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CRISI POLITICA

Pd e Pdl, lotte di potere in corso

Nel Pd funziona a pieno regime la "macchina del fango" contro Matteo Renzi. Il quale punta al suo carisma, ma non svela un programma diverso da quello dei suoi avversari. Nel Pdl, invece, la lotta fra falchi e colombe è appena iniziata. Tanti, troppi personalismi, ma chi pensa al Paese?

Politica 16_10_2013
Matteo Renzi

All’indomani del rinnovato voto di fiducia al governo Letta, si era fatta strada la speranza che finalmente i partiti potessero sostenere l’esecutivo senza fibrillazioni interne, mettendo da parte calcoli di convenienza e chiacchiericci da ballatoio. E invece, proprio mentre il Presidente del Consiglio e i suoi ministri sono impegnati nel delicato compito di approntare una problematica legge di stabilità, all’interno di Pd e Pdl prevalgono le spinte centrifughe e i personalismi.

L’approssimarsi della scadenza dell’8 dicembre sta provocando un vero terremoto nel Pd. Nessuno ha sin qui capito in cosa si differenzino i programmi dei 4 candidati alla segreteria (Renzi, superfavorito, Cuperlo, Civati, Pittella). Si è ormai capito che è una pura guerra di potere per il potere, contrassegnata, come al solito, da un ipocrisie e vecchi dissapori tra la nomenclatura storica pidiessina e i renziani, considerati un male necessario per tentare di vincere le prossime competizioni elettorali, ma vissuti come corpi estranei al partito. E c’è da scommettere che un minuto dopo la vittoria (scontata) del sindaco di Firenze contro i tre sfidanti, partiranno i ricorsi, le accuse di brogli, le sterili rivendicazioni, i fendenti velenosi all’indirizzo del vincitore, che ha ottenuto la libera partecipazione di tutti, anche dei non iscritti, alle primarie, mentre la vecchia guardia avrebbe preferito limitare la consultazione ai soli iscritti.

Quanto riportato ieri dal Corriere della Sera a proposito delle divisioni interne al Pd è qualcosa di raccapricciante, di molto più degradante dalla cosiddetta “macchina del fango”, imputata ad alcuni giornali del centro-destra e invece usata, indifferentemente, dalla destra e dalla sinistra per demonizzare e delegittimare i rispettivi nemici. Alcuni esponenti politici dell’area bersaniana avrebbero inviato sms e messaggi a giornalisti amici per invitarli a scavare nel passato di Matteo Renzi, lasciando intendere che, facendolo, avrebbero trovato qualcosa di sorprendente e di ampiamente “notiziabile”. Sempre ieri, sull’Unità, Roberto Zaccaria, giurista e docente universitario, già parlamentare del Pd, si è lamentato della sovraesposizione mediatica di Renzi rispetto agli altri candidati alla segreteria e ha invocato il rispetto della par condicio anche attraverso un intervento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Il sindaco di Firenze mostra di avere una strategia ben precisa: allargare il perimetro del consenso del suo partito, facendo concorrenza ai grillini sul terreno del populismo (vedi presa di posizione anti-Napolitano su amnistia e indulto, gradita anche alla base del Pd) e alla destra sul versante dei valori liberali (critiche allo statalismo con cui sono state gestite molte grandi imprese nazionali). Il problema, però, è che tutto ruota attorno alla sua persona e che non esiste una vera proposta politica che differenzi il programma renziano da quello degli altri candidati alle primarie. Sembra scomparsa la politica con la P maiuscola, quella che si occupa della gente, che indica soluzioni ai problemi, che ha il coraggio di prendere posizioni chiare sui temi di maggior respiro, non ultimi quelli etici.

C’è da scommettere che gli elettori del Pd voteranno l’8 dicembre sulla base del carisma del rottamatore piuttosto che delle sue proposte (che nessuno conosce). E Renzi, per restare in sella alla guida del Pd, non potrà che usare gli stessi metodi usati dai suoi predecessori e dai suoi attuali nemici di partito, altrimenti durerà poco. Le enormi e sproporzionate aspettative che circondano la sua persona sono destinate a rimanere deluse perché, come insegna il precedente di Veltroni, non basta invocare rinnovamento e farsene interpreti, ma occorre anche la capacità di mediare e fare sintesi tra le differenti tradizioni presenti nel Pd.

E nel Pdl-Forza Italia il termometro dello scontro interno è ugualmente in salita. La “tregua armata” tra falchi e colombe, tra lealisti e governativi, sembra destinata a sfociare in una scissione. Anche qui non esiste una differenziazione sui problemi, sui temi cruciali per il futuro del Paese, sui programmi politici per l’Italia, bensì solo invincibili odi interni e personalismi finalizzati a occupare spazi nel partito, aspettando il dopo-Berlusconi. Non crediamo che Fitto e Alfano abbiano una visione diversa del centro-destra, né che i ministri del Pdl la pensino diversamente dalle pitonesse, da Verdini e da Capezzone sulla legge di stabilità o sulla giustizia. Semplicemente sono prigionieri di gelosie, animosità, smania di potere, desiderio di eliminazione degli avversari interni, con mezzi leciti e meno leciti. Risibile invocare un congresso in queste condizioni, visto che in vent’anni il maggiore partito del centro-destra non ne ha mai organizzato uno, se non quello costitutivo. Risibile invocare regole interne che non ci sono mai state, visto che l’unico metodo di selezione della classe dirigente è stata la cooptazione secondo criteri a dir poco discutibili. In molte Regioni i coordinatori regionali ricoprono anche incarichi importanti nelle istituzioni, il che impedisce loro di occuparsi del partito e di alimentare un dialogo con gli iscritti. Quando si eclisserà definitivamente l’astro berlusconiano, tutti questi nodi verranno al pettine e ci sarà la disintegrazione. Secondo alcuni sarà quello il momento per la nascita di un nuovo centro-destra più europeo e più democratico al suo interno.

Nel frattempo verrebbe da chiedere a Pd e Pdl chi pensi davvero ai problemi del Paese, ai lavoratori, ai pensionati, agli studenti, a quanti si impegnano quotidianamente per il proprio Paese e vedono che i loro politici di riferimento continuano a dare il cattivo esempio.