. (...) E 'nostro dovere imparare i veri valori dell'Islam per i nostri figli». In precedenza padre Begumira aveva detto che «la nostra religione non è la stessa, ma d'altra parte abbiamo molto in comune, come la fraternità e l'amore del prossimo. E soprattutto crediamo nello stesso Dio». L'obiettivo per tutti, secondo il parroco, è quello di essere impegnati nella costruzione di una «nuova umanità». É chiaro che il dialogo interreligioso è importante, mentre appare discutibile la scelta di “pregare insieme” e affermare che «crediamo nello stesso Dio». I musulmani, come si sa, adorano un Dio unico, ma non si può certo dire con leggerezza che sia«lo stesso Dio» dei cristiani.

Questa confusione non favorisce un dialogo autentico, mentre genera spesso facile sincretismo. La differenza tra la confessione cristiana, che confessa l’unità e la Trinità di Dio, e la confessione musulmana che non riconosce il mistero trinitario, è rilevante. Padre Samir Khalil Samir, gesuita nato in Egitto, vissuto in Libano, professore all’Université Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma, in un intervento che risale al lontano aprile 2006, parlava della necessità di instaurare un dialogo con l'islam non di tipo teologico-religioso, ma «un dialogo di culture e di civiltà». Lo scriveva ricordando il pensiero di Benedetto XVI, per il quale il dialogo autentico può instaurarsi a partire dal terreno comune della razionalità.

Il Logos, diceva il cardinale Joseph Ratzinger a Galli della Loggia nel 2004, «è comunicabile perché appartiene alla nostra comune natura umana e c’è un dovere di comunicare da parte di chi ha trovato un tesoro di verità e amore. La razionalità era quindi postulato e condizione del cristianesimo, che rimane un’eredità europea per confrontarci in modo pacifico e positivo, sia con l’islam, sia con le grandi religioni asiatiche». Il problema è che l'Occidente pare aver smarrito la strada di quella razionalità capace di autentico dialogo, ripiegandosi su di una ragione positivistica che «riduce i grandi valori del nostro essere alla soggettività».

Iniziative come quella di padre Begumira, per quanto animate da buone intenzioni, non sembrano favorire un recupero di quella razionalità “ampia” di cui parlava Ratzinger a Ratisbona. La domanda, laica, a cui dovremmo rispondere è un'altra: siamo ancora capaci di proporre un dialogo che origini da una visione realista della persona e della dignità umana?