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CRISI POLITICA A LONDRA

La May offre le dimissioni per salvare la "sua" Brexit

Brexit, un colpo di scena dietro l’altro. Lunedì scorso, il Parlamento aveva votato per avocare a sé il potere decisionale sul processo di uscita dall’Ue. Poi la premier Theresa May, ieri, ha deciso di fare un discorso di addio, ma condizionato: prendete me, ma non il mio accordo con l’Ue. Tutte le opzioni alternative sono state bocciate

Esteri 28_03_2019
Theresa May

Brexit, un colpo di scena dietro l’altro. Lunedì scorso, il Parlamento aveva votato per avocare a sé il potere decisionale sul processo di uscita dall’Unione Europea, con una mossa senza precedenti ha di fatto esautorato il governo. Poi la premier Theresa May, ieri, ha deciso di fare un discorso di addio, ma condizionato: prendete me, ma non il mio accordo con l’Ue, ha detto in sintesi. Ha offerto le sue dimissioni, che avverranno dopo che il suo piano di uscita (concordato con Bruxelles ma bocciato clamorosamente due volte di fila dal Parlamento) sarà votato dalla maggioranza. E nel frattempo, il Parlamento, con una serie di voti consultivi, bocciava tutte le alternative.

L’annuncio delle prossime dimissioni della May è giunto a tutti come un fulmine a ciel sereno. Anche se, a dire il vero, già lunedì si era riunito il governo per discutere ed escludere un avvicendamento al vertice dell’esecutivo. Se si esclude un’ipotesi, è perché, evidentemente, l’ipotesi c’è. E infatti il Partito Conservatore, dopo la sconfitta della settimana scorsa (il rinvio della data ultima per la Brexit viene vista dai Conservatori, non a torto, come una sconfitta umiliante) aveva ventilato l’ipotesi di un’estromissione della May e di una sua sostituzione temporanea con il vice primo ministro David Lidington. Pur negando lunedì una successione immediata, la May e il suo staff hanno però continuato a lavorare su un piano di uscita di scena. Dopo un silenzio durato giorni, alle 17 di ieri (ora britannica), la premier ha convocato il gruppo parlamentare conservatore, riunito nel Comitato 1922, l’organo conservatore che decide la fiducia o la sfiducia al leader del partito. Ha letto ai deputati un discorso in cui sostiene che “Sono pronta a lasciare questa posizione prima del previsto, per fare quel che è giusto per il bene del nostro Paese e del nostro partito”, ha aggiunto di essere conscia del fatto che i deputati conservatori non voglio che sia lei a guidare la prossima fase negoziale. Le dimissioni saranno rassegnate, una volta che il suo piano di uscita, concordato con l’Ue, venga approvato.

Cosa cambierà con questo annuncio di dimissioni? La premier fa leva sull’ambizione dei suoi oppositori interni. Li vuole attirare, da un lato eliminando se stessa, che ormai è un fattore di attrito. Dall’altro, banalmente, riaprendo la corsa alla leadership interna al partito e nel Paese, in cambio del loro voto all’accordo. Possibile che abbia ottenuto l’obiettivo. Anche se con qualche riserva e a condizione che gli Unionisti nordirlandesi si astengano, Jacob Rees-Mogg (favorevole ad una Brexit a tutti i costi, anche non negoziata) si dice disponibile a cambiare voto. Sulla via dell’allineamento anche Boris Johnson e Iain Duncan Smith. Ma il dissenso resta nel partito Unionista nordirlandese, che da questo accordo avrebbe veramente tutto da perdere. Con un diverso trattamento accordato dall’Ue all’Irlanda del Nord, rispetto al resto del Regno (pur di mantenere una frontiera aperta con la Repubblica di Irlanda), si troverebbe di fatto separata da Londra e più vicina a Dublino. Siccome la ragione dell’esistenza degli Unionisti è precisamente quella di evitare uno scenario del genere, la loro leader Arlene Foster ha dichiarato che non accetterà mai di “firmare qualcosa che danneggerebbe l’Unione”. Lo scoglio dell’Irlanda, dunque, appare ancora una volta come il più difficile da doppiare

Un successo, seppure passivo, del piano della May, comunque, è arrivato inaspettatamente ieri sera, con la bocciatura di tutti i possibili “piani B”. Le alternative al piano della May erano sei, nel corso della settimana sono diventate otto. Sono state bocciate tutte dal voto consultivo di ieri, praticamente un sondaggio interno al Parlamento, a risposta multipla. Nessuna proposta ha ottenuto la maggioranza. L’opzione della permanenza nell’unione doganale è stata sconfitta con 272 contro 264 voti, quella del nuovo referendum da 295 contro 268, quella laburista che prevede un maggior allineamento con il Mercato Unico e maggiori tutele dei diritti dei lavoratori, bocciata da 307 voti contro 237, giusto per citare le proposte che avevano maggiori chance di vittoria. Le altre cinque sono state tutte respinte dalla maggioranza. E se poi dovesse essere bocciato per la terza volta il piano della May? Un’uscita non concordata del Regno Unito dall'Ue diverrebbe, a quel punto, un’ipotesi molto realistica.