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IL PARADISO RITROVATO/ 9

Nel Cielo del Sole brilla una luce per tutti gli uomini

Dante struttura le cantiche con perfezione, equilibrio, armonia, infittendo i canti di significazioni numeriche e simboliche. Potremmo chiederci se anche i santi siano stati collocati nel Paradiso secondo un ordine prestabilito. Come nell’XI canto dove incontriamo san Francesco, uno dei santi principali dell’intera storia della Chiesa.

Cultura 19_07_2015
Dante Alighieri

Dante struttura le cantiche con perfezione, equilibrio, armonia, infittendo i canti di significazioni numeriche e simboliche. Niente appare casuale. Abbiamo già riscontrato nel percorso sull’Inferno e sul Purgatorio alcuni richiami particolari. Uno su tutti: il canto L della Commedia, che è quello centrale e coincide  con il XVI del Purgatorio, mette a tema i fattori principali della natura umana e l’importanza fondamentale della libertà. Potremmo chiederci se anche i santi siano stati collocati nel Paradiso secondo un ordine prestabilito, ricercando la loro ubicazione. 

Se dividessimo la terza cantica in tre parti, riscontreremmo la presenza di figure basilari nel canto iniziale e conclusivo di ciascuna. Vi è come un percorso cronologico che dall’epoca contemporanea a Dante ritorna indietro nel tempo fino al momento dell’incarnazione. Potremmo parlare di una prospettiva temporale retrograda. Nel primo canto troneggia la figura di Beatrice, colei che ha permesso al poeta di incontrare Cristo, mentre nell’XI canto (che conclude il primo terzo della cantica) incontriamo san Francesco, uno dei santi principali del Duecento e dell’intera storia della Chiesa. La seconda parte si apre con san Domenico (canto XII), santo ancora del XIII secolo e si conclude con san Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale nel VI secolo (canto XXII). L’ultima parte introduce il trionfo di Cristo (canto XXIII) e attraverso l’incontro con grandi apostoli (tra cui san Pietro, san Giacomo, san Giovanni) conduce fino alla Madonna che con il suo «sì» ha permesso l’incarnazione rendendosi così corredentrice dell’umanità e, infine, alla visione della Trinità. Dai santi contemporanei si passa così gradualmente a quel momento nel tempo in cui il Mistero facendosi carne umana ha mostrato all’uomo il modello da seguire (Gesù Cristo) per il proprio compimento: da allora ogni uomo è chiamato alla santità. 

Siamo allora giunti al canto XI: nel quarto cielo, il Sole, troviamo gli spiriti sapienti. Dante vede una prima corona circolare composta da anime sfavillanti, tra le quali prende la parola san Tommaso d’Aquino, il maggiore filosofo cristiano del Medioevo. Questi si presenta come appartenente all’ordine domenicano, nel quale «ben s’impingua se non si vaneggia», ovvero «ci si arricchisce di beni spirituali se non ci si allontana dalla regola impartita». Alla corona appartengono tra gli altri anche Alberto Magno (maestro di san Tommaso), Pietro Lombardo, Dionigi l’Areopagita, Boezio. A un certo punto la corona inizia a muoversi e a girare con un’armonia così bella che non può essere intesa se non da coloro che si trovano già in Paradiso. Poi, avendo colto i dubbi di Dante sorti quando ha pronunciato le espressioni «u’ ben s’impingua se non si vaneggia» e «Non nacque il secondo», san Tommaso inizia un lungo monologo per sciogliere le nubi che gravano sul capo del Fiorentino. Era consuetudine nel Medioevo che durante le celebrazioni degli ordini mendicanti un domenicano esaltasse il fondatore dei francescani (san Francesco) e un francescano mettesse in risalto i pregi del fondatore dei domenicani (san Domenico). Per questo è san Tommaso a introdurre la figura del grande santo assisiate, così come in maniera speculare nel canto successivo (il XII) sarà un francescano, san Bonaventura da Bagnoregio, a presentare san Domenico.

San Tommaso in un’efficace prolusione spiega che la provvidenza, che governa il mondo con una saggezza che non può essere compresa dall’uomo, ha scelto due capi che fossero da guida alla chiesa, perché questa si dirigesse verso il suo sposo, Gesù Cristo: «L’un fu tutto serafico in ardore;/ l’altro per sapienza in terra fue/ di cherubica luce uno splendore» ovvero uno (san Francesco) fu ardente di carità come gli angeli serafini, mentre l’altro (san Tommaso) risplendette per sapienza come i cherubini. San Tommaso si soffermerà soltanto sul primo, perché esaltando lui si esaltano tutti e due i fondatori, che non operarono per la propria gloria, ma per la gloria di Dio.  Vediamo prima una breve scheda biografica prima di considerare come la figura è stata presentata da san Tommaso.

Nato nel 1181 (o 1182) ad Assisi, figlio di Pietro di Bernardone, mercante di tessuti con la Francia, Francesco cresce affascinato dai cavalieri che conosce attraverso la lettura dei romanzi d’Oltralpe. Perceval e Lancillotto sono solo alcuni esempi che sono per lui il modello ideale a cui vorrebbe assomigliare. Così, solo ventenne, partecipa alla guerra che vedeva contrapposta Assisi a Perugia e viene imprigionato. Più tardi, nel 1204, tenta di raggiungere Gualtieri III di Brienne per unirsi alla crociata, ma si ammala nei pressi di Spoleto. Un’ennesima sconfitta per uno come lui che intendeva eccellere nel campo delle armi. Sono tutti episodi estremamente significativi nel percorso di conversione. Nel 1205, partito per Roma per ottemperare a compiti assegnatigli dal padre, dona parte dei beni ai poveri. Poi, sulla strada di casa, incontrando un lebbroso, lo abbraccia e lo bacia, riconoscendo in lui il volto di Gesù. Nello stesso anno sente il crocifisso della chiesa di san Damiano rivolgersi a lui: «Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».

Nel 1206, di fronte al vescovo, autorità religiosa e civile, dinanzi al padre e alla cittadinanza, Francesco rinuncia all’eredità paterna, lascia tutte le sue sostanze e inizia una vita nuova, tra la predicazione del Vangelo e la mendicanza. In poco tempo molti diventano i suoi seguaci tanto che nel 1209 si reca a Roma per chiedere l’approvazione orale della Regola da papa Innocenzo III. Al 1223, anno dell’approvazione scritta della regola da parte di papa Onorio III, risale secondo la tradizione anche il primo presepe a Greccio. Nel 1224 alla Verna Francesco riceve le stigmate, portando così la sofferenza di Cristo in croce. È l’anno in cui Francesco compone il «Cantico delle creature», considerato il primo testo della letteratura italiana. Il 3 ottobre 1226 Francesco ritorna al Cielo. È sera, per questo il dies natalis, il giorno di nascita alla vita eterna, quello in cui si celebra il santo, è il 4 ottobre.

San Tommaso ci presenta con precisione il luogo di nascita del santo: «Intra Tupino e l’acqua che discende/ del colle eletto dal beato Ubaldo,/ fertile costa d’alto monte pende,/ onde Perugia sente freddo e caldo/ da Porta Sole; e di rietro le piange/ per grave giogo Nocera con Gualdo./ Di questa costa, là dov’ella frange/ più sua rattezza, nacque al mondo un sole,/ come fa questo tal volta di Gange./ Però chi d’esso loco fa parole,/ non dica Ascesi, ché direbbe corto,/ ma Oriente, se proprio dir vuole». Tra i fiumi Topino e il Chiascio, proprio là dove il Monte Subasio è meno ripido, sorge il paese di Assisi da cui nacque per il mondo un sole. Per questo sarebbe opportuno ribattezzare quel luogo con il nome di «Oriente», non più «ascesi». Se i nomina sunt consequentia rerum, ovvero i nomi sono conseguenza della natura delle cose, allora l’espressione più adeguata per definire quella città non è più ascesi/salita, ma oriente/luogo dove sorge il Sole.

Dante ci sta comunicando l’analogia tra san Francesco e Gesù, che è un Sole per l’umanità: la stessa data di nascita di Gesù coincide con la festività del Sol invictus per i Romani (25 dicembre). La prossima volta vedremo la presentazione delle tappe fondamentali della vita di san Francesco da parte di san Tommaso. Comprenderemo come la scelta degli episodi salienti sia finalizzata alla rappresentazione del santo come figura di Cristo. Capiremo come il concetto di interpretazione figurale sia fondamentale nella visione cristiana della vita e per la comprensione della Divina commedia.