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TERRENO DI SCONTRO

La Jihad si cela e riorganizza nel continente nero

Nella tarda mattinata di venerdì 2 marzo, terroristi hanno attaccato l’ambasciata francese e una caserma militare a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Poco prima, dall'altra parte dell'Africa, un'autobomba esplodeva in Somalia. Così il Califfato, sconfitto in Iraq e Siria, si riorganizza nel continente nero.

Esteri 03_03_2018
L'attacco a Ouagadougou

Nella tarda mattinata di venerdì 2 marzo degli uomini armati e mascherati hanno attaccato l’ambasciata francese e una caserma militare a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Raggiunta la sede diplomatica in auto, hanno tentato sparando a raffica di introdursi nell’edificio forzandone gli ingressi. Non riuscendo nell’intento si sono quindi diretti al quartier generale dell’esercito. Le riprese effettuate mentre ancora si combatteva mostravano enormi colonne di fumo nero levarsi dall’area militare.

Per ore i miliziani si sono scontrati con i soldati francesi della missione militare permanente Barkane e con unità dell’esercito burkinabé. Un primo bilancio parlava di sette morti tra le forze di sicurezza e altrettanti tra i miliziani, mentre non si sarebbero registrate vittime tra i civili. In serata però fonti di polizia hanno riferito di almeno 28 morti e una cinquantina di feriti nel solo attacco al quartier generale dell’esercito. Il sindaco della capitale prima e una fonte governativa poi hanno parlato di azione jihadista. Benchè ancora non si abbia notizia di rivendicazioni, la matrice jihadista è effettivamente più che probabile. La capitale del paese africano è già stata colpita due volte da gruppi jihadisti legati ad al Qaeda: nel 2016 sono stati presi di mira un albergo e un caffé adiacente e ci sono state una trentina di vittime civili, clienti e dipendenti; lo scorso agosto è toccato a un ristorante e 18 avventori hanno perso la vita. Quest’ultimo attacco potrebbe essere opera di Nusrat al Islam, un gruppo attivo nel Maghreb e nell’Africa occidentale, formatosi dalla fusione di quattro gruppi. Celebrerebbe così il suo primo anniversario essendosi costituito il 2 marzo 2017.

L’azione terroristica segue di poche ore l’esplosione di un’autobomba in Somalia a un posto di blocco militare. L’autista, vistosi scoperto, ha azionato il detonatore morendo insieme a un militare e a molti civili. L’azione rivendicata da al Shabaab, il gruppo armato legato ad al Qaeda, mirava a compiere una strage nel centro della capitale Mogadiscio. Solo pochi giorni prima, il 23 febbraio, due autobombe sono saltate in aria sempre nella capitale, una vicino al palazzo presidenziale, l’altra nei pressi di un albergo poco distante, uccidendo almeno 38 persone e ferendone decine. È seguito uno scontro a fuoco tra i jihadisti e gli agenti di sicurezza. Al Shabaab rivendicando l’attentato ha detto che cinque combattenti, inclusi i due conducenti delle autobomba, sono andati incontro al “martirio”.

Nel giugno del 2015 l’allora premier somalo Ali Sharmarke aveva assicurato che la guerra ad al Shabaab si sarebbe probabilmente conclusa entro l’anno. Da allora i jihadisti, pur avendo perso alcune delle principali città del paese, continuano invece a controllare vasti territori e quasi ogni settimana colpiscono la capitale. Agiscono anche oltre confine, in Kenya. Poche ore prima che iniziasse l’attacco a Ouagadougou, hanno ucciso cinque agenti di polizia nel nord est. Il 16 febbraio avevano fatto incursione in una scuola, dopo aver posto dell’esplosivo lungo la strada che porta all’istituto per ritardare l’arrivo degli aiuti, e avevano ucciso tre insegnanti.

A ottobre in Somalia i jihadisti hanno messo a segno il loro più clamoroso atto di terrorismo. Una autobomba esplosa nel cuore di Mogadiscio ha ucciso più di 500 persone. Quell’azione però non è stata rivendicata da al Shabaab. Si ritiene che sia stata compiuta dall’Isis, lo Stato Islamico, che da mesi si è infiltrato nel paese creando cellule costituite da militanti di al Shabaab secessionisti e da miliziani stranieri provenienti dal Medio oriente in seguito alla sconfitta dell’Isis in Siria e in Iraq.

Il Califfato, l’Isis, può essere un territorio conquistato – tra Iraq e Siria, nel nord est della Nigeria, nel Sinai, in Libia… – ma non solo. È ovunque una persona giuri jihad, guerra santa, e fedeltà al Califfo, ovunque un pugno di persone decidano di combattere disposti al “martirio”. L’Africa subsahariana fornisce infiniti nascondigli sicuri dove ricuperare le forze e formare cellule combattenti. Sono i territori privi di controllo, dove svolgono la loro attività anche le bande criminali che contrabbandano droga, armi, che praticano la tratta di donne e bambini, che organizzano l’emigrazione clandestina: estensioni di savana, boscaglia e foresta, ma anche quartieri popolari e slum cittadini. Nessun paese è al sicuro. L’allarme in questi ultimi mesi si è esteso fino al Sudafrica. Già nel 2016 alcuni militanti Isis erano stati arrestati e incriminati nell’ambito di una indagine relativa a dei piani di attacco a obiettivi israeliani e all’ambasciata Usa. È noto che negli anni scorsi molti cittadini sudafricani si sono recati in Iraq, Siria e Libia per unirsi all’Isis. Adesso tanti stanno tornando a casa. Il Ministero degli esteri britannico da tempo ha indicato questi rimpatriati come potenziali minacce alla sicurezza. Benchè il paese non sia considerato terreno fertile per l’estremismo islamico, tuttavia si ritiene che possa essere usato dai militanti di altri stati africani in cerca di documenti di viaggio sicuri o di luoghi in cui nascondersi.

Il 12 febbraio sono stati sequestrati due cittadini sudafricani con passaporto britannico e si sospetta che il rapimento sia opera dell’Isis. Il governo britannico ha diramato un allarme dichiarando essere “probabile che i terroristi cerchino di compiere degli attacchi nel paese”.