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IL CASO

La folle "crociata" di don Gianfranco

A poco più di una settimana dall’esito delle urne, e mentre ci si arrovella su come dare un governo al Paese, resta l’interrogativo: di chi è la colpa? Di un sistema elettorale che dà il 55% dei deputati a una coalizione, il centrosinistra, che ha meno del 30%? 

Politica 06_03_2013
Prete Spoleto

A poco più di una settimana dall’esito (a sorpresa) delle urne, e mentre ci si arrovella su come dare un governo al Paese, resta l’interrogativo: come può essere accaduto? Di chi è la colpa? Di un sistema elettorale che dà il 55 per cento dei deputati a una coalizione, il centrosinistra, che ha meno del 30 per cento dei voti validi e ha sopravanzato la coalizione avversaria per uno zero virgola? Dei vecchi partiti che non hanno saputo cogliere i bisogni dei cittadini? Della corruzione e del malaffare dilaganti? Dei costi della politica? Della crisi economica? Di Grillo e della sua grande forza di persuasione basata sul nulla?
No, signori; il responsabile della pericolosa situazione di ingovernabilità che si è creata è di un certo don Gianfranco e di chi la pensa come lui. Vediamo perché. 

L’APPELLO DI UNA SENATRICE. Qualche settimana prima del voto una senatrice umbra uscente del Pdl, Ada Spadoni Urbani, manda una lettera a tutti i parroci della regione, spiegando il motivo per cui si ricandida e quali sono i suoi ideali. Iniziativa forse poco ortodossa, che sa di vecchie, ammuffite, liturgie democristiane, ma pur sempre legittima. Libera la signora di scrivere, liberi i parroci di cestinare la sua lettera o di prenderla in considerazione. La senatrice si mostra preoccupata perché il nuovo Parlamento dovrà affrontare «parecchi argomenti che riguardano temi etici importanti e delicatissimi». Ed esemplifica: «le disposizioni sul fine vita, la legge sul matrimonio per le coppie omosessuali, l’adozione di bambini nelle stesse coppie omosessuali, le problematiche sull’uso degli embrioni, l’apertura all’aborto eugenetico». In pratica cita (quasi) tutti i principi non negoziabili così vivacemente richiamati dal Magistero proprio in vista delle elezioni. La senatrice aggiunge di aver fondato, insieme con altri colleghi, l’Associazione parlamentare per la Vita, formata da una sessantina di deputati e senatori di vari schieramenti, e precisa che il suo partito, il Pdl, «sui temi etici è sempre stato unito e coerente».

La lettera si conclude con l’impegno a respingere «la modificazione dei valori di fondo della nostra società» e con l’auspicio «che nel futuro Parlamento ci sia un numero di persone sufficienti a non far passare leggi contro la famiglia, l’uomo e la sua vita». Ada Spadoni Urbani chiede a ogni parroco il sostegno, ringraziando «per tutto quello che riterrà di fare».

AL ROGO! AL ROGO! Lettera inusuale, anacronistica, quella della senatrice (che non verrà rieletta), magari poco opportuna, ma sincera, che fotografa la realtà per quello che è; e soprattutto prende le mosse dalle autorevoli indicazioni dei vescovi. Ebbene, la reazione di un certo don Gianfranco Formenton, parroco a Spoleto ma di origini venete, già noto alle cronache per le sue viscerali campagne antiberlusconiane, è stupefacente: anziché riflettere, anche criticamente, sui contenuti della lettera, la rimanda al mittente con argomenti risibili, mette il tutto in rete, e chiama alla rivolta il Paese contro il Nemico di Arcore, facendo partire una sorta di catena di Sant’Antonio, nel segno del livore e della ribellione di stampo giacobino.

Per l’ineffabile don Gianfranco i «cosiddetti» temi etici richiamati dalla lettera (il fine vita, le unioni omosessuali, gli embrioni, l’aborto) non sono altro che «luoghi comuni»; sono ignorati invece ben altri «valori non negoziabili», quelli inerenti a «comportamenti di vita, di etica pubblica e di testimonianza». E arriva la ciliegina: «mentre nel Vangelo non c’è una sola parola sulle unioni omosessuali, sul fine vita e sull’aborto» (sic!), invece ci sono «monumenti innalzati alla tolleranza, alla nonviolenza, all’accoglienza dello straniero, al rifiuto delle logiche della furbizia e del potere». Dopo aver imputato al Cavaliere la maggior responsabilità nell’affermazione del relativismo morale, grazie al suo strapotere mediatico (?!) e dopo aver condannato la vicinanza della senatrice «a tutta una serie di personaggi che coltivano ideologie razziste, populiste, fasciste che sono assolutamente anticristiane, antievangeliche, antiumane», il parroco conclude rifiutando l’aiuto richiesto dalla senatrice pidiellina, tacciandola di esibire «presunte credenziali di cattolicità» e vantandosi per il fatto che, anzi, le farà una campagna contro suggerendo alle «pecorelle» del suo gregge di non votarla.

IL DEMONE DEL MORALISMO. In una successiva intervista, lo stesso don Gianfranco ribadirà, rincarando la dose, che la sua risposta alla senatrice è stato un «dovere morale» e che, entrando nel merito, «sul fine vita e sull’aborto i cristiani spesso fanno un grosso errore: si preoccupano della parte iniziale e finale della vita, senza pensare che in mezzo c’è tutta l’esistenza di un uomo». Infine invita Berlusconi a farsi da parte, come «gesto di misericordia, dopo tutti i cattivi esempi dati in questi anni». Fin qui il prete umbro, che rifiuta l’etichetta di «prete comunista». Ha ragione. E’ peggio. E’ un sacerdote che, anziché aiutare il popolo cristiano che gli è stato affidato, orientandolo con un intelligente criterio di fede, di fatto lo ha gettato tra le braccia del più banale moralismo, il vero peccato mortale di tanti cattolici del nostro tempo. Cita la frase, che Bagnasco prima delle elezioni aveva buttato lì come risposta alle domande incalzanti della stampa («gli elettori cattolici non si faranno abbindolare»), interpretandola a senso unico come un invito a non votare centrodestra, ignorando totalmente (anzi irridendo) l’indicazione magisteriale a individuare forze politiche e candidati attenti ai «valori non negoziabili» (liquidati come «luoghi comuni»), preoccupazione espressa con forza, e in modo ufficiale, dallo stesso presidente della Cei, cui don Gianfranco si richiama con tanta superficialità.

Probabilmente molti suoi parrocchiani avranno votato convinti e sereni Grillo, perché l’ex (o ancora) comico non ama sculettamenti televisivi e igieniste mentali, è integerrimo e incorruttibile e sicuramente sarà in grado di risolvere con la sua bacchetta magica i drammatici problemi dell’Italia. Ciò che conta è che non abbia vinto il cattivo Cavaliere nero, causa di tutti i mali: peccato non averlo completamente annientato…

UNA NEFANDA OPERA DISEDUCATIVA. Ciò che sfugge completamente ai numerosi (ahimè) don Gianfranco in giro per le parrocchie italiane, e che tanti danni arrecano alla Chiesa e al Paese, è una visione corretta del significato profondo della politica, che è fatta di uomini e di donne in carne e ossa (non di mostri immaginari biechi razzisti e fascisti) e di scelte concrete legate a precise antropologie: non è la stessa cosa, ad esempio, dovendo scegliere, indirizare fondi pubblici ad associazioni pro nozze gay o a favore di chi vuole aiutare le mamme in difficoltà nel portare avanti una gravidanza…

In altre parole, manca lo sguardo attento a cogliere che cosa sia davvero il bene comune, soprattutto in una prospettiva a lungo respiro. Il risultato di questa nefanda opera diseducativa? Due sono gli esiti. Uno è sotto gli occhi di tutti: l’ingovernabilità dell’Italia per il successo del movimento Cinque Stelle, considerato una forza giovane e innovatrice, in realtà foriera di inquietanti svolte autoritarie, giustizialiste e avanguardiste. L’altro esito, ancor più grave, è la dissoluzione della presenza dei cattolici sulla scena politica, ridotta a poche, eroiche testimonianze individuali.

Già era poca cosa la pattuglia dei «cattolici democratici» nel Pd, con scarsissimi spazi di manovra in un partito che andava, e che va, da tutt’altra parte; ora abbiamo un pattuglione di grillini cui non importa proprio nulla dei valori cristiani; anzi, alla prima occasione saranno ben felici di combatterli. L’unica, residua speranza era di poter contare su una presenza significativa di parlamentari attenti a questi valori all’interno del centrodestra e del centro.
Sicuramente la senatrice umbra tanto svillaneggiata dal parroco inquisitore era una di questi: seria, chiara nel dichiarare i suoi ideali, pronta a battersi per il bene comune e disposta al dialogo. Nossignori!

Questa senatrice è da mettere al rogo o per lo meno da tenere fuori dalle Camere perché è in un partito guidato dal più pericoloso criminale che si sia mai visto nel panorama politico italiano, forse mondiale. Questo è quello che pensa il nostro caro don Gianfranco, che si è comportato di conseguenza, è venuto meno ai suoi doveri di pastore attento alla realtà e di fatto ha contribuito alla disgregazione del quadro politico. Magari lui è ben contento di questo risultato; noi diciamo che se l’Italia è piombata nell’ingovernabilità, la colpa è anche sua.