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IMMIGRAZIONE

L'isola degli indesiderati, una soluzione danese

Nota per essere progressista e molto tollerante, la Danimarca, sotto la guida del governo Rasmussen, ha adottato una politica molto dura sull'immigrazione. Gli stranieri condannati sul suolo danese, ma che non possono essere rimpatriati, verranno relegati sull'isola di Lindholm, in attesa di trovare un nuovo accordo per il rimpatrio.

Esteri 20_01_2019
Lindholm

Il governo danese ha reso noto a novembre che i criminali stranieri condannati sul suolo danese verranno relegati su una isola al largo della costa della Danimarca, in attesa di trovare il modo di rimpatriarli. Il ministro delle finanze Kristian Jensen ha dichiarato che i criminali saranno detenuti in una struttura sull’isola di Lindholm, e che il progetto nasce da un accordo tra il governo danese guidato dal Partito Liberale del premier Lars Løkke Rasmussen, con il sostegno del Partito popolare danese (DF) e di altre due formazioni politiche.

La proposta è stata approvata dal parlamento danese prima di Natale, e adesso sull’isola di Lindholm sono iniziati i lavori per poter accogliere al meglio gli immigrati che il Paese non vuole, e non è in grado, di gestire. L'immigrazione è diventata una spinosa questione politica in tutta l'Europa occidentale, a seguito dell'afflusso record di immigrati dal Medio Oriente e dall'Africa nel 2015, ma la vicenda dell'isola di Lindholm suggerisce che la questione ha assunto – come in tanti altri paesi europei - dimensioni insolite in Danimarca. Nonostante la reputazione di nazione progressista, umanitaria e fondata su un generoso stato sociale, la Danimarca ha alcune delle politiche anti-immigrazione più aggressive nel Vecchio Continente. La stampa, anche estera, ostile all'iniziativa di governo è da tempo che specula sull'argomento, denunciando anche, tra le altre cose, il grave pericolo per la Danimarca, in questo modo, di andare incontro ad una crisi demografica smisurata. 

Il Paese, però, ha deciso di dare una sterzata alle politiche che lo hanno reso ben visto a Bruxelles in passato, perché ad essere insostenibile è solo l'aria che l'immigrazione fuori controllo ha prodotto. Il gruppo di richiedenti asilo che sarà mandato a Lindholm è composto da criminali di vario genere, compresi quelli che sono stati condannati per essere espatriati, quelli che sono considerati una minaccia per la sicurezza della Danimarca e i cosiddetti "guerrieri stranieri". E tra  questi ci sono anche i richiedenti asilo che per varie ragioni - come il non aderire dei paesi d'origine alle convenzioni sui diritti umani, che vietano per esempio l'uso della tortura -  non possono o si rifiutano di riprenderli.

Ma il primo viaggio sull'isola è stimato da qui a tre anni. Fino al completamento della ristrutturazione, i richiedenti asilo rimarranno nel centro di Kærshovedgård, un'ex prigione istituita come centro per l'accoglienza nel 2016. Nel giro di due anni e mezzo da allora, la città di Bording, a due passi dal centro d'accoglienza, è diventata un "inferno in terra", giurano i residenti. Dove, e nei d'intorni, tra l'altro, è in crisi anche il settore immobiliare. E non è complicato capire il perché. Raggiungono l'ordine quasi delle centinaia le accuse di violenza, vandalismo, rapine e crimini legati alla droga, che la polizia ha presentato ai danni solo degl'inquilini del centro per gl'immigrati. Senza contare quello che accade nel resto delle città. Tant'è che la decisione di inviare gl'immigrati criminali sull'isola di Lindholm ha generato solo sollievo e giubilo nei danesi. Specie nei residenti di Bording. Sentimenti opposti hanno pervaso, invece, i vicini di Lindholm: nella piccola città di Kalvehave, sulla terraferma, sono terrorizzati dal futuro centro di asilo. Al punto di proporre videocamere, recinzioni e persino filo spinato.  

Nel frattempo, è un po' tutto il Paese che è alle prese con la presenza di società parallele musulmane. Un problema che riguarda le principali città danesi, e che è stato denunciato già due anni fa in un'indagine sotto copertura - di cui è stato poi fatto un documentario - che svelava il lavoro degli imam nel diffondere e difendere una società islamica governata dalla shari'a, e parallela a quella danese. Nel febbraio 2018, ad esempio, la televisione danese TV2 News ha visitato Vollsmose, un quartiere della terza città più grande della Danimarca, Odense, dove prevalgono questo tipo di società musulmane e ne è emersa un'importante segregazione di genere: interi quartieri dove le donne non sono ammesse perché "questa è la legge islamica, uomini e donne non si siedono insieme".   

Anche l'orizzonte danese è cambiato, e nell'arco di una sola generazione. Il crescente numero di moschee ha modificato, però, anche l'impatto culturale e le abitudini di una nazione, che ormai è assuefatta a minareti e chiamate alla preghiera islamica. Obbiettivo dichiarato tempo addietro dall'associazione culturale turca, promotrice della costruzione dell'imminente moschea - alta 24 metri e visibile dall'autostrada - a Århus, seconda città della Danimarca. Complice il progetto di Erdoğan di diffondere l'islam in Occidente, grazie ai turchi immigrati in Europa. Pensare che in Danimarca ci sono già 30 moschee turche sulle 170 del Paese. Nel 2006, erano 115 in tutta la Danimarca - un aumento di quasi il 50% in poco più di un decennio.

Oggi gl'immigrati costituiscono l'8,5% della popolazione, ed è stato pronosticato che entro il 2060 saranno il 13% a pesare, comunque, sulle spalle dei contribuenti. Il costo, infatti, per lo Stato danese è di 33 miliardi di corone danesi (4,4 miliardi di euro). E intanto, uno studio governativo di dicembre ha denunciato gli enormi problemi di integrazione degli immigrati di prima, seconda e terza generazione. Enormi difficoltà si stanno manifestando soprattutto nelle scuole, anche perché i più rifiutano di imparare la lingua.