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CRISI IN UCRAINA

Morire per Kiev? In Europa nessuno lo vuole

Resta alta la tensione tra Russia e Ucraina a una settimana dall’incidente nel Mare d’Azov in cui tre piccole imbarcazioni ucraine sono state fermate e catturate con i 24 uomini d’equipaggio dopo uno speronamento dalle unità navali di Mosca. La tensione avvantaggia il presidente Poroshenko e isola Mosca. Ma non si arriverà allo scontro

Esteri 03_12_2018
I marinai ucraini prigionieri in Russia

Resta alta la tensione tra Russia e Ucraina a una settimana dall’incidente nel Mare d’Azov in cui tre piccole imbarcazioni ucraine sono state fermate e catturate con i 24 uomini d’equipaggio dopo uno speronamento dalle unità navali di Mosca. Un incidente cercato a tutti i costi dagli ucraini, secondo Mosca (ma anche secondo alcuni osservatori non certo filorussi a Kiev), frutto invece della pretesa di Mosca di avere il controllo dello Stretto di Kerch, secondo le valutazioni del governo ucraino che non riconosce l’annessione della Crimea da parte di Mosca avvenuta a seguito di un referendum nel 2014 dopo che la penisola strategica (piena di basi aeree e navali russe) era stata ceduta dalla Russia all’Ucraina durante l’epoca dell’Unione Sovietica.

Ieri il presidente ucraino Petro Poroshenko, che ha ottenuto dal parlamento l’instaurazione della legge marziale ma solo nelle province che confinano con la Russia, ha accusato Mosca di schierare lungo il confine "oltre 80mila soldati, 1.400 sistemi di artiglieria e lanciarazzi, 900 carri armati, 2.300 veicoli da combattimento corazzati, 500 aerei e 300 elicotteri". Se confermati, questi numeri rappresenterebbero la maggior parte di uomini e mezzi del Distretto militare occidentale della Russia ma è improbabile che Vladimir Putin cerchi la guerra aperta con Kiev. Tra le iniziative da clima di guerra assunte dall’Ucraina c’è anche il divieto di ingresso nel Paese di cittadini russi tra i 16 e i 60 anni, cioè “in età da soldato”. "Credo che il tempo delle dichiarazioni politiche di principio sia finito” – ha detto Poroshenko al Corriere della Sera sottolineando “la minaccia russa ai confini dell’Europa e della Nato".

“Se si vuole normalizzare la situazione, occorre essere molto chiari con le autorità di Mosca: l'aggressione contro l'Europa è inaccettabile, un nuovo incidente non sarà tollerato e la prossima mossa aggressiva non farà altro che alzare il prezzo pagato dalla Russia. Per esempio, blocchiamo il progetto del North Stream 2 (che porterà il gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico bypassando l’Ucraina-ndr), aumentiamo la presenza Nato nel Mar Nero, imponiamo nuove sanzioni contro i responsabili della crisi nel Mare di Azov, vengano bandite le navi russe dai porti europei, venga sostenuta l'Ucraina politicamente, economicamente e militarmente. Sarebbe una formula vincente".

Al di là delle dichiarazioni di solidarietà all’Ucraina e di fermezza nei confronti di Mosca, né la Nato né la Ue sembrano disposte a farsi trascinare in un’escalation della tensione con la Russia. La Commissione europea ha approvato un nuovo finanziamento di 500 milioni di euro all'Ucraina nell'ambito del nuovo programma di assistenza macro-finanziaria. Con questa erogazione, l'assistenza finanziaria dell’Unione all' Ucraina dal 2014 raggiungerà i 3,3 miliardi di euro. 

L’impressione è che l’incidente nel Mare d’Azov avesse l’obiettivo di coinvolgere direttamente l’Europa e l’Alleanza Atlantica nella crisi militare che riguarda il Donbass in mano alle forze ucraine filo russe e il controllo delle aree costiere ucraine che si affacciano sul Mare d’Azov, ormai a tutti gli effetti un “mare russo” specie dopo la costruzione del ponte che unisce la penisola di Taman alla Crimea. I termini dello scontro nel Mare d’Azov sono infatti tali da consentire un prolungato innalzamento della tensione utile a molti protagonisti, ma non certo a Putin: con la legge marziale Poroshenko può cercare di cementare i suoi consensi in calo attuando uno stretto controllo di polizia sulle opposizioni (soprattutto nelle regioni russofone dell’est) e giocando la carta del patriottismo, come dimostrano le immagini dei bambini che scavano trincee lungo il confine russo. Leggi speciali e patriottismo utili soprattutto a reprimere il crescente malcontento popolare per la profonda crisi economica e sociale in cui è sprofondata l’Ucraina dopo la “rivoluzione del Maidan” (per i russi si è trattato invece di un colpo di Stato) del febbraio 2014.

La Nato può oggi rinnovare le critiche alla Russia chiedendo nuove sanzioni all’Europa ed emarginando le posizioni di chi, come il governo italiano, vuole la distensione con Mosca e l’abrogazione delle misure di restrizione economica nei suoi confronti. In quest’ottica Pentagono e Dipartimento di Stato hanno buon gioco nell’ostacolare i tentativi di Donald Trump di attuare una distensione con Putin e nel “vendere” agli europei una visione strategica nuovamente incentrata sul contenimento della minaccia russa. Di fatto lo scontro nel Mare d’Azov aumenta l’isolamento della Russia a ovest pur senza creare (per ora) i presupposti per uno scontro militare che metterebbe in luce l’incapacità dell’Occidente di far fronte, con le armi, a un conflitto esteso in Ucraina. Nonostante le condanne rivolte a Mosca, nessuno in Europa sembra disposto a “morire per Kiev”.