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MISSIONE

In Quaresima la conversione a Cristo cambia la vita

 “Oh Dio nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita”. Ma cosa vuol dire essere cristiani in un mondo post-cristiano? E cosa vuol dire "conversione"?

Ecclesia 03_04_2017
Piero Gheddo

Nella Santa Messa del Mercoledì delle Ceneri si legge questa espressiva Orazione, che sintetizza bene cosa è la Quaresima: “Oh Dio nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita”.

Primo. Cos’è il cristianesimo?  Mancano meno di tre settimane alla Pasqua e la Chiesa ci invita a prepararci per risorgere con Cristo. Questo significa essere cristiani: credere, amare e imitare Cristo; quindi, rivoluzionare il nostro faticoso  ma abitudinario tran-tran quotidiano, per vivere nella vita nuova che il Vangelo ci propone. Ricordiamo i Dieci Comandamenti e le Beatitudini evangeliche.

E’ la sfida della nostra vita, che ci dà la giovinezza dello spirito e la gioia di portare la nostra croce con Gesù verso la gloria della Pasqua. La conversione non si riduce a forme esteriori o a vaghi propositi, ma trasforma e quasi capovolge l’intera esistenza. Nella Quaresima, noi battezzati, e specialmente noi preti e persone consacrate, siamo invitati ad innamorarci di Gesù in modo appassionato, e ad intraprendere un cammino che ci porti più vicini all’imitazione del nostro Salvatore e Signore. 

In Asia e Africa, e chiaro ai non cristiani che il cristianesimo è il passaggio dalla religione tradizionale alla fede in Cristo, l’unico Salvatore dell’uomo e dell’umanità. Il “primo annunzio” ai non cristiani è veramente l’annunzio di una fede  nuova, di una vita nuova. Nel nostro mondo post-cristiano non è chiaro cosa vuol  dire “cristianesimo” e conversione a Cristo.  Siamo sommersi da così tanti messaggi, tante voci e proposte che oscurano cosa vuol dire essere cristiano. Nel 2013 ho pubblicato il volume “Meno male che Cristo c’è” perché me l’ha chiesto il direttore della editrice Lindau di Torino: “Padre, mi scriva un libro in cui spiega chiaramente e in modo molto concreto, come mai dobbiamo convertirci a Cristo, cosa vuol dire  e quale scopo ha questa conversione”.    

Secondo - Cos’è la conversione? Ho intervistato un missionario del Pime, padre Giuseppe Fumagalli, che dal 1967 vive fra i “felupe” della Guinea Bissau, una tribù nuova, mai evangelizzata. Siamo in una situazione missionaria, con il primo annunzio del Vangelo ai pagani, la predicazione di padre Fumagalli è come quella di Gesù nel Vangelo di inizio Quaresima: “Convertitevi e credete al Vangelo”. Padre Giuseppe Fumagalli, nato a Brugherio (Milano) nel 1939, è venuto a salutarmi nella casa di cura in cui sono, pochi giorni fa. Ha il morbo di Parkinson e la mano sinistra che gli trema fortemente. E’ andato alla Messa di Papa Francesco il sabato 25 marzo scorso a Monza e poi è ripartito per la Guinea Bissau. Mi diceva: “Molti mi dicono di fermarmi in Italia, ma io voglio ritornare a casa mia che è Suzana, un grosso villaggio  in foresta, dov’è la chiesa parrocchiale. C’è il nuovo parroco africano, ci sono le suore africane e tutte le opere caritative, educative, sanitarie e l’officina per riparare le macchine; e poi, soprattutto, c’è il mio popolo felupe, cristiani e non cristiani, che mi vogliono bene. Lo so che andrò a vivere in una tribù ancora poverissima e non avrò tutte le vostre comodità e le vostre cure. Ma la Guinea Bissau è la mia nuova patria e io ritorno a casa”.

Padre Zé (Giuseppe) dice: “La conversione dei Felupe è rottura col passato, inizio di una vita nuova con Cristo: quindi è sacrificio, rinunzia, sofferenza, tentazione di tornare ai costumi pagani del passato, una lotta quotidiana contro se stessi. Chi decide di convertirsi, ha chiare le rinunzie che deve fare: abbandonare ogni sentimento di vendetta e il culto degli dei pagani, gli idoli; amare Gesù e Maria e dedicarsi alla propria famiglia, rispettando la moglie e i figli; non rubare, non commettere ingiustizie, ama il prossimo tuo come te stesso, ecc. 

Chi decide di convertirsi a Cristo almeno inizia a impegnarsi in questa conversione faticosa, che dura tutta la vita. Ma chi si converte a Cristo, incontra la pace del cuore, si libera dalla paura degli spiriti cattivi, del malocchio, del mistero che circonda tutta la vita dell’uomo. Dio non si lascia mai vincere in generosità”, dice padre Zè.

In Africa, tra popoli pagani, si può vedere con chiarezza l’effetto dell’annunzio evangelico. Padre Giuseppe dice che  “la conversione a Cristo è una profonda rivoluzione nella vita dell’uomo della famiglia, del villaggio. Non una rivoluzione violenta contro altri, ma una rivoluzione non violenta che avviene nell’interno del cuore dell’uomo, quando egli decide di credere a Cristo e vivere secondo il Vangelo. Io posso testimoniare che lo sviluppo del mio popolo africano viene da Gesù Cristo e dal Vangelo. Solo qualche esempio: sono i cristiani che portano la  pace fra i villaggi, che si preoccupano del bene pubblico, che mandano volentieri i figli a scuola (anche le bambine), facendo grandi sacrifici….”. 

Terzo. Cosa significa conversione nella mia vita? Il nostro problema, cari sorelle e fratelli, è che noi, anche noi preti parlando in generale, ci crediamo già convertiti, per cui la parola “conversione” quasi non ha più significato. Slamo stati battezzati, cresimati, riceviamo l’Eucarestia, andiamo a Messa, preghiamo, se guardiamo al mondo attuale ci consideriamo dei buoni cristiani. Io stesso sono prete e missionario da 63 anni e se guardo alla mia vita, ringrazio il Signore di tutte le grazie che mi ha fatto, gli chiedo perdono dei miei peccati e poi penso che tutto sommato, la mia vita l’ho spesa per Cristo e per la Chiesa e posso starmene tranquillo.  

Questo lo sbaglio. Il prete, come il cristiano, non va mai in pensione, non dice mai di essere arrivato. Come cristiani, noi ricominciamo sempre una vita nuova ogni mattino, soprattutto in Quaresima e nel giorno di Pasqua. La giovinezza della vita cristiana è questa: ricominciare sempre con entusiasmo il cammino che porta all’amore e all’imitazione di Cristo, correggendo a poco a poco le mie tendenze cattive, i miei errori di giudizio. Il cristiano non è mai arrivato, l’amore e l’imitazione di Cristo sono lo scopo, la meta della vita.

Ecco allora l’ultimo pensiero. Bisogna pregare e chiedere al Signore la grazia di capire che abbiamo sempre bisogno di convertirci a Lui, al suo amore e all’imitazione della sua vita. Io capisco la mia debolezza e pochezza spirituale, quando prego e amo Cristo e gli chiedo la grazia di convertirmi al suo modello e di dirmi cosa deve cambiare nella mia vita perché possa dare una testimonianza della mia fede cristiana.

Papa Francesco ci dà l’esempio. Lui sta riformando la Chiesa senza fare un Concilio, ma con la sua vita. Si è proclamato un peccatore, chiede sempre che non ci dimentichiamo di pregare per lui. Nelle sue brevi omelie quotidiane a Santa Marta, specialmente nel tempo di Quaresima, il tema centrale è sempre che noi cristiani, noi preti, dobbiamo convertirci all’amore di Cristo e vivere una vita evangelica. E Francesco esemplifica spesso, dicendo che dobbiamo liberarci dell’idolo del nostro tempo, l’attaccamento al denaro. Ecco l’accoglienza, l’amore, la generosità verso i poveri, i migranti, le famiglie senza lavoro, i popoli che soffrono la fame e altre miserie degradanti e disumane.

Nel marzo scorso ho compiuto 88 anni. E’ da una vita che inseguo  Gesù Cristo e non l’ho ancora raggiunto. Il mio grande parroco di Tronzano Vercellese, don Pietro Beuz, quando sono entrato nel seminario minore di Moncrivello (arcidiocesi di Vercelli), mi diceva che fare il prete vuol dire essere “alter Cristus”, un altro Cristo;  ed era molto severo con me, durante le vacanze nel mio paese natale. Questa immagine mi aveva scombussolato e affascinato. In Famiglia e nell’Azione cattolica mi avevano insegnato ad amare Gesù. Ed essere un “altro Cristo”, nella mia ingenuità, mi pareva abbastanza facile. Poi la vita mi ha insegnato che è difficile, faticoso. Ma vi assicuro, anche tanto bello e consolante. L’amore a Gesù supera infinitamente tutti gli amori umani.

E poi, quando avanzi nell’età, tocchi con mano che tutto passa, Dio ti distacca da tutto. L’unica certezza e l’unica speranza è l’amore a Cristo, la vita con Cristo e secondo il Vangelo. E’ l’unica ricchezza che abbiamo, nel  cammino verso la meta finale della vita, in  braccio al Padre nostro che sta nei Cieli. Dove, scriveva il beato padre Clemente Vismara, “c’è tutta gente per bene”.