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IL NODO MIGRANTI

La "ritirata" dell'Ong e le lezioni all'Italia dalla Libia

Save the Children ha sospeso le attività di soccorso dei migranti davanti alla Libia e potrebbe cessare le attività a causa della “mancata sicurezza o di restrizioni all'assistenza umanitaria". Uno “Stato fallito” impartisce lezioni di sovranità all’Italia. I libici hanno dimostrato all’Italia che le questioni strategiche non devonmo essere lasciati in balìa di privati che rispondono a lobby.

Politica 13_08_2017

Save the Children ha sospeso le attività di soccorso dei migranti davanti alla Libia e potrebbe cessare le attività a causa della “mancata sicurezza o di restrizioni all'assistenza umanitaria". La Ong ha sottolineato che la sospensione segue la decisione della Libia di istituire una Zona SAR (Ricerca e Soccorso) "limitando l'accesso delle Ong in acque internazionali" e ad un "rischio sicurezza dovuto a minacce della guardia costiera libica".

Si tratta della prima conseguenza della “cacciata” delle navi delle Ong dalle acque libiche annunciata dal portavoce delle forze navali di Tripoli, Ayub Qassem che intimato a “tutte le navi straniere di restare fuori dall’area di ricerca e soccorso” che si estende fino a 180 chilometri dalle coste.

“Vogliamo mandare un chiaro messaggio a tutti coloro che infrangono la sovranità libica e mancano di rispetto per la Guardia Costiera e alla Marina” ha detto Qassem precisando che la decisione riguarda “le Ong che sostengono di voler salvare i migranti clandestini e di condurre azioni umanitarie”.

“Siamo capaci di condurre le operazioni di salvataggio. La nostra presenza annulla la loro presenza e siamo stufi di queste organizzazioni: hanno fatto aumentare il numero dei migranti e hanno rafforzato i trafficanti e poi ci criticano per il mancato rispetto dei diritti umani”.

Nell’ultima settimana sempre la Guardia Costiera libica ha soccorso in mare e riportato in Libia oltre 1.000 migranti illegali, più di 12 mila nell’ultimo mese.

La drastica decisione libica di chiudere lo spazio marittimo di sua competenza alle navi delle Ong costituisce un’ulteriore conferma delle reiterate accuse che la guardia Costiera libica ha rivolto alle navi “umanitarie” di complicità con i trafficanti di esseri umani. Ipotesi certo non nuova neppure in Italia doe è al centro dell’inchiesta della magistratura di Trapani, ben raccontata ieri da Fausto Biloslavo su Il Giornale, che ha indagato 4 persone.

Oltre al sacerdote eritreo don Mussie Zerai, iscritto dai Pm nei giorni scorsi, sono indagati anche i due comandanti della "Iuventa", la nave della Ong tedesca Jugend Rettet, e un terzo membro dell'equipaggio. L'accusa per tutti è di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ai due comandanti, Jakob Shroter e Jonas Buya, e al marittimo è' stato notificato da agenti della Squadra mobile l'avviso di proroga delle indagini. A don Zerai, presidente della dell'agenzia di informazione Habeshia e punto di riferimento degli S.o.s. dei migranti in navigazione nel Mediterraneo, era stata inviata in precedenza un'informazione di garanzia. Si tratta - dicono da ambienti giudiziari - di provvedimenti obbligatori, legati ai fatti emersi durante le indagini. Nell'ambito dell'inchiesta, condotta dai pm Andrea Tarondo e Antonio Sgarrella, era stato disposto il sequestro della nave "Iuventa", che tuttora si trova ormeggiata nel porto di Trapani.

Mentre in Italia continua un acceso dibattito politico sul codice di comportamento che il governo vorrebbe imporre alle Ong (e sottoscritto da 5 delle 8 organizzazioni presenti) impegnate nel soccorrere e portare nei porti italiani i migranti illegali, la Libia assume la sovranità delle acque di fronte alle sue coste e chiude ogni spazio di attività alle imbarcazioni delle organizzazioni non governative attive nel Mediterraneo Centrale.

Uno “Stato fallito” impartisce lezioni di sovranità all’Italia e alla sua classe politica che continua a dividersi ideologicamente sul ruolo di organizzazioni private che da oggi sono state messe fuori dalla crisi dei migranti dalle autorità marittime libiche.

Fa sorridere, non senza amarezza, constatare che i libici hanno dimostrato all’Italia che le questioni strategiche che concernono interessi e sicurezza nazionale devono essere gestite dallo Stato e dai suoi apparati, non lasciati in balìa di privati che rispondono a lobby e interessi diversi e spesso ostili a quelli della Nazione.