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IL DIBATTITO

Natale, parola delegittimata dal pluralismo religioso

Il pluralismo religioso non permette di fondare la legittimità dell’uso della parola Natale. Chi adopera l’argomentazione dell’attuale pluralismo religioso, sia perché attuale sia perché è pluralismo religioso, e, in questo modo, lo valorizza e ne promuove l’estensione nel tempo, condanna la parola Natale a non avere giustificazione alcuna per quanto riguarda il suo uso in pubblico e ad essere eliminata, se non oggi, domani.

Editoriali 27_12_2021 Español

Il periodo immediatamente precedente il Natale era stato caratterizzato, come si ricorderà, dalla bozza di documento europeo che vietava di adoperare la parola Natale per essere inclusivi nei confronti di chi la pensa diversamente, ossia aderisce ad altre religioni oppure a nessuna religione. Il documento fu poi ritirato, ma non si creda che non sarà riproposto a tempo debito, né che solo il fatto di averlo proposto non abbia avuto conseguenze nell’indicare un comportamento. Infatti il primo ministro spagnolo Sanchéz ha applicato di fatto quella disposizione, anche se ritirata, e ha evitato di usare la parola “Navidad” nei suoi auguri. I processi di mentalità e di prassi si inducono anche con documenti ritirati.

Si ricorderà anche che Francesco ha commentato quel documento dicendo che era “anacronistico”, perché oggi l’Unione europea ammette il pluralismo religioso. Non ha affermato che è sbagliato per questo e per questo motivo, ma che è anacronistico, ossia non è al passo con i tempi, non collima con la situazione esistente oggi. Il concetto di “anacronistico” non è però in grado di delegittimare nessun principio o comportamento. Il giudizio di anacronismo è una semplice constatazione di fatto e non di diritto, dice che qualcosa c’è ma non dice perché c‘è e se è giusto o meno che ci sia. L’anacronismo non emette un giudizio basato su un dover-essere [le cose stanno così, ma dovrebbe stare invece così…] ma tiene conto solo di ciò che è di fatto. Il commento di Francesco, quindi, né giudica negativamente in sé l’eventuale dispositivo del documento di evitare la parola Natale, né giustifica in sé positivamente il motivo per cui invece la parola Natale può e deve avere un uso pubblico.

Un giudizio basato sulla valutazione di anacronismo è “cronolatrico”, come perfino Maritain aveva criticato nella sua ultima opera, Il Contadino della Garonna. Cronolatria è una forma di idolatria del presente. Il presente però non dura che un attimo. Quindi la cronolatria è costretta a cambiare continuamente quanto ritenere vero e buono. Se per giustificare l’uso pubblico della parola Natale si fa ricorso al concetto di “anacronismo”, si deve sapere che la situazione attuale che ora funge da criterio domani potrà essere diversa e, magari, non ammettere più nemmeno l’attuale pluralismo religioso. A quel punto bisognerà allora accettare il divieto di dire Natale.

Se poi entriamo nel merito del pluralismo religioso eretto a criterio di giudizio sulla legittimità di dire Natale in pubblico, si deve riconoscere che a spingere allora i redattori del documento sopracitato e ora il premier spagnolo, è proprio il concetto di pluralismo religioso. Essi infatti vorrebbero vietare la parola Natale per rispetto delle altre religioni. Si tratta della versione del pluralismo religioso che comporterebbe l’espulsione dallo spazio pubblico dei simboli – anche una parola è un simbolo – religiosi. Ma allora diventa difficile adottare il pluralismo religioso come garanzia di validità dell’uso della parola Natale se è proprio in virtù del pluralismo religioso che si vorrebbe vietarne l’uso. In altre parole il pluralismo religioso non permette di fondare la legittimità dell’uso della parola Natale. Chi adopera l’argomentazione dell’attuale pluralismo religioso, sia perché attuale sia perché è pluralismo religioso, e, in questo modo, lo valorizza e ne promuove l’estensione nel tempo, condanna la parola Natale a non avere giustificazione alcuna per quanto riguarda il suo uso in pubblico e ad essere eliminata, se non oggi, domani.

Bisogna anche aggiungere che, con questa motivazione, la visione cristiana del Natale è messa sullo stesso piano dei principi delle altre religioni, cessando di avere qualcosa da dire a tutti. Se il motivo della liceità pubblica del suo uso è l’esistenza di fatto del pluralismo religioso, adoperare quella parola diventerà significativo non per tutti, ma solo per i credenti della religione cristiana. Non potrà, allora, avere una vera e propria pretesa pubblica, rimarrà una pretesa privata di alcuni. Non avrà la pretesa di indicare una prospettiva comprensiva anche delle (poche o tante) verità presenti altrove, ma solo di verità relative, parziali, di alcuni e per alcuni. Verità che rimarranno prigioniere di quel pluralismo religioso assunto per giustificare la loro espressione pubblica con la parola Natale. Se infatti la parola Natale indicasse una verità unica e assoluta, dovrebbe alimentare non solo una animazione cristiana del pluralismo religioso ma un vero e proprio annuncio, che relega tutte le altre religioni in secondo piano, proponendosi come unica. Il che, ovviamente, contrasterebbe con il pluralismo religioso e susciterebbe la reazione violenta delle istituzioni europee.

Se, infine, si dicesse che la parola Natale esprime i valori umani di pace, giustizia e fratellanza che sono naturalmente comuni a tutti, si degraderebbe il Natale a generico umanesimo e si tratterebbe di una nuova forma di naturalismo che pone in secondo piano e oscura la soprannaturalità dell’evento.