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IL PARADISO RITROVATO/ 11

L'importanza del "dire": l'esempio di san Domenico

Il canto XII del Paradiso presenta uno dei santi più significativi del Duecento: san Domenico di Guzmàn. Nato a Calaruega in Castiglia nel 1170, fonda l’Ordine dei Frati predicatori, approvato nel 1216 da papa Onorio III, basato sulla predicazione itinerante, sulla povertà mendicante, sullo studio e sulla vita comune. 

Cultura 02_08_2015
Dante Alighieri

Il canto XII del Paradiso presenta uno dei santi più significativi del Duecento: san Domenico di Guzmàn. Nato a Calaruega in Castiglia nel 1170, fonda l’Ordine dei Frati predicatori, approvato nel 1216 da papa Onorio III, basato sulla predicazione itinerante, sulla povertà mendicante, sullo studio e sulla vita comune. Morto nel 1221 a Bologna, viene canonizzato nel 1234. I due canti XI e XII sono stati da sempre sentiti come gemelli e, per così dire, simmetrici nella costruzione e nei contenuti. A parlare è ora un rappresentante dei francescani, san Bonaventura da Bagnoregio, autore dell’Itinerarium mentis in deum, trattato mistico che è anche fonte ispiratrice importante della Commedia. 

Si è parlato di canti simmetrici, anche se grande è la differenza nella presentazione dei discepolidei due santi. San Tommaso fa, infatti, procedere alla vita di san Francesco un’ampia presentazione delle anime che costituiscono con lui la ghirlanda, mentre san Bonaventura delineerà i discepoli di san Domenico in maniera più sbrigativa e a conclusione del lungo racconto. Inoltre, se controversa si presentava a Dante la bibliografia che ha tramandato la vita dell’assisiate, univoca è, invece, la tradizione su san Domenico confluita nell’agiografia ufficiale degli Acta sanctorum di Teodorico d’Appoldia. Del resto, anche la contrapposizione interna all’ordine che si traduce nei francescani nella lacerazione tra conventuali e spirituali, che ha dilaniato i frati minori nel Duecento, non compare nei domenicani.

Come san Tommaso afferma che parlando di un santo (san Francesco) si tratta anche dell’altro (san Domenico), così san Bonaventura declama: «Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca:/ sì che, com’elli ad una militaro,/ così la gloria loro insieme luca». Un linguaggio militaresco sottolinea come vita militia est ovvero «la vita è un combattimento» in primo luogo contro il proprio peccato e il male per affermare l’unico vero bene, quel Cristo che è via, verità e vita. Per questo la Chiesa militante è definita subito dopo «essercito (sic) di Cristo» e, poi, “milizia”, mentre il verbo “riarmare” e la metafora dei soldati che si muovono lenti dietro alle insegne demarcano ancor più il l’area lessicale bellica. Ritorna poi il termine “sposa” che ricollega il canto XII all’XI tutto incentrato sulle nozze mistiche tra san Francesco e madonna Povertà. Dio non è intervenuto per meriti umani, ma per grazia, ovvero gratuitamente, per l’amore che porta all’uomo, scegliendo “due campioni”. Ricorderemo che san Tommaso aveva sottolineato il carattere caritatevole dei francescani e la cultura dei domenicani. San Bonaventura con un giudizio affine presenta il “dire” domenicano e il “fare” francescano con cui Dio ha soccorso il suo popolo disperso.

Alle quattro terzine di cui si avvale san Tommaso per designare il luogo ove è nato san Francesco si contrappongono le tre terzine di san Bonaventura che delineano la occidentalità del santo spagnolo distinta dall’orientalità del santo italiano. Di nuovo le due figure appaiono complementari. San Domenico è «amoroso drudo» (espressione in cui «drudo» significa «amante») della fede cristiana, «santo atleta/ benigno a’ suoi e a’ nemici crudo». Il santo è così pieno di virtù come appare chiaro da subito dal sogno profetico che la madre fa mentre porta in grembo il figlio: vede un cane di colori bianco e nero con una fiaccola in bocca. San Domenico si sposa, poi, con la fede al fonte battesimale quasi a sottolineare il carattere battesimale della sua santità in opposizione al tratto matrimoniale della santità di san Francesco. 

Nomina sunt consequentia rerum. Per questo, dopo il sogno della madrina in cui appaiono i frutti che usciranno da quel bimbo e dai suoi compagni, gli viene imposto il nome di Domenico, ovvero “appartenente al Signore”. Fu «l’agricola che Cristo/ elesse a l’arte sua per aiutarlo», «mezzo e famigliar di Cristo», mentre nel canto XI san Domenico è designato già con gli epiteti “principe” della Chiesa, «splendore di cherubica luce», rematore della barca di san Pietro, pastore di pecore. Avvalendosi degli etimi, san Bonaventura considera il padre di lui «veramente Felice» (ovvero «fortunato, che ha buon esito») e la madre «veramente Giovanna» (ovvero «Dio ha avuto misericordia»). Diventato dottore in teologia Domenico inizia a sorvegliare la vigna della Chiesa e al papa Onorio III chiede licenza di combattere contro le eresie per preservare la giusta dottrina: «ne li sterpi eretici percosse/ l’impeto suo, più vivamente quivi/ dove le resistenze eran più grosse». Dal torrente Domenico deriveranno, poi, ad irrigare l’orto della Chiesa diversi fiumi, interpretabili come i tre rami (predicatori, suore e terz’ordine) o gli innumerevoli conventi fondati nell’Europa. 

Siamo ormai giunti alla conclusione della palinodia su san Domenico. San Bonaventura conclude richiamandosi in maniera speculare al discorso di san Tommaso. Se tanta è l’eccellenza del fondatore dei domenicani, ci possiamo immaginare la grandezza dell’altra «rota de la biga», ovvero san Francesco, esaltata nel canto precedente. Poi, il francescano denuncia la degenerazione del proprio ordine nell’eccessivo rigore dello spirituale Ubertino da Casale e nel lassismo dei conventuali con la figura di Matteo d’Acquasparta. Solo alla fine l’anima che ha parlato rivela il suo nome: «Io son la vita di Bonaventura/ da Bagnoregio, che ne’ grandi offici/ sempre pospuosi la sinistra cura» ovvero il santo afferma di aver posposto sempre le preoccupazioni mondane a quelle spirituali. Rapido è, infine, l’elenco delle altre undici anime che formano la ghirlanda francescana. Ricordiamo tra queste Illuminato da Rieti, Agostino da Assisi, Pietro Mangiadore, Pietro da Lisbona, Giovanni Crisostomo, Anselmo d’Aosta, Gioacchino da Fiore.