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VERSIONE POLITICALLY CORRECT DEL MARTIRIO

Non facciamo di don Santoro una macchietta

L'assassino del sacerdote ucciso nel 2006 in Turchia è uscito dal carcere e ha raccontato di avergli sparato perché voleva battezzare alcuni musulmani. Ma le agenzie cattoliche si sono affrettate a "smentire" la versione, accertata dalla verità processuale. Il vizietto cattolico di apparire portatori di un proselitismo che altro non è che evangelizzazione. 

Libertà religiosa 24_01_2017
Don Andrea Santoro

Nel 2006 l’assassino turco di don Andrea Santoro aveva sedici anni. Fu condannato a quasi vent’anni di galera ed è stato rimesso in libertà nello scorso agosto. Cioè, dieci anni gli sono stati condonati. Eh, le carceri turche non sono più quella di un tempo. Ricordate il film Fuga di Mezzanotte di Alan Parker? Fu premiato nel 1978 con l’Oscar alla colonna sonora (Giorgio Moroder) ed era tratto da una storia vera. Descrive un sistema giudiziario-carcerario da incubo in un Paese a quel tempo laico, membro della Nato e antemurale dell’Occidente contro l’Urss.

Eppure, il protagonista della storia (vera, ribadiamo) ebbe modo di constatare che i turchi facevano fatica a liberarsi da millenarie abitudini e che l’unico modo di assicurarsi una giustizia equa era quello di scappare. Oggi, l’islamismo incipiente non fa ben sperare rispetto al tema e, se tanto ci dà tanto, la situazione nelle carceri turche potrebbe essere anche peggiore di quella del 1978. Eppure a un assassino confesso è stata dimezzata la pena. Anzi, tutto fa supporre che, nella Turchia che scivola nell’islamismo, a Oguzhan Akdin sia stato riservato un trattamento di tutto riguardo quale «eroe dell’islam». Il giovane ha adesso solo ventisei anni e c’è da giurare che farà strada. Chi muore giace, dice il proverbio.

Subito intervistato dal quotidiano locale «Karadeniz» l’Akdin ha raccontato come si sono svolti i fatti. Le agenzie italiane dicono «secondo lui», ma non si vede il motivo per cui l’Akdin debba sbugiardare una sentenza scritta, visto che da quelle parti si scherza poco e un premier può destituire magistrati quando e come vuole. Oguzhan Akdin il 5 febbraio 2006 si arma di pistola e va a trovare a Trabzon (l’antica Trebisonda) il parroco don Andrea Santoro, colpevole di avere intenzione di battezzare alcuni giovani musulmani. La discussione trascende e a un certo punto il prete afferma che «il cristianesimo è l’unica vera religione» e che un giorno tutti i turchi si convertiranno al cristianesimo.

Il sedicenne non ci vede più dagli occhi ed esplode due colpi che uccidono il sacerdote; spara gridando che l’unica vera religione è l’islam. Ora, le agenzie (italiane) si affrettano a dire che questa versione dei fatti è inattendibile. Perché? Perché don Santoro non può essere accusato di «proselitismo». Il quale, com’è noto, è la bestia nera dell’attuale papa. Il gesuita Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, nel decennale dell’omicidio così si era espresso con l’agenzia Fides: «Don Andrea con il suo approccio aiutava a capirsi e a disarmare le logiche del muro contro muro. Per questo la sua figura di missionario e uomo del dialogo è attualissima». Stile opportunamente diplomatico in un luogo dove il fanatismo avanza a grandi passi.

Dice l’agenzia Zenit: «Il racconto fornito dall’assassino si configura come un ennesimo atto di offesa nei confronti della figura di don Santoro, che ha testimoniato con la sua vita di sacerdote, fino alla fine, anche l’amore per i musulmani e l’assoluta estraneità rispetto a progetti di “proselitismo” organizzato». Facciamo, tuttavia, fatica a capire in che cosa possano consistere i «progetti di proselitismo organizzato». A Milano, per esempio, in una via molto frequentata sta parcheggiato da mesi un autobus con sopra scritto «Gesù ti ama» e alcuni offrono volantini. Nella vicina piazza c’è un gazebo di Bibbie e altro volantinaggio. Talvolta, più in là, c’è un banchetto di Scientology. Questi sono gli unici esempi che mi vengono in mente. Ma, con tutta franchezza, non ci vedo niente di male.

E’ probabile che un tipo di proselitismo un po’ più aggressivo si possa riscontrare in Sudamerica, o negli stessi Stati Uniti, dove i telepredicatori imperversano. Ma, ripeto, non riesco a vedere la nocività di tali espressioni. Nessuno ci ha ancora fatto il bene di spiegarci una buona volta in che cosa consiste la differenza tra missionarietà, apostolato e proselitismo. Se è una questione di parole, basta dirlo. Ma si rischia la caduta nel clerically correct, come faceva il prete che guidava me e il gruppetto a cui ero aggregato in visita in Terrasanta: quando parlava, citava sempre «i nostri fratelli ebrei» e «i nostri fratelli musulmani». Solo, che quando ci udì recitare in coro il rosario in latino, smettemmo di essere «fratelli» noi, e da allora non nascose il suo fastidio nei nostri confronti. Ma forse per «proselitismo» si deve intendere l’atteggiamento alla Adkin: se non ti converti ti sparo; se converti altri ti sparo; se osi discutere il mio credo ti sparo. Forse è questo il «proselitismo» odiato da papa Francesco. Se così, siamo d’accordo.