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PELLEGRINAGGIO

Israele, i tempi stringono per fare la pace

Tempi molto stretti per l'invito di Shimon Peres e Mahmoud Abbas in Vaticano, a pregare per la pace. La rapidità è d'obbligo, perché la rottura dei negoziati e la divisione del governo israeliano possono portare a un nuovo conflitto.

Esteri 26_05_2014
Papa Francesco

Pace in Terra Santa? C’è una data che inizia a circolare con una certa insistenza ed è quella del 6 giugno. In quel giorno, il presidente israeliano Shimon Peres e Abu Mazen potrebbero incontrarsi in Vaticano, a pregare per la pace, come auspicato da Papa Francesco nel suo discorso all’aeroporto Ben Gurion, al suo arrivo in Israele. Non si tratta di una notizia ufficiale, ma padre Federico Lombardi, nel suo briefing serale, tenuto all’hotel Mamilla di Gerusalemme, non conferma né smentisce l’informazione.

Quel che emerge con chiarezza è che i tempi siano stretti. Si avverte quasi un senso di fretta nel riprendere i negoziati di pace fra Israele e Autorità Palestinese, una strada che “non ha alternative” come ha ribadito ieri il Papa. I tempi si accelerano, non solo perché il mandato del presidente Peres è in scadenza, ma perché si ha la netta sensazione che l’unione di Fatah e Hamas sul fronte palestinese e la fine dei colloqui di pace, possano portare a una III Intifadah (insurrezione generale palestinese) in men che non si dica. Papa Francesco è giunto in Israele in un momento delicatissimo, non solo per i rapporti fra israeliani e palestinesi, ma anche fra quelli interni alla spettro politico israeliano.

Vi sono infatti due grandi dibattiti in corso. Il primo è quello, violentissimo, fra il ministro della Giustizia (e mediatrice internazionale) Tzipi Livni e il suo premier Benjamin Netanyahu, il secondo Naftali Bennett (ministro Affari Religiosi) e sempre la Livni. Queste tensioni ruotano sempre attorno al tema vitale dei futuri rapporti con i palestinesi. La Livni è accusata dal premier di aver incontrato Mahmoud Abbas (il presidente dell’Autorità Palestinese) senza il suo previo consenso ed è minacciata di “licenziamento” in tronco dal governo. Bennett, invece, ha riproposto con urgenza al governo quella che è l’idea più forte del suo programma politico: annettere unilateralmente le aree C (a maggioranza ebraica e amministrazione israeliana) nei territori contesi della Cisgiordania. Ma così facendo si è tirato addosso l’ira della Livni, che gli rispode “finché ci sarò io (viva e attiva, ndr) questa proposta non avrà seguito”.

Come si riflettono questi mal di pancia governativi sulla visita del Papa? Da un punto di vista superficiale, non si vedono. Anzi. La cerimonia di accoglienza del Papa all’aeroporto Ben Gurion è stata solenne: bandiere al vento, fanfara militare, rivista delle truppe di tutti i corpi d’arma israeliane ed esecuzione dei due inni (vaticano e israeliano), saluti delle massime cariche dello Stato, abbraccio fra Peres e il Papa e stretta di mano fra il Papa e Netanyahu. Poco prima di salire sul podio allestito sulla pista di atterraggio, il Pontefice si è fermato brevemente a salutare tutte le autorità presenti, fra cui rappresentanti della Knesset (parlamento) e del governo. Ma sono tanto notevoli le presenze, quanto le assenze, vero indice di malessere politico. Fra gli assenti, più o meno giustificati, c’erano Avigdor Liberman (Esteri, ieri era fuori da Israele), Yair Lapid (Finanze, aveva una riunione al ministero del Tesoro), Naftali Bennett (Affari Religiosi, dichiara che, di fatto, gli basta presenziare all’incontro che si terrà oggi), Uri Orbach (Pensioni, ricoverato la settimana scorsa), Uri Ariel (Casa e Costruzioni, ministero chiave per la questione degli insediamenti ebraici, assente per malattia), Avi Wortzmann (Educazione, dichiara di non essere stato invitato). Giusto per dare un’idea, quando era arrivato Barack Obama, nel 2013, al Ben Gurion erano presenti tutti i ministri.

Qui si tratta, fra l’altro, di assenze selettive: mancavano tutti i ministri del partito Baiyt Yehuda (il Focolare Nazionale Ebraico), quello guidato da Naftali Bennett, autore della proposta di annessione dei territori C dei territori contesi. Il partito nega ogni intenzione di boicottare la visita del Papa. Ma quell’assenza massiccia pesa e si fa notare.

Dopo il secondo di giorno di pellegrinaggio in Terra Santa, dunque, da un punto di vista prettamente politico Israele appare diviso e la Palestina unita. La democrazia israeliana non è riuscita a nascondere dubbi, scetticismi, malumori e divisioni sorte dopo il fallimento di un processo di pace a cui nessuno crede più seriamente. L’invito di Papa Francesco a Peres e Abbas a pregare in Vaticano per la pace è un buon auspicio, ma dopo 20 anni di promesse tradite questa è diventata una società scettica. La Palestina, al contrario, si mostra unita e determinata. La preghiera a sorpresa di Papa Francesco di fronte al “muro” (la barriera difensiva israeliana che separa i territori palestinesi da quelli ebraici) è un colpo di immagine straordinario, che verrà capitalizzato nel tempo dalla ben oliata macchina dell’informazione palestinese. Proprio perché non è una democrazia, l’Autorità Palestinese è riuscita a silenziare ogni possibile voce di dissenso: non un imam radicale che condanna il cristianesimo, non un solo militante che osanna la guerra contro Israele. Queste tendenze esistono, anche se non si vedono. Salteranno fuori al momento buono, quando e se la prossima iniziativa di pace non dovesse andar bene.