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IL PUNTO

Libia, non cambiamo le carte in tavola

Erano per l'intervento, ora hanno dei dubbi. Legittimo. Ma non è corretto cercare di manipolare la realtà per giustificarsi. Ecco i punti da chiarire.

Attualità 31_03_2011
libia ribelli
L’andamento dei bombardamenti sulla Libia sta provocando una serie di riposizionamenti, anche tra quei cattolici che pure avevano sostenuto la legittimità dell’intervento. Riposizionamenti più che giustificati e legittimi, ma negli ultimi giorni sembra affiorare l’intenzione di rimescolare le carte per coprire l’inversione di marcia, creando maggiore confusione sia quanto alle circostanze che hanno portato all’intervento sia riguardo ai princìpi di Dottrina sociale della Chiesa.

E’ importante allora cercare di chiarire alcune questioni, come “La Bussola quotidiana” ha del resto fatto fin dall’inizio.

SOSTEGNO CORALE? 
Cominciamo dall’ultimo intervento, in ordine di tempo. Il professor Giorgio Campanini, su Avvenire del 31 marzo, riferendosi al mondo cattolico afferma in un commento che c’è stato “un iniziale e pressoché corale sostegno” ai bombardamenti sulla Libia. Dal nostro punto di osservazione ci risulta il contrario. Non solo La Bussola ha documentato puntualmente fin dall’inizio tutti i motivi che portavano a ritenere questa guerra un grosso errore, ma a quanto abbiamo potuto vedere – stando soltanto ai principali organi di informazione – contro l’intervento hanno scritto fin dall’inizio anche Famiglia Cristiana, Tempi, Il Sussidiario, solo per citare i più diffusi. Il “corale sostegno” ci sembra dunque riguardi pressoché il solo Avvenire. Il quotidiano della Cei ha espresso un parere ovviamente legittimo, ed è per questo che non si capisce il perché adesso cerchi di ripararsi dicendo che tutti dicevano la stessa cosa.

INTERVENTO UMANITARIO
Per giustificare l’azione militare si è parlato – e si parla ancora – di “intervento umanitario” che affonda le ragioni nei massacri di civili che Gheddafi avrebbe commesso per reprimere la rivolta popolare iniziata il 17 febbraio e che avrebbe promesso per i responsabili, una volta riconquistata Bengasi e le città della Cirenaica in rivolta. In realtà fin da subito questa è apparsa – da parte dei governi promotori - la classica foglia di fico per giustificare un intervento che aveva ben altri motivi. Gli elementi che facevano dubitare delle reali intenzioni erano diversi, vale la pena richiamarne alcuni:

1. Massacro dei civili/1. Per giorni sono state diffuse notizie sulle stragi compiute dagli uomini di Gheddafi contro la popolazione in rivolta, persino bombe sulla folla e fosse comuni. In realtà non ci sono mai state conferme su queste notizie. Si può benissimo immaginare che la risposta delle forze di sicurezza non sia stata tenera, e che esecuzioni sommarie ce ne siano state, ma diverse fonti escludono che ci siano stati bombardamenti di Gheddafi sui civili (peraltro solo le agenzie italiane davano queste notizie, altre autorevoli fonti di informazioni straniere non ne hanno mai parlato). Per quanto riguarda Tripoli, lo ha testimoniato anche il vicario apostolico monsignor Martinelli, il quale ha anche spiegato come Al Jazeera abbia volutamente diffuso notizie false riguardo alla repressione di Gheddafi. Inoltre la notizia delle fosse comuni, con annesso video, in cui sarebbero state frettolosamente sepolte le vittime del rais, alla prova dei fatti si è dimostrata una clamorosa bufala: si trattava infatti del cimitero Sidi Hamed, già esistente a Tripoli, e di una ricorrente sepoltura comune, oltrettutto è probabile che le immagini fossero anche vecchie. Correttezza avrebbe voluto che gli organi di informazione che tanto spazio avevano dato a queste notizie, avessero con la stessa solerzia informato delle novità. Cosa che non è avvenuta. Bisognerebbe allora interrogarsi sull’etica dell’informazione, visto che poi queste notizie sono servite a conquistare il consenso dell’opinione pubblica a un intervento deciso in quattro e quattr’otto.

2. Massacro dei civili/2. Se vogliamo allargare il discorso, non può non colpire come per 40 anni ci si sia disinteressati dei diritti umani dei libici, premiando addirittura Gheddafi con un posto nel Consiglio Onu per i diritti umani (appena pochi mesi fa) e improvvisamente invece ci si accorge che il leader libico sia diventato cattivo. La verità è che quanto accaduto dal 17 febbraio in poi è in perfetta continuità con i precedenti 40 anni di potere, per cui – a rigor di logica – se di intervento umanitario si vuol parlare, ebbene è in ritardo di almeno qualche decennio. Un dettaglio che meriterebbe almeno una parola di spiegazione.

3. Massacro dei civili/3. Quando si afferma un principio universale, bisogna stare molto attenti ad avere anche uno “sguardo” universale. Se infatti si interviene in Libia in nome della “protezione dei civili”, si deve anche spiegare – senza neanche andare a guardare nel passato – perché i civili della Libia meritino protezione e quelli della Siria (cose di questi giorni), ad esempio, no. Ma stando al teatro delle rivolte di questi mesi, come non ricordare che all’inizio della rivolta in Egitto ci fu una repressione sanguinosa da parte della polizia di Mubarak, con centinaia di morti, questi sì documentati. E poi cosa dire delle migliaia di morti e un milione di profughi nella sola Costa d’Avorio (anche queste sono notizie di questi giorni) o delle odierne minacce di repressione del leader sudanese al Bashir, che ha già sulla coscienza il massacro di centinaia di migliaia di civili (anche questi ben documentati)? E potremmo continuare ancora un bel po’. Ma ce ne è già abbastanza per chiedersi se, in queste condizioni, “la protezione dei civili” sia un motivo credibile per questa guerra o piuttosto un pretesto.

4. Massacro dei civili/4. Da dieci giorni ormai vanno avanti bombardamenti pesanti su Tripoli e altre città, ma curiosamente nella stampa pro-intervento non si fa mai riferimento né si indaga per verificare se per caso ci siano andati di mezzo un po’ di civili (anche qui la differenza con i reportage da Serbia e Iraq è stridente). Purtroppo, quando si sceglie questo tipo di strategia militare, è inevitabile che vittime civili ci siano perché anche se si colpiscono obiettivi militari la precisione chirurgica non esiste e i danni collaterali vanno messi in conto. Ora il perdurare degli attacchi, che si sono estesi a obiettivi civili, come i depositi petroliferi, fa temere addirittura che le vittime civili dell’intervento umanitario siano maggiori di quelle della repressione di Gheddafi. Ma questo era ampiamente prevedibile fin dall’inizio. Come ci si può accorgere solo ora che si tratta di “una guerra fra diseguali” tra chi bombarda dall’alto non rischiando nulla e chi sta sotto rischiando tutto?

5. La solerzia della Francia. Non poteva non creare qualche dubbio l’improvviso decisionismo della Francia che, insieme alla Gran Bretagna, ha letteralmente trascinato in guerra gli Stati Uniti, l’Italia e altri paesi. Interessi geopolitici – dopo i rovesci in Tunisia e dintorni -, interessi di approvvigionamento energetico, forse anche vecchi conti da regolare con Gheddafi possono spiegare questa mossa. Difficile non ricordare come l'ex presidente francese Chirac abbia avuto un atteggiamento ben diverso al tempo della guerra in Iraq, pagando però un pesante pegno economico nel dopo-Saddam. In fondo, la ricchezza libica in fatto di petrolio e gas spiega molto meglio la differenza di trattamento tra i civili libici e gli altri. Del resto l’interesse di Sarkozy per la sorte dei civili non è che sia così credibile: se si voleva una conferma, quanto la Francia si senta solidale con la popolazione civile che soffre lo si vede in questi giorni dal “muro” eretto a Ventimiglia per bloccare gli immigrati in arrivo dal Nordafrica.

6. La risoluzione dell’Onu. Sebbene la risoluzione Onu no. 1973 autorizzi soltanto l’intervento a protezione dei civili (questo lo scopo di una no-fly zone), fin dall’inizio l’obiettivo dichiarato – anche dalla stampa che parla di intervento umanitario – era la caduta di Gheddafi. Ed è il motivo per cui i bombardamenti stanno continuando malgrado si dica che l’aviazione del rais sia stata già annientata da una settimana. Ed è anche il motivo per cui corpi speciali britannici, francesi e ora anche americani, sono sul terreno per consigliare e guidare i ribelli. Probabilmente non basterà, e si parla già da più parti di intervento di truppe di terra per risolvere la questione. Tutto ciò porta a dire che non si tratta di un “intervento umanitario” a difesa dei civili e neutrale quanto al conflitto: piuttosto è una vera e propria entrata in guerra a fianco di una delle parti in causa (i ribelli) contro Gheddafi. Si può discutere se sia legittimo o no il ricorso alla guerra per un cambiamento di regime in un qualsiasi paese, ma almeno lo si dica con chiarezza. Ciò che è intollerabile è il moralismo con cui si cerca di coprire interessi inconfessabili.  

GLI INTERESSI DELL'ITALIA
In tutta questa vicenda la posizione dell’Italia si è da subito rivelata scomodissima e imbarazzante, perché è molto recente il trattato di amicizia Italia-Libia firmato con Gheddafi dal presidente del Consiglio Berlusconi. Senza entrare in troppi dettagli, bisogna almeno ricordare due motivi che avrebbero dovuto spingere l’Italia a maggior prudenza: anzitutto noi siamo il maggior partner commerciale della Libia, da cui dipendiamo ampiamente per l’approvvigionamento energetico, e non potevamo non considerare che una delle reali intenzioni della Francia è di strappare lucrosi contratti con un futuro governo, a nostre spese. Inoltre, proprio per il trattato di amicizia l’Italia aveva maggiori opportunità per intervenire su Gheddafi dal punto di vista diplomatico, se davvero l’interesse era la sorte dei civili e un accordo con i ribelli di Bengasi. Il secondo motivo riguarda il controllo dell’immigrazione: la Libia è la porta dei migranti africani verso l’Europa, con l’approdo in Italia tappa obbligata. Una situazione di guerra e caos in Libia, ma anche soltanto la recessione unilaterale dal Trattato di amicizia, era chiaro avrebbe portato come conseguenza un’ondata di profughi sulle nostre coste, questa volta molto più difficilmente arginabile. Quanto sta accadendo in questi giorni è solo l’inizio. E anche questo era ampiamente prevedibile nelle settimane scorse. Difficile dar torto a chi, nei giorni scorsi, ha detto: chiunque vinca, l'Italia perde.

IL DOPO-GHEDDAFI
Contrariamente a quanto affermato da alcune parti, quando si entra in guerra non è indifferente avere le idee chiare sul dopo, perché sarebbe abbastanza stupido eliminare un male per provocarne uno peggiore. E se è vero che le guerre spesso finiscono in modo diverso da quanto programmato, iniziarle senza avere neanche un programma – come in questo caso - è puro autolesionismo. Non si tratta di giustificare le tirannie al potere, ma di evitarne – se possibile – di peggiori. Pensare che ogni cambiamento sia un bene in quanto tale, è un concetto smentito dalla storia oltre che immorale, come ben spiega la Dottrina sociale della Chiesa. Come abbiamo ampiamente documentato nei giorni precedenti e contemporanei all’inizio della guerra, la realtà politica e sociale libica sconsiglia ampiamente un intervento armato, perché la possibilità che una sconfitta di Gheddafi si traduca nell’inizio di un processo democratico è pericolosamente vicina allo zero. Molto più probabile il rischio di una nuova Somalia, e anche se sul futuro nulla di certo si può dire, l’esperienza recente in Afghanistan e Iraq ci dice che anche quando si pensa di avere delle alternative democratiche le cose ben difficilmente filano lisce. Figurarsi laddove non sono chiari gli obiettivi militari e le strategie successive. 

A questo proposito vale la pena citare, per concludere, anche il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa che al no. 500, dedicato alla guerra per legittima difesa, spiega a quali “rigorose condizioni” debba ubbidire l’uso della forza per essere considerato “lecito”: “…che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare”. Chi decide di parlare in nome dei valori cristiani, dovrebbe onestamente confrontarsi prima su questi punti.