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CORONAVIRUS

L'Oms controlla l'informazione, sulle orme della Cina

L’Oms ha lanciato una campagna contro la disinformazione sul Covid-19, avvalendosi dell'intelligenza artificiale e delle moderne tecniche di raccolta dati per dare la caccia alle bufale. Questa strategia ha già provocato enormi danni nella lotta all'epidemia, proprio perché limita il confronto fra teorie di fronte a una malattia nuova. Ed è analoga ai metodi usati dal regime totalitario cinese.

Editoriali 02_09_2020 English Español
Tedros Adhanom Ghebreyesus salutato da Emmanuel Macron

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato una campagna contro la disinformazione sul Covid-19. Con un articolo sulla sua pagina ufficiale del 25 agosto, “Immunizzare il pubblico dalla disinformazione”, l’Oms ha confermato che sta monitorando il Web a caccia di notizie false sull’epidemia per combattere una “sovrabbondanza di informazioni e la rapida diffusione di notizie, immagini e video fuorvianti o falsi” sul nuovo coronavirus.

La campagna di monitoraggio del Web e di caccia alle bufale viene condotta dall’Oms in collaborazione con l’iniziativa Global Pulse dell’Onu, nata per impiegare in cause umanitarie i moderni strumenti della raccolta dati e dell’intelligenza artificiale per la loro elaborazione. Il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato: “Non stiamo combattendo solo il virus, ma anche i troll e i teorici della cospirazione che spingono la disinformazione e minano la lotta all’epidemia”, dove per “troll” si intendono i “disturbatori”, diffusi a tutti i livelli nei forum online e nei social network. Questa “malattia” virtuale ha un nome già da febbraio: “infodemia”, prima era usata per indicare un sovraccarico di informazioni, tutte sul Covid, poi è stata usata più specificamente per indicare l’insieme delle notizie false e delle bufale. La prima Conferenza sull’Infodemia è stata organizzata dall’Oms in giugno, ma già in febbraio, meno di un mese dopo l’inizio dell’emergenza, l’Oms prendeva accordi con Facebook per monitorare la qualità dell’informazione. Attualmente l’agenzia Onu per la sanità sta collaborando con almeno 50 compagnie del Web, fra cui tutti i maggiori social network e motori di ricerca, come Google, TikTok, YouTube, Twitter e Facebook, “per assicurarsi che i messaggi sulla salute provenienti dall’Organizzazione e da altre fonti ufficiali appaiano per primi quando un utente cerca informazioni sul Covid-19”.

Quello delle bufale e delle notizie non attendibili sulla nuova malattia è un problema grave e non sottovalutabile. Ad esempio, fino almeno al 20 gennaio 2020, dopo che l’epidemia era già diffusa a Wuhan e nella provincia dell’Hubei e i primi casi si registravano all’esterno della Cina, circolava la notizia che il nuovo coronavirus non fosse trasmissibile fra umani, ma solo fra animali e umani. In febbraio e ancora fino alla metà di marzo, circolavano consigli irresponsabili sul metodo diagnostico per eccellenza, il tampone, ritenendolo poco efficace e da impiegare con estrema parsimonia solo sui casi sintomatici gravi. Ancora per tutto il mese di marzo, secondo altri suggerimenti irresponsabili, la mascherina era superflua. La disinformazione più pericolosa riguarda i farmaci e i metodi di cura: qualcuno, ad esempio, ha affermato per mesi che l’idrossiclorochina fosse inutile e dannosa, prima che l’informazione venisse rettificata, ma tuttora il rumore di fondo su questo farmaco è molto forte. Altri troll hanno invece scherzato pesante e hanno vivamente consigliato ai medici di non praticare autopsie: uno “scherzo” che è costato migliaia di morti solo in Italia.

Se non avete ancora capito quale sia la fonte di tutte queste bufale, informazioni fuorvianti, suggerimenti irresponsabili, ve lo diciamo noi: è l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

I suoi dirigenti e funzionari si giustificano affermando di aver fatto tutto il possibile e di aver comunque avuto a che fare con un virus nuovo, per cui gli errori sono possibili a tutti i livelli. Verissimo. Ma proprio per questo, a fronte di un problema nuovo si deve conservare la massima libertà possibile di dibattito. Dal confronto di tante esperienze diverse possono trovarsi soluzioni migliori. Purtroppo, invece, tutta la gestione dell’epidemia è stata caratterizzata dal rispetto rigoroso del principio d’autorità: ospedali che seguono pedissequamente direttive di governi che a loro volta seguono quelle dell’Oms. La politica “contro la disinformazione” amplifica questo concetto, estendendolo alla società civile, al di fuori del mondo della medicina. Non solo non si possono sperimentare cure e strategie differenti da quelle indicate dall’Oms, ma non se ne può neppure parlare in privato. Questo è il senso di tutta l’operazione.

C’è da dire che esiste un precursore di questa strategia: la Repubblica Popolare Cinese, che non a caso è stata la prima ad affrontare l’epidemia e anche la prima a praticare la strategia di lockdown nella sua provincia dello Hubei. In Cina, sin da gennaio, migliaia di funzionari hanno passato in rassegna tutte le conversazioni dei loro concittadini su WeChat (il social network cinese per eccellenza) cancellando ogni commento critico, ogni dubbio, ogni esempio tratto dall’estero. L’Oms, che ha seguito la linea cinese fin da gennaio (anche negando, fino al 20 gennaio, come faceva Pechino, che il nuovo coronavirus si potesse trasmettere fra umani) deve aver assimilato dal Partito Comunista anche l’abitudine alla censura. Spiace constatare che i social network, a partire da Facebook, si stiano prestando al gioco con grande zelo, invece che affermare il loro ruolo di baluardi della libertà di espressione. Questo dimostra ancora una volta quanto sia fragile il concetto di libertà anche nel nostro mondo.