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GUERRA DI LIBIA

L'affaire Sarko-Gheddafi, nuova luce sui fatti del 2011

Sarkozy è accusato di aver ricevuto un maxi finanziamento illecito di 5 milioni di euro da Muammar Gheddafi, quattro anni prima che lo il presidente francese si facesse promotore dell’intervento armato internazionale contro lo stesso dittatore libico. Cosa cambia adesso? Ne parliamo con Michela Mercuri, autrice di Incognita Libia.

Esteri 22_03_2018
Sarkozy e Gheddafi nel 2007

Sarkozy è accusato di aver ricevuto un maxi finanziamento illecito di 5 milioni di euro da Muammar Gheddafi, quattro anni prima che lo il presidente francese si facesse promotore dell’intervento armato internazionale contro lo stesso dittatore libico. Prima, insomma, che la Francia guidasse la Nato, compresa una più che riluttante Italia, in un conflitto durato otto mesi e concluso con l’uccisione del “raìs” per mano di ribelli.

L’ex presidente francese è attualmente in libertà vigilata a Parigi. Sarkozy, come tutti, è innocente fino a prova contraria. Ma questa accusa costringe tutti a fare i conti, di nuovo, con quel terribile 2011. Ne abbiamo parlato con Michela Mercuri, docente di Geopolitica del Medio Oriente all’Università Niccolò Cusano e autrice del recentissimo studio Incognita Libia (Franco Angeli, 2018).

Professoressa Mercuri, ora che sappiamo di questi presunti finanziamenti illeciti di Gheddafi a Sarkozy, in tempi non sospetti, cosa cambia nella storia della guerra libica?

Quel che è accaduto è un elemento in più per comprendere la strategia francese in Libia. E’ un tassello in più di un mosaico di cause dell’intervento militare deciso da Parigi. Gli altri tasselli sono anche più noti, come la volontà di Gheddafi di disfarsi del Franco Cfa, la valuta tuttora in uso in 14 ex colonie francesi in Africa e trattata come una moneta pan-africana. Il raìs aveva una scorta di 143 tonnellate di oro e minacciava di sostituire il Franco Cfa con nuovi dinari-oro. Questa operazione avrebbe causato una perdita di influenza della Francia sull’Africa. Il secondo tassello è il petrolio: la Total era sfavorita, mentre l’Eni era la compagnia più avvantaggiata nello sfruttamento delle risorse locali, almeno un terzo in più rispetto all’azienda di Stato francese. C’è poi da considerare un altro motivo, anche quello facilmente intuibile fin da subito: la volontà di stabilire la propria egemonia su paesi rimasti orfani (o in procinto di rimanerlo) delle loro leadership a seguito delle primavere arabe. Il presunto finanziamento di Gheddafi a Sarkozy è l’ennesimo pezzo che compone questo mosaico, sostanzialmente non ci dice nulla di nuovo.

Ma se Sarkozy era stato finanziato da Gheddafi voleva dire che i rapporti erano buoni, almeno nel 2007. Cosa è cambiato?

Gheddafi era un politico scaltro e ambiguo. Nel 2007 si era creato un legame molto forte fra l’allora aspirante presidente Nicolas Sarkozy e il raìs. Una volta vinte le elezioni, Gheddafi aveva piantato la sua tenda berbera di fronte all’Eliseo per firmare un contratto con la Dassault per la fornitura di nuovi caccia. Poi c’erano stati una serie di altri contatti, inclusa la mediazione francese per il rilascio delle infermiere bulgari, ingiustamente incarcerate in Libia con l’accusa di aver diffuso l’Aids. Gheddafi, tuttavia, voltò ben presto le spalle alla Francia. Non onorò mai il contratto con la Dassault, perché ritenne più conveniente trattare con l’Italia. Nel 2009 firmò con Silvio Berlusconi il Trattato di Amicizia e Cooperazione, che gli garantiva 5 miliardi (sotto forma di risarcimento per i danni coloniali) da spendere in infrastrutture. Infrastrutture che sarebbero state realizzate da imprese italiane. Questo affare, vantaggioso per la Libia e soprattutto per l’Italia, dava molto fastidio alla Francia. In conclusione: i finanziamenti di Gheddafi a Sarkozy non erano certo pochi, ma messi sul piatto della bilancia con i problemi che stava causando, pesavano decisamente meno.

Uccidere Gheddafi serviva anche a cancellare questa traccia?

E’ ancora impossibile affermarlo con certezza, ma abbiamo già tanti indizi che ci permettono di dire che questo losco affare sia avvenuto. Nel 2011, il 10 marzo, l’agenzia stampa libica Jana diffuse la notizia che c’erano grosse e imbarazzanti rivelazioni che riguardavano Sarkozy. Un anno dopo è morto in circostanze ancora misteriose, a Vienna, Shukri Ghanem, ex ministro del petrolio libico. Probabilmente è stato assassinato. Ghanem venne ritrovato già morto nel Danubio, aveva un taccuino su cui erano segnati appunti sui finanziamenti di Gheddafi a Sarkozy. Aveva parlato di varie tranche e appuntato i nomi degli intermediari, fra cui Bechir Saleh, direttore del Libyan African Investment Portfolio, fondo da cui sono stati attinti i fondi poi portati in Francia. Ghanem si è portato nella tomba tanti altri segreti.

Perché la Francia, intervenendo, non ha preparato un piano efficace per il dopoguerra?

Non dobbiamo pensare che il governo francese fosse così preparato. Non era stato condotto alcun lavoro preliminare da parte dell’intelligence, ad esempio. Probabilmente avevano riposto troppa fiducia nei loro contatti libici, ritenuti capaci di ricostruire un nuovo Stato. Nonostante in Libia non sia mai esistito alcuno Stato, nel nostro senso del termine. Hanno sottovalutato l’elemento tribale, l’elemento localistico. Non hanno capito che stavano aiutando i soggetti sbagliati: fiumi di soldi e armi al Consiglio Nazionale di Transizione, che non aveva alcun controllo reale delle milizie tribali. Era evidente sin dal 2011 che lo scenario più probabile del dopoguerra sarebbe stato quello della frammentazione del paese: le milizie tribali non avrebbero mai consegnato le armi al Cnt e avrebbero stabilito il controllo sui propri territori. Noi italiani non avremmo mai fatto quegli errori, ma nella guerra del 2011 non avevamo alcuna voce in capitolo.

Come spiega l’intervento dell’Italia in una guerra che esulava dai nostri interessi, per non dire direttamente: contro i nostri interessi?

L’Italia ha partecipato a quella che io chiamo la “coalizione dei coscritti”. Il governo Berlusconi venne letteralmente costretto a intervenire. A quei tempi c’era una grande distanza fra il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, convinto di dover onorare prima di tutto gli impegni nella Nato, anche al di là degli interessi nazionali. Inoltre, a guerra iniziata, l’Italia si trovò anche costretta a dover tutelare i propri interessi in Libia. In caso di neutralità, l’Eni avrebbe perso tutto nel dopoguerra. A conflitto concluso, Mario Monti, che era diventato premier, si recò in Libia subito dopo Sarkozy, a firmare la Tripoli Declaration, con cui si assicurò nuove fette delle riserve del petrolio libico. Infine, ma non da ultimo, fonti riservate e affidabili vicine al governo, la Francia aveva minacciato di colpire le infrastrutture dell’Eni se l’Italia non avesse concesso l’uso delle basi. Non ci sono le prove per affermarlo con certezza, ma è molto probabile che anche questa minaccia ci sia stata e fosse assai concreta.

Guerra civile libica: si sospetta che fosse essa stessa provocata da potenze straniere. Lei cosa ne pensa?

Da tutte le testimonianze che ho raccolto sul campo, anche durante le prime sollevazioni contro Gheddafi, la rivolta è scoppiata in modo spontaneo. Non è stata finanziata o spinta dall’esterno. Se si può parlare di intervento esterno, questo riguarda soprattutto gruppi jihadisti, sia libici che stranieri, tornati in Libia o recentemente usciti dal carcere, come Abdelhakim Belhaj, leader del Gruppo Combattente Islamico. Questi hanno immediatamente strumentalizzato la rivolta, avendo tutto l’interesse a far cadere Gheddafi. In seconda battuta sono intervenuti altri attori regionali esterni, mi riferisco soprattutto a Qatar e la Turchia, entrambi interessati ad allargare l’influenza dei Fratelli Musulmani in Libia. Sicuramente hanno tratto giovamento dallo scoppio della rivolta. E poi è stata coinvolta, anche molto in fretta, la comunità internazionale. Francia in testa, come abbiamo visto, che ha premuto per l’intervento in base al principio della Responsabilità a Proteggere, perché, così di diceva allora, Gheddafi stava già compiendo un eccidio su larga scala per reprimere la rivolta. Ancora a sette anni di distanza non possiamo verificare se questo eccidio ci fosse o meno. In assenza di osservatori indipendenti, abbiamo a disposizione solo fonti di parte.

Le notizie che riguardano Sarkozy possono influenzare anche il futuro della Libia?

Se Gheddafi potesse veramente passare come martire sacrificato sull’altare degli “sporchi interessi francesi”, questo contribuirebbe a rafforzare Saif al Islam, suo figlio, attualmente candidato alle prossime elezioni libiche. E’ sopravvissuto non casualmente alla guerra e alla successiva purga: sua era l’amnistia in cui è stato scarcerato Belhaj assieme ad altri jihadisti che hanno poi giocato un ruolo importante sul fronte dei ribelli. Ora, a sette anni di distanza, Saif al Islam si presenta come uomo d’ordine contro il caos della guerra civile e il terrorismo, in un periodo in cui aumentano gli attentati in tutta la Libia. Questo affaire Sarkozy potrebbe dargli una spinta ulteriore.