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ITALIA

Lo strano ritorno della politica

Intorno alla riforma del mercato del lavoro si riaccende la bagarre politica, favorita anche dal superamento della fase acuta della crisi. Ma è positivo?

Attualità 28_03_2012
politica

La politica torna a muoversi e lo stagno segnala qualche increspatura. Monti ha parlato di possibili dimissioni, il ministro Fornero ha messo in guardia da stravolgimenti parlamentari della riforma del lavoro, i partiti e i sindacati hanno rialzato la testa, ci si prepara a mesi di conflittualità nel Paese e in aula e qualcuno ipotizza addirittura che si andrà a votare in ottobre. Cosa è successo? Perché la cambiale in bianco al governo tecnico non viene più onorata? E’ il ritorno alla politica?


Cominciamo da quest’ultima questione. Indubbiamente il governo Monti ha vissuto un momento magico che non poteva durare in eterno. Con lo spread oltre i 500 punti e l’allarme sotto pelle chi si azzardava a dir la propria? Il governo tecnico faceva comodo a tutti. Ma con lo spread sotto i 300 punti e l’acqua che è scesa dal livello della gola qualcuno comincia a chiedere la parola per chiosare l’azione del governo. Non tutti possono fare per sempre come Casini. La riforma dell’articolo 18 Monti avrebbe dovuto farla entro il primo mese di governo e nessuno si sarebbe opposto, come nessuno si è opposto alla riforma delle pensioni. Ora sarà tutto molto più complicato perché tutto è irrimediabilmente meno “tecnico”.


Questa è però solo la superficie del problema che consiste, nella sua essenza, nella impossibilità per un governo tecnico di fare scelte solo tecniche. La contraddizione d’origine è qui: un governo deve prendere decisioni politiche e non può nasconderle a lungo dietro la patina della tecnica. Può capitare che per un po’ il Paese stia al gioco, o per forza maggiore o per distrazione o per stanchezza. Ma la cosa non dura a lungo.


Il tutto è scoppiato quando il governo ha deciso di presentare al parlamento non un decreto legge ma un disegno di legge. Questo è stato l’errore tattico del presidente Monti, errore – sembra – suggerito dal Quirinale. Un errore tattico che rischia di diventare strategico. Il governo aveva cercato di condurre fino in fondo la trattativa con le parti sociali. Ma si era scontrato con la volontà della CGIL e di parte del PD di trasformare la trattativa sul lavoro da tecnica in politica. C’è uno scontento nel Paese da rappresentare e una virtuale opposizione da concretizzare. La rottura della trattativa da parte della CGIL ha qualche ragione di merito, non è certo ideologica come il centro destra propagandisticamente sostiene, ma è soprattutto politica. A quel punto il governo avrebbe potuto varare un decreto legge, dimostrare che dopo la trattativa viene il tempo delle decisioni e delle assunzioni di responsabilità, porre termine alla prassi troppo lunga nel nostro Paese del consociativismo ad oltranza, tenere ancora la politica alla porta continuando a consultare i tre partiti che appoggiano il governo in incontri serali e lontano da occhi indiscreti, come era avvenuto fino ad allora. Invece Monti ha optato per il disegno di legge, per i riflettori puntati sul Parlamento, per la riemersione dei partiti e delle correnti, per il cicaleccio quotidiano sui giornali, per i botta e risposta tra i personaggi politici in cerca di visibilità. Insomma il governo tecnico ha ceduto alla politica e l’ha rimessa in auge esso stesso. E’ così iniziato un processo imprevedibile che potrebbe anche portare alla crisi di questo governo tecnico.


Ma questo ritorno della politica favorito dalla presentazione di un disegno di legge da affidare alla navigazione in Parlamento piuttosto che ad un decreto legge che avrebbe messo il Parlamento davanti ad un secco aut aut è veramente un ritorno alla politica? Qui entra in gioco un’altra regola difficilmente contestabile: un governo tecnico di solito corrode la politica piuttosto che farla maturare in consapevolezza. Era il sogno di Monti: il governo tecnico avrebbe garantito un periodo di decantazione che avrebbe permesso alle stesse forze politiche di ridarsi una identità e riconquistare un ruolo che, secondo lui, la litigiosità nel periodo del governo Berlusconi aveva compromesso. Ma sembra che così non sia. I partiti che hanno sorretto il governo si sono indeboliti proprio in progettualità politica e fanno ora perfino fatica a pensare a cosa avverrà alle elezioni del 2013. Un anno è un periodo troppo lungo per le loro capacità propositive. Non si può dire che durante la supplenza tecnica il quadro politico si sia chiarito e rafforzato.


In parlamento ne vedremo delle belle, i partiti si frammenteranno ulteriormente ed una riforma centrale per la ripresa sarà partorita dopo una lunga e dolorosa gestazione. Anche se il governo tecnico - si diceva - avrebbe dovuto agire in fretta ed anzi - si diceva - era lì proprio per questo.

Non c’è ancora, quindi, una ripresa della politica in senso pieno. L’errore procedurale di Monti ha ridato la palla ai partiti, ma i partiti se la sono trovata in mano all’improvviso e non si sono ancora disposti tatticamente per giocarsela.