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UNA VERA PRIMAVERA

Le diverse anime della Turchia

All'inizio del XX secolo Ataturk, il grande padre della Turchia, volle modernizzare il suo paese, ma con l'arrivo di Erdogan nel 2002 è tornato a farsi sentire il mondo islamico più tradizionalista. E le due anime combattono ancora.

Esteri 16_06_2013
statua di Ataturk

La Turchia è un paese dalle molte anime, basta passeggiare per le strade di Istanbul per rendersene conto. Minigonne e veli integrali differenziano gli stili della moda femminile e la vita di ogni giorno delle sue donne, giusto per fare l’esempio più appariscente. Quartieri che potrebbero essere in qualsiasi città europea confinano con vie, roccaforti di antiche tradizioni islamiche.

Spostarsi per il Paese rende più evidente quanto siano profonde le differenze tra i costumi di vita dei turchi: dalla località di mare turistiche ai vecchi villaggi agricoli, dove i contadini lavorano con gli stessi attrezzi da più di cento anni e dove le giornate sono scandite da ritmi antichi come i trattori.
Malgrado Ataturk, il grande padre della Turchia, che volle modernizzare il suo paese in modo occidentale all’inizio del XX secolo, con la elezione di Recep Tayyip Erdogan nel 2002 il mondo islamico più tradizionalista e bigotto, che era rimasto nascosto nelle campagne, è tornato a farsi sentire. Sono loro gli elettori che hanno assicurato la decennale carriera  politica di Tayyip.

La Turchia non è un paese islamico, si legge su molte pagine di giornali italiani oggi, in mezzo ai commenti e ai racconti degli ultimi scontri in piazza Taksim. E’ vero, ma non del tutto. L’islam nascosto, quasi annientato dalle leggi di Kemal Ataturk, che potevano multare anche con la prigione una donna che uscisse fuori di casa con il velo, ha trovato un grande alleato: Erdogan.
Le uccisioni dei preti cattolici erano un segnale di quanto stava accadendo negli ultimi anni. Nessuna presa di posizione ufficiale a tutela della libertà di religione. Erdogan si è sempre nascosto dietro un finto dialogo, una sbandierata apertura all’Europa, ma non ai suoi principi di libertà e trasparenza e, infine, ha iniziato ad introdurre limitazioni e divieti alla vita di tutti i giorni. Ad iniziare dal divieto di bere alcol la sera, il più banale forse, ma significativo di quale strada si volesse prendere.

Ma l’anima liberale della Turchia si era resa conto subito del pericolo e protestava da anni. Marce e manifestazioni, non seguite dalle televisioni internazionali, ci sono state ovunque. Piccole manifestazioni, totalmente pacifiche, sono promosse da quella borghesia che non vuol cambiare il suo stile di vita occidentale e si è battuta a difesa delle minoranze religiose, cattolica e greco-ortodossa, a difesa della libertà di stampa, a difesa di una speculazione edilizia brutta, in tutto il paese. Ora la misura era colma: il centro commerciale e la moschea di Gezi Park, se si faranno, hanno anche lo scopo di nascondere una statua di Ataturk, che ora è ben visibile in mezzo i giardini.  Il leader politico, il dittatore che ha creato lo stato turco, è il simbolo vivo ancora oggi della società turca che vuol far parte di un mondo, magari non perfetto, ma dove la libertà di pensiero, parola e religione sono scritte nelle costituzioni e nelle leggi.

Per questo quella turca è l’unica rivolta di popolo che si meriti il titolo di primavera:  una vera lotta per la libertà non guidata da ideologi e politicanti,  ma la rivolta di un popolo che sa di poter perdere i suoi diritti. Nascondendosi  dietro la polizia e l’esercito, che hanno sgomberato le piazze anche a costo di uccidere (5 è il numero dei ragazzi morti e centinaia sono i feriti), Erdogan ha finto di non sentire il pericolo fino allo scorso martedì sera, quando ha dichiarato tolleranza “zero” e  si è messo anche a parlare di “terrorismo”. Sono seguite multe alle TV che trasmettevano i raduni, con la motivazione che “certe immagini sono violenze mentali a bambini e giovani” e sono stati arrestati 72 avvocati, che partecipavano, codici alla mano, alle sommosse.
Dopo 13 giorni di scontri tra stato turco e dimostranti, fanno sentire la loro voce i maggiori leader internazionali, Casa Bianca e UE, che si dichiarano “preoccupate per la deriva presa dalle proteste”, ma  annunciano di “non voler isolare la Turchia”. Insomma sperano ancora di non esser costrette a prendere una posizione chiara: o schierarsi contro un potente paese o difendere le libertà dei suoi cittadini.