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BUROCRAZIA

La mafia prospera, l'Antimafia non ha direzione

Da oltre sette mesi è vacante la posizione di Procuratore nazionale antimafia, in sostituzione di Pietro Grasso, malgrado i rapporti sulla criminalità mettano in evidenza un aumento di attività illegali legato alla crisi economica.

Cronaca 17_07_2013
consiglio superiore della magistratura

Grazie alla campagna di stampa delle ultime settimane dei maggiori quotidiani e delle più importanti testate televisive, alla mobilitazione di tutte le segreterie dei partiti e dei gruppi parlamentari, dell’Associazione Nazionale Magistrati, di tutte le correnti della Magistratura e di tutte le organizzazioni che si occupano di giustizia, oltre che di tutti i sindacati delle forze dell’Ordine – e si potrebbe continuare all’infinito – finalmente, il Consiglio Superiore della Magistratura ha nominato il successore di Pietro Grasso, ora Presidente del Senato, alla Direzione Nazionale Antimafia. La notizia, naturalmente, è una bufala. Non siamo un Paese in cui si fanno mobilitazioni su temi così poco seri. Che necessità c’è di nominare il Procuratore Nazionale Antimafia dopo 7 mesi e 11 giorni dalle dimissioni di Grasso? Quali sono mai le urgenze che si devono affrontare?

Forse quelle descritte da uno studio del 2012 di Unimpresa: “Con la crisi finanziaria e la recessione sta crescendo in maniera drammatica, giorno dopo giorno, il numero delle imprese italiane attratte nel circuito dell’economia illegale: la recessione agevola la cosiddetta Mafia spa e non solo nel Mezzogiorno. La criminalità organizzata ha individuato nelle piccole e medie imprese l’anello debole per infiltrarsi nel tessuto economico del Paese? O forse quelle contenute nella Relazione della Commissione Antimafia, dove si afferma che l'attività mafiosa nelle quattro regioni di origine (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), è causa di un mancato sviluppo equivalente al 15-20% del PIL delle stesse regioni, nelle quali gli investimenti e le speculazioni mafiose giungono in ogni settore di attività e si confondono sempre più con l'economia legale; che il 53% dei referenti del sistema Confindustria del Mezzogiorno reputa la propria area territoriale molto insicura e il 42% attribuisce questa insicurezza alla criminalità organizzata e alla illegalità diffusa; che circa un terzo delle imprese meridionali subisce una qualche influenza delle mafie, con dati che oscillano tra il 53% della Calabria e il 18% della Puglia; che l’ammontare del riciclaggio concorre a “riconsiderare il trinomio mafia-affari-politica come l'espressione di un vero e proprio ‘sistema criminale’; un sistema che va oltre i confini tradizionali delle singole organizzazioni mafiose, confondendosi e amalgamandosi con la vita ordinaria dell'economia, della società e delle istituzioni”; che di una “zona grigia” fanno parte “persone generalmente insospettabili e dotate di competenze imprenditoriali, finanziarie, giuridiche, istituzionali e politiche che, nel loro insieme, costituiscono il filtro indispensabile per far passare enormi capitali dall'economia criminale all'economia legale”?

O, ancora, quelle delineate dalla XIII edizione del rapporto "Le mani della criminalità sulle imprese", della Confesercenti e Sos Impresa, dove si denuncia che l’attività della criminalità, che ha un fatturato che supera i 140 miliardi di euro, pari a circa il 7% del Pil, con un utile che sfiora i 100 miliardi di euro e 65 miliardi di liquidità, incide direttamente sul mondo dell'impresa? O quelle contenute nell’inchiesta denominata “Eolo”, condotta a Palermo, dov’è stato disposto il sequestro di un miliardo e 300 mila euro di beni mobili e immobili di un imprenditore, proprietario di 43 società eoliche, 66 conti finanziari, 7 beni mobili, imbarcazioni, automobili, moto e 98 beni immobili, ville e appartamenti - con l’accusa di “contiguità consapevole con la criminalità organizzata” e che dimostrerebbe l’interesse delle mafie, in concorso con apparati delle pubbliche amministrazioni, nei confronti di settori economici in grande espansione, come quello delle energie rinnovabili? O, infine – ma solo per ragioni spazio – quelle che dovrebbero riguardare la conduzione di indagini che portino alla cattura di quei personaggi che sono a capo delle organizzazioni criminali e che diventano “leggende” per le loro latitanze che durano dieci, venti o trent’anni?

Queste non sono urgenze, in questo Paese. A sollecitare la nomina del successore di Grasso, è stato persino il Presidente della Repubblica, ma il Consiglio Superiore della Magistratura, di cui Napolitano è Presidente, è diviso, “registrano” i giornali. La V Commissione per gli incarichi direttivi ha indicato quattro candidati, frutto delle indicazioni ricevute dalle varie correnti, rimettendo di fatto la scelta al Plenum del Consiglio superiore della magistratura. I proponenti prepareranno le motivazioni. La delibera sarà poi trasmessa al Ministro della Giustizia, che deve esprimere un parere, peraltro non vincolante. Poi la delibera torna al CSM e la procedura si conclude con il voto del plenum. I tempi? La commissione incarichi direttivi scade il 31 luglio e sono in calendario solo tre date per il plenum straordinario: oggi, il 24 e il 30 luglio. Secondo gli esperti di questi farraginosi iter burocratici, il tutto si concluderà nell’ultima seduta utile, prima delle meritate ferie estive. Se l’accordo non si troverà, si ricomincerà da capo.