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Ognissanti, uno scrigno di tesori

Gli Umiliati posero la prima pietra della loro chiesa a Firenze accanto alla quale eressero un convento. Da Giotto a Ghirlandaio, passando per Botticelli: uno scrigno di tesori.

Cultura 28_10_2017

Ad honorem sanctorum omnium, ovvero in onore di tutti i Santi, nel 1251 gli Umiliati posero la prima pietra della loro chiesa a Firenze accanto alla quale eressero un convento che divenne fin da subito un importante centro di lavorazione della lana, così fiorente da potersi permettere già all’inizio del Trecento il coinvolgimento, nell’impianto decorativo, del maestro più prestigioso di quegli anni: Giotto.

E anche quando all’ordine degli Umiliati, ormai soppresso, subentrarono nel governo di questo cenobio i Francescani Minori Osservanti, non cessarono gli interventi di ristrutturazione e abbellimento della chiesa, nel 1582 riconsacrata e definitivamente intitolata a San Salvatore di Ognissanti. Il risultato fu un edificio piuttosto sontuoso, in contrasto con la consueta sobrietà francescana.

Il prospetto principale, rifatto in stile barocco fiorentino, si contrappone alla semplice struttura dell’originario campanile duecentesco che si slancia al suo fianco. La facciata, in marmo travertino, consta di due ordini tripartiti da lesene ed è movimentata da nicchie e da variegate cornici. Nella lunetta sopra l’ingresso principale, una cinquecentesca terracotta invetriata di Benedetto Buglioni, che rappresenta l’Incoronazione della Vergine, accoglie i fedeli. 

L’unica navata interna si apre, a est, in un profondo transetto e, sui lati, in edicole di pietra serena che proteggono, ciascuna, un altare. Lungo la parete destra, un giovanissimo Domenico Ghirlandaio affrescò per la famiglia Vespucci la cappella funeraria realizzando una Deposizione e una Madonna della Misericordia che apre il Suo manto per accogliere i committenti. E ancora il Ghirlandaio, sempre per i Vespucci, dipinse la celebre figura di San Girolamo nello studio, tra libri e cartigli in greco ed ebraico che rimandano alla sua traduzione della Bibbia, la Vulgata, con lo sguardo intenso rivolto verso l’osservatore. L’affresco era abbinato all’immagine di un altro dottore della Chiesa, Sant’Agostino, rappresentato con grande cura per i dettagli, contemporaneamente, dal giovane Sandro Botticelli. Entrambi i dipinti, un tempo posizionati ai lati del coro  originale, poi distrutto, si affrontano oggi lungo la navata.

A Giotto di Bondone, che per Ognissanti dipinse la celeberrima Maestà, non più in loco, si deve il grande Crocefisso custodito nel transetto sinistro. Sulla tavola polilobata, il corpo scarno e allungato del Cristo mostra il Suo volto umano, terreno. L’elemento divino è, invece, suggerito dai preziosi e costosi colori utilizzati: l’oro nell’aureola e il blu oltremare del lapislazzulo nei bracci della croce ai cui estremi si trovano i due dolenti, Maria e Giovanni, ritratti a mezzo busto.

All’inizio del Seicento Jacopo Ligozzi e Giovanni di San Giovanni furono incaricati dai frati di dipingere nel Chiostro Grande le storie di San Francesco, per ribadire il parallelismo tra il Cristo e il loro Santo. Da qui si può accedere all’antico refettorio del convento, ora divenuto ambiente museale, sulla cui ampia parete Domenico Ghirlandaio affrescò la sua famosa Ultima Cena.