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LA VITA DI GESÙ NELL’ARTE/16

La guarigione dei lebbrosi, un miracolo poco raffigurato

Uno dei miracoli del Signore Gesù più impressionanti ma meno rappresentati nell’arte è la guarigione dei dieci lebbrosi. Il fatto, comunque, è splendidamente raffigurato in un codice miniato: il Codice aureo di Echternach, oggi custodito al Museo Nazionale Germanico.
- LA RICETTA

Cultura 29_03_2022 English Español

La vita pubblica di Gesù è costellata da episodi miracolosi, descritti nei Vangeli, che hanno destato scalpore e meraviglia in chi li riceveva o a chi vi assisteva. Gesù compie i miracoli come testimonianza dell’esistenza di Dio e della Sua volontà di riscattare gli esseri umani dai mali spirituali e materiali: sono atti subordinati alla fede di chi li riceve. Quindi i miracoli non hanno solo la funzione di guarire (fisicamente e moralmente) le persone, ma alimentano la fede, che è un requisito essenziale nella vita umana per poter seguire gli insegnamenti di Dio ed essere in comunione con Lui.

Gesù, uomo e Dio allo stesso tempo, sta tra gli uomini perché è uno di loro, ma compie atti prodigiosi, con i poteri divini che gli sono propri e che trascendono i limiti terreni: i miracoli, appunto. La parola ha origine latina (miraculum) e significa “cosa meravigliosa”. I miracoli relativi a Gesù possono essere classificati per genere: Incarnazione, guarigioni, esorcismi, dominio della natura, resurrezioni dai morti ecc.

Nel Nuovo Testamento i miracoli, concreti, di Gesù sono accompagnati da un valore simbolico, perché spesso dopo averli fatti Gesù va via, sparisce o si nasconde: dopo la moltiplicazione dei pani si nasconde per sfuggire alla gente che voleva proclamarlo re. Oppure rifiuta di farli, come è successo nel periodo passato nel deserto dopo il battesimo, quando Satana lo sfida a trasformare i sassi in pane per mostrare il suo potere. In questo e in altri episodi Gesù evita che i miracoli da Lui operati possano venire equivocati dalla gente: spesso chiede ai miracolati di mantenere il silenzio su quanto è accaduto loro. Inoltre, vieta loro di seguirlo e indica come segno di conversione quello della croce. Attraverso i miracoli Gesù annuncia il regno di Dio e la Sua misericordia verso gli uomini, peccatori in primis.

Uno dei miracoli più impressionanti e meno rappresentati nell’arte è quello della guarigione dei dieci lebbrosi. Benché quasi certamente il termine ebraico “tzaraath” presente nell’Antico Testamento (Levitico) - termine tradotto in greco, nella Septuaginta, con la parola Λέπρα (lepra), che indica l'essere "squamoso" e da cui deriva l'italiano lebbra - non coincida con la malattia che noi conosciamo, tutti e tre i Vangeli sinottici contengono un passo simile sulla guarigione di un lebbroso: Matteo 8:1-4; Marco 1:40-45; Luca 5:12-15.

Invece, la guarigione dei dieci lebbrosi è raccontata solo da Luca (17:11-19):

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

L’arte cristiana ha raffigurato entrambi gli episodi, ma questo tema, rintracciabile solo a partire dall’arte medievale, è comunque poco diffuso e praticamente ignorato da tutti i grandi artisti. L’iconografia dei due episodi è abbastanza fissa: generalmente Gesù è accompagnato dagli apostoli, tra cui spicca Pietro, e il lebbroso o i lebbrosi sono sempre riconoscibili per la pelle ricoperta di macchie, che danno loro un aspetto impuro e ne fanno dei reietti dalla società, dei “morti vivi”. Era (ed è) una malattia terribile e spaventosa.

L’epoca della comparsa di questa malattia rimane avvolta nel mistero, ma si pensa che abbia avuto origine in India o Africa, benché più recenti studi propongano altre possibilità. I più antichi resti umani con segni indubbi di lebbra risalgono al II millennio a.C. e sono stati ritrovati nei siti archeologici di Balathal in India e Harappa in Pakistan. Intorno al 400 a.C. la lebbra fece la sua comparsa in Cina: il libro “Feng zhen shi”, scritto tra il 266 e il 246 a.C., è il primo testo cinese che ne descrive i sintomi. La lebbra fu descritta anche nell’antica Roma dagli autori Aulo Cornelio Celso (25 a.C. - 45 d.C.) e Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.). Ma la storia della lebbra è lunga e complessa e lo spazio non ci permette di dilungarci sull’argomento medico.

Tornando alla scarsa raffigurazione nell’arte del miracolo specifico riferito alla guarigione dei lebbrosi per intervento di Gesù, oltre a qualche affresco, come quello del monastero di Visoki Decani (XIV secolo) oppure i mosaici del Duomo di Monreale (XIII secolo), l’episodio di questa guarigione di gruppo è splendidamente raffigurato in un codice miniato: il Codice aureo di Echternach (Codex aureus Epternacencis). Si tratta di un codice dell’XI secolo, interamente scritto in lettere d’oro. Fu prodotto presso l’Abbazia di Echternach (ora in Lussemburgo, vedi foto) sotto la direzione dell’abate Humbert, tra il 1030 e il 1050. Il manoscritto è formato da 136 fogli di 446x310 mm, con 60 pagine miniate di cui 16 a tutta pagina, 9 capilettere miniate a piena pagina e 16 su metà pagina, 5 miniature degli evangelisti. Vi si trovano anche 10 tabelle di canoni interamente miniate e altre 503 lettere iniziali miniate. La custodia del manoscritto, riccamente ornata, risalirebbe a circa 50 anni prima.

Il manoscritto era di proprietà del governo lussemburghese, ma venne venduto al governo germanico nel 1800. Attualmente è custodito al Museo Nazionale Germanico di Norimberga.

L'ex abbazia di Echternach era un monastero di monaci benedettini situato sulle rive del Sûre (in tedesco Sauer), in Lussemburgo. Cofondata nel VII secolo da san Villibrordo (658-739, vescovo di Utrecht) e sant’Irmina di Oehren (morta nel 710 ca.), fu soppressa durante l'occupazione francese alla fine del XVIII secolo. Centro di pellegrinaggi alla tomba di san Villibrordo (chiamata anche “processione danzante di Echternach”), l’antica chiesa abbaziale fu saccheggiata dai soldati francesi nel 1795. Ricostruita nel 1868, è basilica minore dal 1939: è in quell’anno che, riconoscendo la sua importanza come centro nazionale di pellegrinaggio a san Villibrordo, papa Pio XII concesse alla chiesa lo status di basilica minore. Ogni anno il Martedì di Pentecoste si svolge una processione danzante in onore di san Villibrordo. Questa processione è unica al mondo e per questa ragione l‘Unesco l’ha dichiarata patrimonio dell’umanità.

La basilica fu poi in parte distrutta durante la battaglia delle Ardenne nel dicembre 1944. L’attuale edificio risale al 1953. È la sesta chiesa in quattordici secoli ad essere ricostruita in stile romanico originale. La facciata è ispirata alla basilica di Paray-le-Monial. L'edificio, ricostruito, è stato consacrato, appunto, nel 1953. La cripta dell’VIII secolo è sopravvissuta alle vicissitudini del tempo senza gravi danni. Il Liceo classico di Echternach e il suo collegio occupano oggi gran parte degli edifici monastici, ma l’edificio rimane nel resto un luogo di culto, dove ogni anno a Pentecoste ha luogo la processione danzante, che varrebbe la pena di vedere.