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In un film la nuova verità sulla tragedia di Ustica. Forse

Quando ho visto la locandina di Ustica, adesso nelle sale, lì per lì mi son detto: uffa, l’ennesimo film su complotti, servizi deviati, Cia, insomma il solito ambaradam del cosa-c’è-dietro a cui certi registi militanti sono abbonati. Invece, il film di Renzo Martinelli riserva vere sorprese. 

Cinema e tv 08_04_2016
La locandina del film Ustica

Quando ho visto la locandina di Ustica, adesso nelle sale, lì per lì mi son detto: uffa, l’ennesimo film su complotti, servizi deviati, Cia, insomma il solito ambaradam del cosa-c’è-dietro a cui certi registi militanti sono abbonati e con cui da decenni ossessionano il popolo italiano. Da Portella delle Ginestre a Pasolini (per ora). Infatti, in contemporanea è uscito un film che dovrebbe far luce sul misterioso delitto (misterioso? seeeh…) di quest’ultimo. 

Solo che Ustica è di Renzo Martinelli, uno (dei pochi) che militante non è e nemmeno politicamente corretto. Infatti, ha al suo attivo opere come Il mercante di pietre (sul terrorismo islamico) e 11 settembre 1683 (sulla liberazione di Vienna assediata dai turchi). Incuriosito, ho visto il film. E sono rimasto inchiodato tutto il tempo sullo schermo. Il film è davvero bello e avvince fino all’ultimo secondo. Per i più giovani: il 27 giugno 1980 un aereo civile italiano si inabissa al largo dell’isola di Ustica. Non sopravvive nessuno. Tra passeggeri ed equipaggio, 81 persone. Subito si accavallano le ipotesi. Chi parla di una bomba a bordo, chi di un cedimento strutturale, chi di un missile. 

Col tempo, diversi testimoni muoiono in incidenti o suicidi. Data la profondità del mare in quel punto, solo dopo anni i frammenti dell’aereo vengono recuperati e analizzati. E si ricomincia col balletto delle ipotesi. La chiave del film è tutta in un colloquio centrale tra due deputati fittizi. Uno dice all’altro (ma col sistema del «qui lo dico e qui lo nego») che l’Italia ha una moglie ufficiale (gli Usa), ma anche un’amante (Gheddafi, nemico degli Usa). Le corna consistono nelle forniture energetiche libiche, di cui l’Italia ha impellente bisogno. In cambio, si chiude un occhio sul trasferimento di Mig sovietici alla Libia in sorvolo sul nostro spazio aereo, monitorato dalle basi americane nel nostro territorio. Il trucco: ogni Mig si pone nella scia di un volo di linea, così da essere scambiato per un aereo civile dai radar. Solo che, quel maledetto giorno, qualcosa va storto.

Martinelli, lei si è studiato tutte le cinquemila pagine dell’inchiesta del giudice Priore. Che cosa è successo?

«Il fatto è che quei Mig dovevano fare sosta nella Jugoslavia allora comunista, sia per la manutenzione sia per la conversione dei linguaggi operativi. Da lì, disarmati, partivano per l’Italia in coincidenza con un volo di linea per Malta e si piazzavano, uno alla volta, nella scia dell’aereo per confondere i radar. Una volta sul mare, volavano radenti fino alla Libia. Ma quel giorno il volo previsto portava un ritardo di due ore. Il pilota libico, che non lo sapeva, si è accodato al volo Itavia scambiandolo per l’altro. L’altro fatto che ha sballato il piano era un Awacs, un aereo radar, che sorvegliava ad alta quota il trasferimento di un bombardiere americano verso l’Egitto. L’Awacs ha “visto” quel che ai radar di terra è sfuggito e ha avvisato l’aeronautica italiana. Due nostri caccia si sono alzati e hanno tallonato il libico, ma si sono ritirati quando sono stati avvertiti che gli americani intendevano provvedere personalmente. Infatti, due caccia americani, subentrati, hanno abbattuto il Mig, che si è schiantato sui monti calabresi. Il Mig, essendo disarmato, ha cercato di ripararsi dietro all’aereo civile. Durante l’inseguimento un caccia americano ha urtato il volo Itavia causando la tragedia. Il pilota americano si è salvato col paracadute ed stato poi messo in salvo da un elicottero di colleghi». 

Ma, se le cose stanno così, come mai la ridda di illazioni e di ipotesi che subito li levarono?

«Non subito. Ed è questo che mi ha incuriosito. Sono andato negli archivi dei quotidiani e ho visto che, nei primissimi giorni successivi alla tragedia, tutti parlavano di uno scontro in volo tra un caccia americano e il volo Itavia. E lo mostro nel film. Poi, però, le cose sono cambiate». 

Ma le prove, perché non emersero subito?

«”Emersero” è la parola giusta. Quando fu recuperato il relitto dell’aereo si trovarono anche pezzi di fusoliera di un caccia americano, pezzi del suo seggiolino eiettabile e addirittura il casco del pilota, con tanto di nome sopra. Niente tracce di missile, niente tracce di bomba a bordo. Avrebbero dovuto sospettare qualcosa quando videro che tutti i cadaveri di quegli sventurati passeggeri avevano il timpano destro perforato».

E i due piloti militari italiani? E quelli che li allertarono? 

«Incidenti, suicidi. Bisognerebbe indagare sulle due Frecce Tricolori scontratesi nel cielo della Germania nel 1988 e cadute sulla folla. Settantadue morti. Qualche giorno dopo avrebbero dovuto testimoniare su Ustica».