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XI JINPING IN ITALIA

La Cina ha imposto la sua agenda

Il viaggio di Xi Jinping in Italia si è concluso e il presidente cinese si è già trasferito in Francia, lasciando dietro di sé l’entusiasmo di politici, Vip e imprenditori italiani che hanno fatto a gara ad incontrarlo nel gran galà a lui dedicato al Quirinale. La Cina ci impone la sua agenda, con una serie di accordi più politici che economici

Editoriali 25_03_2019
Xi Jinping

Il viaggio di Xi Jinping in Italia si è concluso e il presidente cinese si è già trasferito in Francia, lasciando dietro di sé l’entusiasmo di politici, Vip e imprenditori italiani che hanno fatto a gara ad incontrarlo nel gran galà a lui dedicato al Quirinale. Innanzitutto va detto che il Memorandum di Intesa per la Bri (Belt and Road Initiative, base per la nuova Via della Seta) è stato accompagnato da una serie di accordi più politici che economici. Nessuno dei quali, però, riflette dei valori politici. Ed è questo, soprattutto, che dovrebbe preoccupare.

Il grosso della polemica, nazionale e internazionale, si concentra sul contenuto degli accordi economici e tecnologici. In particolar modo si discute sulla possibile cooperazione con la Cina nel campo della nuova tecnologia 5G, la rete Internet ultra-rapida. Era quella che preoccupava soprattutto gli Usa e il governo ha negato che fosse in agenda. Ma anche se non se ne parla esplicitamente, fra le righe del memorandum, la si trova: «Le parti collaboreranno nello sviluppo della connettività infrastrutturale, compresi aspetti quali le modalità di finanziamento, interoperabilità e la logistica, in settori di reciproco interesse (quali strade, ferrovie, ponti, aviazione civile, porti, energia e telecomunicazioni)». Corsivo nostro. Questa è già una scelta di campo strategica, oltre che economica.

Sono 10 gli accordi fra imprese e 19 quelli fra istituzioni. Anche la decina di intese fra imprese è, a ben vedere, una serie di patti fra i due Stati, che riguardano enti pubblici e aziende di proprietà statale. Intese istituzionali che hanno una valenza puramente commerciale sono quelle che riguardano l’esportazione in Cina delle arance, della carne suina congelata e del seme bovino. I due accordi strategicamente più rilevanti sono quelli sui porti di Genova e Monfalcone siglati con la China Communication Construction Company. Sono ancora generici, ma prevedono l’impegno cinese per migliorare l’infrastruttura ferroviaria e farne la base logistica dell’interscambio Italia-Cina. Si mira al finanziamento (pubblico, pure qui) delle imprese italiane in Cina, anche tramite l’emissione di Panda bond, cioè titoli in renminbi, la valuta cinese, da parte della Cassa Depositi e Prestiti, in cooperazione con la Banca di Cina. Sono aziende pubbliche o società il cui azionista di maggioranza è lo Stato, anche l’Eni, Ansaldo Energia e l’Agenzia Spaziale Italiana, che hanno firmato gli accordi più importanti con controparti, sempre pubbliche, della Cina comunista.

Visto che si tratta, appunto, di una maggioranza di accordi politici, a spese del contribuente, quale sarà il loro scopo ultimo? La Cina ha un’idea chiara, sul suo obiettivo finale: creare una sfera di influenza sempre più ampia e dipendente da Pechino. Lo ha fatto con i paesi asiatici vicini, poi con Stati dell’Africa nera e infine punta alla più ricca Europa. Ma l’Italia a cosa mira? Non alla promozione di riforme e diritti umani in una Repubblica Popolare che li viola sistematicamente (campi di rieducazione, prigionieri politici, record di esecuzioni capitali, sorveglianza totale, persecuzione dei cristiani e delle minoranze etniche). Come prevedibile, di diritti umani si è parlato pochissimo e in termini vaghi: lo ha fatto il presidente Mattarella, durante l’incontro con l’omologo Xi Jinping e rimandando la discussione a un “confronto” futuro e in sede europea. Non abbiamo mostrato alcun interesse a rendere la Cina più affine al nostro sistema di valori. Di cultura si parla nell’accordo per la restituzione di 796 reperti alla Cina, e la promozione congiunta dei siti Unesco. E l’Unesco è sempre più la cassa di risonanza della Cina, oltre che dei paesi islamici (testimoni gli Usa, che si sono ritirati per protesta). Si parla di cultura anche negli accordi più simbolici, con i gemellaggi di Verona con Hangzhou e delle Langhe e Monferrato con le risaie a terrazza dello Yunnan.

In compenso è molto visibile l’influenza che i cinesi vogliono avere in Italia, per diffondere il loro punto di vista, anche con i loro metodi. E' sintomatico che, prima dell’incontro al Quirinale, il capo dell’ufficio stampa dell’Ambasciata cinese abbia rimproverato la giornalista de Il Foglio Giulia Pompili (“La devi smettere di parlare male della Cina” “Non devi ridere! La devi smettere di parlare male della Cina!”) poi le abbia intimato di mettere via il cellulare. Lo ha fatto a Roma, ma forse pensando di essere ancora a Pechino. Proprio quel giorno l’agenzia stampa italiana Ansa firmava gli accordi con l’agenzia stampa di regime Xinhua per la diffusione delle notizie cinesi in italiano. La Rai faceva lo stesso con il China Media Group. Il punto di vista cinese, dunque, avrà molto più spazio in Italia. E viceversa? Si trova poco o nulla, a parte l’Istituto per il Commercio Estero che ha chiuso un'intesa con Suning (proprietario dell'Inter) per la creazione di una piattaforma di promozione dello stile di vita italiano. Quale stile di vita? Pizza, mandolino, calcio e buon vino? Magari sì, ma attenzione alle immagini: guai a fare spot con una ragazza cinese che prova a mangiare un cannolo siciliano con le bacchette. Altrimenti 1 miliardo e mezzo di cinesi ci boicottano e facciamo bancarotta (chiedere a Dolce&Gabbana che ne hanno fatto esperienza diretta).