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IL LIBRO

Messori, l'apologeta è vivo e lotta assieme a noi

Ipotesi su Vittorio Messori, del musicista e scrittore Aurelio Porfiri, è un libro dedicato all'apologeta a noi ben noto. Di solito questi omaggi letterari vengono dedicati ad autori defunti o che hanno concluso la loro carriera. Ma Messori è vivo e lotta assieme a noi. E ha anche un paio di libri in cantiere che considera "dovuti ai lettori".

Cultura 04_06_2017
Vittorio Messori

Aurelio Porfiri è un singolare personaggio. Musicista e scrittore, da poco anche editore. Nato a Roma e compositore, ha vissuto per anni in Cina, a Macao, dove ha insegnato ai più alti livelli. Ha al suo attivo moltissime composizioni musicali, la maggior parte delle quali dedicate al servizio liturgico, molte pubblicate in Cina, ma anche in vari Paesi europei e pure negli Stati Uniti. Ha pubblicato anche una ventina di libri e moltissimi articoli, in varie lingue, sulla musica sacra.

L’ultima sua fatica è particolarmente interessante per i lettori della Nuova Bussola Quotidiana perché è incentrata su un personaggio a noi ben noto: Vittorio Messori. Eccola: Aurelio Porfiri, Et-et. Ipotesi su Vittorio Messori, con prefazione di Marco Tosatti (Chorabooks, pp. 92, €. 15), immediatamente reperibile su Amazon (l’e-book costa meno, €. 8,99). Di solito, quando si compone un libro su un personaggio famoso, è perché è morto o perché lo si considera al tramonto (tipo «premio alla carriera»). Messori però è ancora vivo (e, verrebbe da dire, lotta con noi), e chi gli vuol bene gli augura lunga vita. Anche perché non pare abbia finito di dire quel che ha da dire, stante la sempre corposa rubrica «Vivaio» che tiene sul mensile Il Timone, e stando anche a quel che dice lui stesso nell’intervista che chiude il libro: ha ancora un paio di libri da scrivere, libri che ha qua e là annunciato e considera, perciò, come dovuti ai suoi lettori. Solo che, a settantasei anni appena compiuti, realisticamente avverte che è tempo di bilanci.

Ora, uno che ha – praticamente da solo - rilanciato l’apologetica cattolica, una disciplina che, nell’infinita stagione post-conciliare, si dava per «superata» a tutto favore dell’attivismo «nel sociale», non poteva che, coerentemente, ricordarci che qui siamo di passaggio. Ho combattuto la buona battaglia, dice san Paolo, è ora di prepararsi all’incontro col Creatore. Prospettiva funerea? No, è lo stesso Messori a darci quest’ultima lezione di apologetica. Ecco che cosa dice: «Naturalmente, finché mi sarà concessa abbastanza forza e un po’ di salute, farò il mio dovere: cercherò di completare un paio di libri che sono in gestazione da molti anni, vorrei pubblicarli anche per non deludere tanti lettori cui, forse imprudentemente, li ho promessi». Tuttavia, «lascio ad altri il giocare a fare i giovanilisti, sforzandosi di rimuovere quell’anagrafe che in realtà è implacabile». Già, il tempo passa e quel che pudicamente oggi viene chiamata «terza età» prima o poi arriva per tutti.

Ma Messori, a differenza di tanti altri, ne ha avuto una precisa sensazione: «In fondo, l’11 febbraio 2013 – non a caso, credo, nella ricorrenza di Nostra Signora di Lourdes – in quel giorno in cui Joseph Ratzinger ha rinunciato al suo mandato di Pontefice, ho sentito che il mio tempo era finito». Per forza: «E’ finito soprattutto perché i miei Papi sono stati Giovanni Paolo II e, poi, Benedetto XVI». Infatti, di Messori si ricorda il fatto che è stato il primo giornalista al mondo ad avere intervistato un Papa: Wojtyla, col bestseller Varcare la soglia della speranza. Anzi, due: Ratzinger con Rapporto sulla fede, la prima volta che il capo del Sant’Uffizio (così si chiamava prima che Paolo VI lo rinominasse Congregazione per la Dottrina della Fede) si lasciava intervistare. E proprio Ratzinger fu chiamato a succedere a Wojtyla. Tanta acqua è passata sotto i ponti da quel mitico Ipotesi su Gesù che sbancò le classifiche nel lontano 1976, in pieni anni di piombo, mentre in Italia il Pci operava lo storico sorpasso sulla Dc. Messori lo ha ben chiaro: «Adesso tocca ad altri misurarsi con altri pontificati. Dal palcoscenico (sul quale, peraltro, non ho mai cercato di arrampicarmi) occorre scendere volontariamente, prima che altri ti facciano scendere, stufi di vecchi aggrappati a un tempo che non è più il loro». Giù il sipario, dunque? Ma no. Chi ha il dono della scrittura non va mai in disarmo. Rallenta un po’, forse, allunga i tempi di produzione. Ma chi lo conosce non crede che Messori non abbia più niente da dire. Aspettiamoci sorprese.