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IL PERSONAGGIO

L'ultima conquista di Haki, l’olimpionico di Dio

Haki Doku, 45 anni, atleta disabile albanese si pone obiettivi sempre più impossibili. Ma le sue imprese non riguardano solo le performance sul piano sportivo. La sua conquista più grande è quella della fede cristiana: la sua conversione è cominciata dopo un pellegrinaggio a Lourdes. Ecco la sua storia.

Sport 15_06_2016
Haki Doku

Haki Doku, 45 anni, sportivo disabile albanese si pone obiettivi sempre più impossibili. Nel 2012 ha partecipato con la sua handbike, bicicletta dove a pedalare sono le mani, alle Paraolimpiadi di Londra; nel 2014 alla Vogalonga, manifestazione internazionale di hand water bike; in questi ultimi due anni a varie maratone con la carrozzina normale, da passeggiata.  All’Arena di Milano nel 2015 ha stabilito un record mondiale insieme al piccolo Guido, un bambino cerebroleso. Ora il suo sport preferito è la discesa dei gradini: si allena nel palazzo di casa, 16 piani, dopo le dieci di sera. Si è cimentato in piazza di Spagna, Piazza Venezia a Roma e a Francoforte. 

«Sono venuto in Italia dall’Albania nel 1995, ho iniziato a lavorare in un cantiere edile. Nel 1997, forse anche per una mia negligenza personale, sono caduto da un’impalcatura e diventato paraplegico. In seguito a questo incidente, ho vissuto due anni difficilissimi scanditi da ricoveri, riabilitazioni e poi ancora ricoveri a Milano, alla Casa di cura Colombo e poi all’Istituto Don Gnocchi. Qui ho seguito un corso di informatica e sono diventato operatore internet, oggi, diremmo webmaster». 

A quel tempo Haki era molto arrabbiato, sentiva il mondo nemico e tendeva ad andare in collera per ogni cosa. Si muoveva a tentoni su un palcoscenico buio e con tanti ostacoli, di tanto in tanto, però, appariva una luce inattesa ed era quella di suor Alloisa, attualmente direttore di comunità a Busto Arsizio. Lei sapeva essere severa e dolce al tempo stesso, riusciva a incoraggiarlo, a spronarlo dandogli un ritmo. La notte, per esempio, spegneva le luci e lo obbligava a riposare, anziché continuare a impegnarsi al computer. «Sempre in quel periodo ho cominciato a fare tanto sport, prima di tutto nuoto. L’impegno quotidiano no-stop mi impediva di lasciarmi andare al vittimismo e di cadere in depressione».

Nel 1999 Haki ha deciso di andare da solo senza organizzazioni, a Lourdes. Ha prenotato il viaggio per disabili e le cose sono andate per il verso giusto fino a Nizza dove aveva la coincidenza per la piccola città dei Pirenei. «Non c’era il vagone adatto a me», continua, «allora, le carrozzine erano grosse e non sono riuscito a salire sul treno. Mi sono rifugiato in un albergo e lì sono rimasto per due lunghi giorni. Senza la protezione della comunità stavo male. Ma ho deciso di tenere duro ed esattamente quarantotto ore dopo ero sul treno». Arrivato a Lourdes, ha avvertito subito una pace diversa, la rabbia che assediava il suo animo ha preso un’altra forma. «Non sono andato per il miracolo, vengo dal mondo musulmano! In quel periodo ero ancora estraneo al messaggio di Cristo. Quando ascoltavo le prediche dei sacerdoti avvertivo un senso di distanza». 

«Quella cattolica, insomma, non era la mia cultura, ma a Lourdes ho toccato con mano che qualcosa cambiava in me, anche se continuavo a spostarmi in carrozzina». Al ritorno Alloisa gli ha domandato come fosse andato il viaggio, Haki ha risposto che Lourdes gli aveva dato una forza nuova: il desiderio di approfondire il messaggio cristiano. Da quel momento comincia a frequentare la Chiesa, gira diverse parrocchie finché l’incontro con padre Silvano Fausti dà una direzione diversa al suo andare inquieto e disordinato. Il gesuita è a Villapizzone, una cascina ristrutturata alle porte di Milano dove un gruppo di gesuiti vive accanto a famiglie in difficoltà, gli cambia la vita. Il “cacciatore di frodo” della Bibbia, così si definiva il sacerdote filosofo di Villapizzone che ha regalato ad Haki la passione per le Sacre Scritture. «Ascoltando le sue lectio ho trovato le risposte al mio dolore e la mia rabbia è diventata voglia di costruire, muovermi, sperimentare, dare amore. Quando padre Fausti è morto sono caduto nella disperazione».

Ma ormai la fede lo aveva contagiato, Haki decide di battezzarsi in Duomo, con la sua fidanzata albanese residente in Italia e altri adulti. «Ricordo che aveva celebrato monsignor Dionigi Tettamanzi, quel giorno sono rinato. La mia vita precedente, quando avevo tutte e due le gambe, perfettamente funzionanti era come offuscata. Sarebbero seguiti nel 2005 il matrimonio e poi negli anni seguenti i figli, Mario e Alissia che ora hanno rispettivamente otto e cinque anni. Quando li ho presi fra le braccia stando in carrozzina tremavo per la gioia, lo stupore e la paura di farli cadere». Il battesimo dei bambini è stato celebrato a Villapizzone. 

La rabbia diventava sempre più carica vitale, anche nello sport inteso come allenamento della mente e del corpo, come desiderio di andare oltre il limite. «Un po’ di tempo fa avevo una gara, ma anche una piaga: il medico mi ha suggerito di evitare la competizione. Con il sostegno di mia moglie ho valutato i pro e contro di quell’indicazione e ho deciso che mi sarei curato, ma che avrei ugualmente partecipato all’impresa. Sono convinto che ogni persona abbia un grande potere e che con risorse modeste si possano fare tante cose, bisogna avere fede, prima di tutto in noi stessi». 

Questa fiducia è un super-carburante che rende facile ogni performance. Quando suo figlio aveva tre anni, Haki si è messo in macchina da solo, ha guidato fino a Bari, ha preso il traghetto, ha attraversato l’Adriatico ed è andato in Albania. C’era chi lo scoraggiava ad affrontare il viaggio con un bambino da accudire, ma lui è convinto che occuparsi degli altri e dare amore sia un’iniezione di energia davvero speciale. «Non c’è da stupirsi. É la Fede che mi ha aiutato a vivere così, avendo come bussole la positività e la fiducia. Saper che Dio ci ama è forza propulsiva travolgente da cui è impossibile non rimanere contagiati. È stata l’energia della fede a darmi precise indicazioni su cosa e come fare per conquistare l’autonomia indispensabile ad azzerare pietismi e umiliazione. Mio figlio mi chiede spesso papà mi daresti quella cosa vicino a te? Mi passeresti un bicchiere d’acqua? Sono contento quando si rivolge a me in questo modo, significa che “mi vive” come un papà normale, alla pari degli altri». 

Infine, Haki ringrazia Dio ogni giorno per essere qui in Italia, in un Paese dove può permettersi di girare con una carrozzina e un’automobile. «In Ghana sono stato spettatore di una gara di paraplegici che correvano con le mani e le gambe incrociate. Ho provato a imitarli e mi sono accorto che non era affatto semplice. In quel momento ho detto: “Grazie, Signore, sono troppo fortunato”».