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CONTINENTE NERO

Nigeria e Senegal al voto, instabili democrazie

Nel fine settimana due Stati africani, Nigeria e Senegal, sono andati alle urne. I nigeriani hanno votato in ritardo di una settimana, per scegliere fra due candidati musulmani. Tensione e almeno 16 morti nel corso delle votazioni. Più tranquillo il voto in Senegal, ma il candidato sfavorito, Wade, invita a boicottare il voto

Esteri 25_02_2019
Scrutinio dei voti in Nigeria

Nel fine settimana appena trascorso due Stati africani, Nigeria e Senegal, sono andati alle urne. I nigeriani hanno votato sabato, con una settimana di ritardo rispetto alla data prevista, il 16 febbraio. (Nigeria alla prova del voto, la scelta tra due musulmani). La Commissione elettorale aveva sospeso il voto cinque ore prima dell’apertura dei seggi adducendo motivi tecnici e logistici. Solo allora, a quanto pare, si era resa conto di non poter garantire un voto regolare e corretto: ad esempio, perché gran parte del materiale elettorale non era stato recapitato, perché nelle settimane precedenti l’incendio, sicuramente doloso, di diverse sedi della Commissione stessa aveva distrutto schede, urne, dispositivi di calcolo e trasmissione dei dati, perché non sarebbero stato possibile aprire dei seggi per mancanza di personale, perché nei campi profughi, soprattutto in quelli del nord est che ospitano decine di migliaia di persone fuggite dai territori minacciati dai jihadisti Boko Haram, non erano stati allestiti dei seggi né era stato previsto il trasporto a casa di almeno una parte degli sfollati affinché potessero votare.

Il 22 febbraio, a poche ore dall’inizio delle operazioni di voto, la Commissione elettorale ha annunciato, nel corso di una conferenza stampa, di aver “già” consegnato 72,8 milioni di schede, pari all’86,6% del totale (i nigeriani aventi diritto al voto sono 86 milioni), e di aver organizzato dei convogli per consentire a decine di migliaia di profughi di raggiungere le località nelle cui liste elettorali erano registrati. Tutto era pronto, ha assicurato.

Benché nel complesso la giornata sia trascorsa senza incidenti in gran parte del paese, tuttavia problemi e incidenti non sono mancati. I seggi dovevano aprire alle 8.00 e chiudere alle 14.00, ora locale. Ma alle 10.00 ne erano stati aperti solo il 68%. Moltissimi perciò in tutto il paese hanno dovuto rimandare la chiusura per permettere di votare a lunghe code di persone in attesa. Questo non è bastato e diverse postazioni elettorali hanno riaperto il giorno successivo: tutte quelle che hanno dovuto interrompere i lavori perché oggetto di atti vandalici e di violenza e quelle in cui qualcosa nei dispositivi di voto non ha funzionato. I problemi più gravi si sono verificati nel nord est dove si sono registrati alcuni attacchi di miliziani jihadisti Boko Haram. Numerosi sono stati anche i casi di intimidazione degli elettori e i tentativi di danneggiare o rubare le urne, soprattutto negli stati meridionali di Rivers, Lagos e Anambra. Secondo fonti giornalistiche locali ci sarebbero anche 16 morti, mentre l’agenzia di stampa Reuters ne dichiara 35. Tra le vittime c’è anche un importante membro dell’Apc, il partito di governo.  

Inoltre gli osservatori elettorali hanno segnalato in tutto il paese innumerevoli casi di voti acquistati: elettori che all’uscita dei seggi ricevevano somme di denaro, persone che dopo aver votato aggiungevano i loro nomi a liste di elettori che un candidato o il rappresentante di un partito si impegnava a ricompensare. In Nigeria, come nel resto del continente, che i principali partiti acquistino voti per i loro candidati è la norma. Quei voti non saranno annullati. Per finire, per motivi di sicurezza e per contrattempi di varia natura 8.500 seggi su 120.000 non hanno potuto aprire. La Commissione elettorale ha dichiarato che gli elettori iscritti voteranno in seguito, senza precisare quando. 

I principali centri di raccolta dei dati hanno aperto nella capitale Abuja nella sera di sabato, ma i risultati definitivi non si avranno prima di 48 ore, nel migliore dei casi. Per vincere al primo turno i candidati devono ottenere almeno un quarto dei voti in due terzi dei 36 stati della federazione e nella capitale. I due candidati favoriti, il presidente in carica Muhammadu Buhari, leader dell’Apc, All progressive congress, e Atiku Abubakar, un uomo d’affari, entrambi musulmani, hanno concentrato la loro campagna elettorale sui problemi economici e sulla lotta alla corruzione. La Nigeria si sta riprendendo con difficoltà dalla recessione del 2016, la prima in 25 anni. Circa un quarto della popolazione in età di lavoro è disoccupata e il costo della vita sta rapidamente crescendo: a gennaio l’inflazione ha raggiunto l’11.7%. 

Quanto al Senegal, dove si è votato solo per eleggere il capo dello stato, il candidato favorito è il presidente in carica, Macki Sall, leader dell’Alleanza per la repubblica. Dall’indipendenza, ottenuta nel 1960, non si sono verificati colpi di stato e la transizione politica nelle ultime due elezioni è stata del tutto pacifica. Il Senegal pertanto è considerato uno dei paesi più stabili del continente dal punto di vista politico e può vantare anche ottime performance economiche. Ma i seggi si sono aperti domenica 24 in un clima di tensione perché i due principali leader dell’opposizione sono stati esclusi dalla Commissione elettorale, entrambi con accuse di corruzione. Si tratta del popolare ex sindaco della capitale Dakar, Khalifa Sall, e di Karim Wade, figlio dell’ex presidente Abdoulaye Wade sconfitto da Macki Sall nel 2012. Di conseguenza né il Partito socialista né il Partito democratico senegalese, che hanno dominato la scena politica del paese dall’indipendenza, hanno dei candidati. I seggi si sono aperti alle 8.00 e sono stati chiusi alle 18.00, ora locale, per circa 6,5 milioni di elettori. Molti senegalesi emigrati all’estero hanno potuto votare. Alcuni seggi sono stati allestiti anche in Italia.

Abdoulaye Wade ha invitato gli elettori a boicottare il voto, attaccare i seggi, bruciare le schede elettorali. Sostiene che il risultato è deciso in partenza, in favore di Sall. Sono molti in Senegal a pensarla come lui.