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RELAZIONE AGCOM

Italiani pigri con Internet, vanno forte col telefonino

Nel 2015, il 28% degli italiani non ha mai utilizzato internet, a fronte di una media europea del 16%. E meno male che gli italiani vanno in rete grazie al telefonino e al tablet, con percentuali superiori al 70%, dunque in linea con le medie Ue. Dati contenuti nella relazione annuale del Garante per le Comunicazioni (Agcom). 

Economia 06_07_2016
Italiani in ritardo nell'uso di internet

L’ecosistema digitale italiano non decolla. Anche quest’anno, nella sua consueta Relazione annuale al Parlamento, il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), Marcello Cardani, non ha nascosto le sue preoccupazioni per il ritardo del nostro Paese nell’utilizzo delle nuove tecnologie.

Progressi si sono registrati sul fronte dell’offerta, ma è la domanda di servizi in Rete che segna il passo e che continua a tenere ben lontano il nostro Paese dagli standard europei. Rispetto a un anno fa, la disponibilità dei servizi di accesso a reti fisse a banda larga ha raggiunto il 99% delle abitazioni e anche quella a banda ultralarga è passata dal 36% al 44%. Tuttavia, la propensione degli italiani all’uso di internet continua ad essere scarsa, con tutto ciò che ne consegue in termini di competitività dell’intero “Sistema Italia”.

Nel dettaglio, si evince che i consumatori italiani continuano a preferire l’accesso alle reti mobili rispetto a quelle fisse (75% di diffusione contro il 53% degli accessi alla rete fissa a banda larga base, sintomo di un rallentato processo di convergenza rispetto all’Europa, in cui gli indicatori sono pressoché equivalenti tra loro). Parziale recupero infrastrutturale, quindi, ma privo di ricadute e benefici sulla qualità della vita dei cittadini. Parziale in quanto la diffusione degli accessi a banda ultralarga è ancora molto bassa (5,4% il numero di abbonati sulla popolazione contro il 30% dell’Unione europea). Un gap davvero enorme con il resto del Vecchio Continente, che pone una serie di interrogativi sull’effettiva portata innovativa di scelte fatte dai governi degli ultimi anni e sulla sincera adesione delle imprese ad una vera strategia di potenziamento del digitale. 

Nel 2015 sono stati stanziati, per il programma di sviluppo 2016-2020, due miliardi di euro attraverso i fondi europei; inoltre, 4,9 miliardi di risorse pubbliche sono stimati per il prossimo futuro. Peccato, però, che l’utilità di questi investimenti non venga percepita dai cittadini italiani che usano la Rete in misura molto inferiore rispetto ai cittadini di altri Stati europei: il 39% degli italiani fa shopping on line, mentre in Europa la percentuale è del 65%; il 43% degli italiani usa l’home banking per pagamenti e transazioni, contro il 57% degli europei, il 57% degli italiani legge news on line contro il 68% della media europea.

Al ritardo infrastrutturale, che, come già detto, solo in parte si è ridotto nel settore della banda larga rispetto a un anno fa, si affianca un gap culturale assai pronunciato, che si traduce in una cifra alquanto eloquente: nel 2015, il 28% degli italiani non ha mai utilizzato internet, a fronte di una media europea del 16%. Di fronte a un quadro così problematico e a tratti disarmante, stante la sua ripetitività di anno in anno, quali auspici si possono formulare? Anzitutto le forze politiche devono smettere di considerare il digitale un tema d’elite, non spendibile elettoralmente. Milioni di italiani sono giustamente preoccupati di cose più urgenti, dai servizi sanitari alla sicurezza, dalle pensioni alla pressione fiscale, e quindi parlare di banda larga o ultralarga può non risultare utile in termini di consenso. 

Forse è per questo che tutte le leggi approvate negli ultimi vent’anni dal Parlamento in materia di digitalizzazione si sono rivelate un punto d’arrivo, una bandierina da sventolare in campagna elettorale, anziché un punto di partenza per avviare concrete strategie di diffusione dei servizi digitali. In secondo luogo, per stimolare la domanda di servizi digitali, bisogna promuovere la cultura e l’educazione alla Rete già nelle scuole dell’obbligo, facendo percepire alle nuove generazioni le potenzialità di un mezzo che non serve solo per socializzare ma anche e soprattutto per esercitare al meglio i diritti di cittadinanza.

Infine, devono essere le imprese che operano nel settore digitale a crederci di più e a investire maggiormente in infrastrutture, in sinergia con i governi, per stimolare gli italiani ad utilizzare in maniera naturale la Rete. Si tratta, ovviamente, di processi lunghi, che vanno a impattare su abitudini consolidate e difficili da sradicare, ma solo una crescita digitale potrà favorire un rilancio del Sistema Paese e attrarre investimenti stranieri in Italia, già disincentivati dall’oppressione fiscale e dalla zavorra di una burocrazia mastodontica e apparentemente intoccabile.