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REDEMPTORIS CUSTOS/3

La Passione di san Giuseppe, due tesi a confronto

Da che cosa originò il travaglio interiore di san Giuseppe di fronte alla divina maternità di Maria? Sul racconto scarno del Vangelo sono sorte nel tempo due differenti interpretazioni. Esse sono note come tesi del “rispetto” e tesi del “sospetto”. Entrambe presuppongono la giustizia insigne di Giuseppe, ma si differenziano riguardo al momento in cui lo sposo di Maria seppe del mistero dell’Incarnazione e ai motivi dell’idea di licenziarla in segreto. Vediamole insieme.

Ecclesia 19_02_2021 English Español

Uno dei temi più delicati quando si parla di san Giuseppe è il travaglio interiore vissuto dallo sposo di Maria quando si accorse della sua misteriosa gravidanza. San Matteo descrive la situazione con rapidi tratti (Mt 1, 18-25). Dalla sua scarna narrazione sono sorte nel tempo due differenti interpretazioni: come annotava il compianto josefologo padre Tarcisio Stramare (†2020), «esse sono conosciute come la tesi del “rispetto” e la tesi del “sospetto”».

Secondo la prima tesi, Maria aveva subito informato Giuseppe della propria divina maternità e lui, pur credendole, avrebbe deciso di licenziarla in segreto per rispettare il piano e i diritti di Dio. A questa tesi si rifà l’esortazione apostolica Redemptoris Custos (vedi soprattutto i punti 2-6 e 20), pubblicata da san Giovanni Paolo II il 15 agosto 1989. A tale documento pontificio collaborò, contribuendo al suo impianto teologico, lo stesso padre Stramare, che nei suoi libri ha a sua volta sostenuto le ragioni del “rispetto”[1]. La già citata esortazione apostolica non contiene, va inteso, alcuna formula dogmatica al riguardo, anche se si tratta chiaramente di una fonte autorevole di magistero.

Nella prospettiva del “rispetto”, l’annuncio angelico sarebbe giunto a Giuseppe a conferma di quanto lo sposo di Maria già sapeva e - secondo quanto scriveva padre Stramare - avrebbe avuto lo scopo «di illuminare con l’appoggio della citazione del profeta la “mirabile maternità di Maria”, come si esprime la Redemptoris Custos (n. 3)». Questa interpretazione si basa fondamentalmente sull’idea che Maria, la prima creatura in terra a ricevere l’annuncio della salvezza, non potesse rimanere in silenzio davanti a una gioia così grande. Citiamo ancora padre Stramare: «Non è, dunque, naturale pensare che Maria, l’Annunziata, sia stata anche la prima annunciatrice della Buona Novella (questo è il Vangelo!) e ne abbia reso partecipe per primo la persona più amata, ossia san Giuseppe, il quale, oltre tutto, essendo il suo vero sposo, è la persona più interessata, ma anche la più coinvolta nel mistero della sua maternità?».

Se si assume questa idea, la conseguenza è ritenere che Giuseppe abbia saputo della divina maternità prima che Elisabetta fosse ispirata in tal senso dallo Spirito Santo (quando chiamò Maria «madre del mio Signore»; Lc 1, 43). Di questo avviso è appunto la Redemptoris Custos: «Di questo mistero divino [la divina maternità, ndr] Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria - ed anche in relazione a Maria - egli partecipa a questa fase culminante dell’autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa sin dal primo inizio. Tenendo sotto gli occhi il testo di entrambi gli evangelisti Matteo e Luca, si può anche dire che Giuseppe è il primo a partecipare alla fede della Madre di Dio, e che, così facendo, sostiene la sua sposa nella fede della divina Annunciazione» (RC, 5).

Per motivare il perché della dolorosa decisione di licenziare in segreto Maria, la tesi del rispetto sostiene che Giuseppe abbia ritenuto di fare un passo indietro davanti alla divina Maestà incarnatasi in Maria. Rileva padre Stramare: «Come già Mosè anche Giuseppe sa bene di trovarsi di fronte al “roveto ardente”: “Non avvicinarti oltre!” (Es 3, 5)». Su questa base, si sottolinea che Giuseppe fosse ancora ignaro dell’altissimo ruolo che Dio aveva pensato per lui, ruolo di cui saranno tra l’altro segno le parole dell’angelo “e tu lo chiamerai Gesù” (Mt 1, 21).

La tesi detta del “sospetto”, molto diffusa, assume invece che il travaglio di Giuseppe fosse sorto proprio perché non era a conoscenza della divina maternità. Egli, cioè, ignorava la causa di quella gravidanza che gli si mostrava con tutta evidenza davanti agli occhi; eppure, in virtù della sua giustizia - lodata nel Vangelo (Mt 1, 19) - e in virtù della santità di Maria, che gli si manifestava ogni giorno, sospese con santa prudenza il suo giudizio. Maria aveva taciuto il mistero per umiltà e, prima ancora, perché non aveva avuto da Dio il permesso di rivelarlo. Si era dunque rimessa in tutto alla volontà divina. Questa tesi, secondo i suoi sostenitori, si accorderebbe meglio con il senso del testo evangelico e in particolare con la liberante rivelazione dell’angelo in sogno, che esordisce dicendo a Giuseppe di non temere di prendere con sé Maria «perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1, 20).

Riguardo alla giustizia di Giuseppe, che malgrado la tribolazione ebbe sempre cura di preservare Maria, così scrive un dottore della Chiesa come san Giovanni Crisostomo: «Giusto, qui, vuol dire perfetto in ogni virtù. Giuseppe, dunque, era giusto, che significa tutto pieno di moderazione e di bontà, volendo rinviarla in segreto. Il Vangelo fa conoscere i pensieri di questo santo uomo, prima che egli conoscesse questo mistero [la divina maternità, ndr], affinché noi stessi non dubitassimo di ciò che accadde quando egli l’ebbe conosciuto. Quanto questa saggezza e virtù sono straordinarie! Egli è così puro e così esente dalla passione che non vuole neppure affliggere Maria nelle più piccole cose. Poiché, da una parte, credeva di violare la legge tenendola presso di sé e, d’altra parte, disonorarla e chiamarla in giudizio era esporla alla morte, egli non fece né l’una né l’altra cosa, ma tenne una condotta che è già ben superiore alla legge antica». Da parte sua, san Girolamo osserva che dichiarare giusto Giuseppe ha un altro mirabile legame con la sua sposa: «Questa è una testimonianza a favore di Maria: Giuseppe, conoscendo la sua castità e stupito per ciò che era avvenuto, nasconde col silenzio colei della quale ignorava il mistero».

In quest’ottica, dunque, è sul mistero ancora sconosciuto che si concentrarono i dubbi di san Giuseppe e, certamente, le sue umili e ferventi preghiere a Dio di essere illuminato. Si può notare che l’intervento del messaggero divino riflette una simmetria celeste, che dispose un’Annunciazione angelica tanto per Maria (Lc 1, 26-38) quanto per Giuseppe (Mt 1, 18-25).

Anche secondo un servo di Dio dei nostri tempi, don Dolindo Ruotolo, «San Giuseppe si accorse di questo [la gravidanza, ndr] per le mutate condizioni di Maria», ma lui «non poté pensare male di una Vergine che conosceva illibata». Don Dolindo prosegue notando che «la Vergine Santissima, dal canto suo, non osò rivelargli il mistero compiutosi in Lei e si rimise al Signore, sembrandole che poteva essere incredibile senza una luce speciale di Dio». Luce speciale che arrivò al culmine della tribolazione, e a cui Giuseppe prestò subito piena fede[2].

Troviamo gli stessi temi di fondo - silenzio di Maria e lotta interiore di Giuseppe - nelle rivelazioni celesti trasmesse a due mistiche di cui la Chiesa ha già riconosciuto le virtù: la beata Anna Katharina Emmerick (†1824) e, soprattutto, la venerabile Maria di Ágreda (†1665). Mentre il racconto della religiosa tedesca è abbastanza breve, la Mistica Città di Dio della suora spagnola tratta estesamente la Passione dei due sposi (cfr. Libro 4°, cap.1-6). La sua opera gode, inoltre, del privilegio di essere stata raccomandata a tutti i cattolici dal beato Innocenzo XI e da altri papi dopo di lui.

La Ágreda riferisce che Giuseppe si accorse che Maria fosse incinta quando questa si trovava al quinto mese. Lei taceva per i motivi già visti, lui non osava chiedere. Giuseppe chiedeva luce a Dio interrogandosi su «qualche mistero che io non comprendo». A sua volta Maria pregava i propri angeli custodi perché consolassero e illuminassero lo sposo. Gli atti eroici dei due sposi sarebbero proseguiti per due mesi. Alla fine Giuseppe progettò di allontanarsi in segreto perché, pur tristissimo al pensiero di perdere la compagnia di una sposa che giudicava «perfettissima», non trovava altra soluzione al proprio turbamento. Ma prima si prostrò a terra, fece voto al Signore e Gli chiese di proteggere Maria dalle calunnie e da ogni male.

La Provvidenza, riporta la venerabile, dispose tutto in modo che Giuseppe e Maria arrivassero «all’estremo del dolore interiore» perché fosse più grande la consolazione divina e per offrire al mondo l’esempio della loro santità davanti alle tribolazioni. Queste ebbero fine la notte stessa in cui Giuseppe aveva progettato di partire, quando lo sposo di Maria ricevette in sogno l’annuncio dell’angelo (Gabriele). «Dopo i patimenti sostenuti dal mio Figlio santissimo, ciò che più mi fece soffrire furono le tribolazioni del mio sposo Giuseppe, in particolare quelle della circostanza di cui vai scrivendo», confidò la Madonna.

La grandezza della tribolazione, spiega la Ágreda, accrebbe la gloria di Giuseppe che attraverso di essa meritò «di essere predisposto da Dio al singolare beneficio che gli preparava». La sua umiltà, già salda, si consolidò profondamente dopo questa prova in quanto, ritenendosi indegno di essere servito dalla Madre di Dio, si umiliava ancora di più. Il Signore lo ricolmò con pienezza di scienza e altri doni celesti. Gli dilatò il cuore e gli fece comprendere come servire degnamente l’altissimo ministero di essere sposo di Maria e, dunque, padre di Dio.

 

[1] Cfr. per esempio “San Giuseppe. Fatto religioso e teologia”, Shalom, 2018, pp. 295-301.

[2] Cfr. “La Sacra Scrittura. I Quattro Vangeli”, commentati da don Dolindo Ruotolo, Casa Mariana Editrice, 2019, pp. 55-64.