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VERSO IL CONCLAVE

L'importante è che sia santo

Nell'Angelus di ieri il Papa ha risposto all'obiezione di chi ha criticato la sua rinuncia, ma soprattutto ci ha fatto capire che la linea di demarcazione nella Chiesa - e anche nel mondo - è tra chi ha fede e chi non ce l'ha.

Editoriali 25_02_2013
L'Angelus del Papa

«Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze». Non si può non ripartire da queste parole, pronunciate ieri da Benedetto XVI all’Angelus per giudicare il momento storico che stiamo vivendo.

Con la sua solita delicatezza, il Papa ha risposto all’obiezione più forte che è stata fatta in questi giorni alla sua rinuncia al ministero di vescovo di Roma. Lo ha fatto collegandolo al Vangelo del giorno, di cui aveva sottolineato essenzialmente un insegnamento: il primato della preghiera, senza la quale apostolato e carità diventano attivismo. La preghiera, ha detto il Papa, non è isolarsi dal mondo, tutt’altro: «La preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come sul Tabor avrebbe voluto fare Pietro, ma l’orazione riconduce al cammino, all’azione».

E’ sempre stato il suo stile: rendere ragione della propria fede, non chiudersi davanti a nessuna domanda, tutto illuminare con la luce di Cristo. Ma con quelle semplici parole Benedetto XVI ci ha fatto percepire la distanza che passa tra la fede vera e una fede ridotta a ideologia, fosse anche di dottrina sana. Ieri, alcuni commentatori dicevano che il Papa non parla di sé ma indica Cristo. Non è vero, il Papa ha parlato di sé, e le parole del suo discorso qui riportate all’inizio lo testimoniano. Ma parla di sé posseduto da Cristo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Galati 2,20), come diceva San Paolo, e ieri ne abbiamo avuto un’immagine concreta guardandolo pregare all’Angelus.

Ci ha fatto anche capire con chiarezza una cosa: la vera linea di demarcazione all’interno della Chiesa non è fra progressisti e tradizionalisti, ma tra chi ha fede e chi non ce l’ha: tra chi, pur con mille limiti, desidera seguire Cristo e chi invece i propri schemi e le proprie idee su Cristo e la Chiesa, tra chi aspira con tutto se stesso alla santità e chi preferisce accontentarsi del potere ecclesiastico.

Ecco allora la necessità di pregare in vista del Conclave (e non solo), perché ciò di cui la Chiesa e il mondo hanno più bisogno in questo periodo drammatico di crisi sono i santi. C’è poco da fare il totoPapa, meglio pregare in silenzio che anche il successore di Benedetto XVI sia un santo.