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BOLOGNA

Il silenzio dolce dello stadio per il suo cardinale

Una voce dall’alto dello stadio Dall'Ara di Bologna avverte che il gioco ha inizio con un minuto di silenzio. Quella che era una bolgia si fa muta. La morte entra nel campo della leggerezza. Allo Stadio, tutti onorano Caffarra.

Sport 13_09_2017

Francamente, mi sono commosso. Non vado allo stadio sempre. Anzi. Ci vado quando posso. Domenica sera c’era il Napoli. Curiosamente, avevo assistito alla medesima partita anche lo scorso anno. Addirittura, dalla Tribuna. Era finita 7 a 1 per il Napoli. Annichilito dal risultato, ero tuttavia rimasto impressionato dal gioco dei partenopei. Non avevo mai visto giocare a calcio così.

Quest’anno le premesse non sono molto migliori. Il Bologna, ma anche il Napoli, ha sostanzialmente la stessa squadra. Nel Bologna esordisce Palacio, bomber argentino piuttosto datato, ma forse buono alla causa di risvegliare un abulico Destro, una promessa da centravanti di razza. Nella squadra di casa, oltre all’ex interista, gioca anche l’ex milanista Poli.

Mi sono commosso. Mi succede, ma neanche troppo spesso. E allo Stadio non capita da ormai tanti anni. Ricordo il gol di Faccini con cui il Bologna sconfisse di misura il Trento e dalla C passammo nella serie cadetta. Era il 1984. Gol ed emozioni analoghe, quello di Bresciani per la promozione in A, quasi dieci anni dopo. E poi, Pino Lorenzo con cui passammo il turno in Uefa…Poi, Baggio, Signori, Di Vaio…Non ricordo di aver pianto, ma ebbro di emozione sì. Questa sera è stata una commozione diversa. Una commozione semplice, pudica. Nessuno se n’è accorto. Nemmeno chi era con me, accanto a me, in silenzio.  

Mi sono commosso e il calcio per certi versi non c’entra nulla. O meglio, c’entra e c’entra eccome. Mi sono commosso e ho sentito un caldo al cuore pur essendo la serata, una di quelle che sembrano dirti che l’estate è finita e una maglietta sotto la camicia, la famosa magliadellasalute o comunque una felpina a portata di mano, devi pur sempre averla. I giocatori hanno appena salutato i bambini che li hanno accompagnati dagli spogliatoi fino a metà campo per prendersi l’applauso. Non si capisce se, dagli spalti, si omaggiano i calciatori o i bambini. Si presume i campioni, ma anche quelli in erba non scherzano. Tra tutti, infatti, i più emozionati sono loro.

Sanno che un papà e una mamma, da qualche parte, in tribuna, li sta guardando. E loro sono felici di essere lì con le maglie delle rispettive squadre, mano nella mano con uno di quei campioni che vedi solo in Tv o tutt’al più, alla loro età, su una di quelle figurine adesive degli album. Sono contenti i piccoli. Escono effervescenti dalla scena e mentre le curve cominciano a cantare qualcosa, loro tornano già a cambiarsi. Hanno già giocato. O forse, il loro gioco inizia dal momento in cui escono dalla messa in scena e scendono in campo nella messe delle loro fantasie.  

I calciatori, i fotografi, le sciarpe, il mister che parla con uno e con l’altro, la terna arbitrale, la Var, le panchine, il medico, gli uomini di Sky…il campo sembra un tavolo verde su cui sono poste le fiches cariche di speranze. Ognuno al suo posto, ognuno al suo colore. Il Napoli ha la maglia della nazionale. Azzurra. Il Bologna ne indossa una che sembra messa al contrario…In realtà, è una suggestiva maglia bianca con una banda trasversale rossoblu. Come quella in trasferta, quando il Bologna vinse l’ultimo scudetto. Non c’ero allora. Lì, sì che c’era da commuoversi e da piangere. Era morto da pochi giorni Dall’Ara. Hanno vinto il campionato anche per lui. E sempre a lui, gli hanno intitolato quello che quando ero bambino, tutti chiamavano Comunale. La diagonale sulla maglia appare sbiadita.

Non è come allora, rossoblu. Il colore, infatti, non è propriamente sulla divisa bianca, ma su alcuni nomi, quelli dei footballers felsinei che almeno cento volte nella loro carriera l’hanno vestita. Alcuni sono molto noti, altri meno…eppure hanno fatto la storia rossoblu. Chi la indossa, oggi, veste una storia. Non solo la maglia di una squadra di calcio, ma una storia fatta di volti, di gesta, di guerra, di sconfitte, di sudore, di cuoio, di persone, di bandiere…Insomma, vestiti com’erano, i calciatori saltano su e giù. Si danno un cinque. Corrono veloci senza nemmeno fare un metro. La palla comincia a girare. Se la passano come a verificare che funzioni. Rien ne va plus…”Niente è più valido. I giochi sono fatti”. E invece, tutto si deve ancora decidere, seppure sembra, memori dello scorso anno, una partita già finita. Potrebbero, le squadre rientrare negli spogliatoi, come i bambini. Con le loro maglie e i loro sogni. E invece, no. Si gioca. Tutto è possibile. E poi, lo Stadio guarda il Santuario della Madonna. “Vergine Santissima, ti preghiamo”…come fossimo alla vigilia di un esame. “Non lo faccio più. Prometto che la prossima volta studierò…!”.

Le formazioni, improvvisamente, si raccolgono al centro del campo. La palla si ferma. La riga bianca concentrica in mezzo al campo verde disegna un’immaginaria fune su cui, in modo ordinato, sembrano appoggiarsi i ragazzi in campo. Come quando su un filo della luce, schiere di uccelli, come in formazione schierata attendono un fischio per prendere il volo. Ovviamente, gli azzurri da una parte e i bianchi con la diagonale rossoblu dall’altra. Si stringono a coorte. Le braccia sopra le spalle del compagno. Una voce dall’alto avverte che il gioco ha inizio con un minuto di silenzio. Prima dei novanta minuti decisivi, c’è un minuto incisivo. Silenzio. “Le squadre osserveranno un minuto di silenzio – prosegue la voce - in onore dell’Arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra”. Quella che era una bolgia, nel volgere di qualche secondo si fa muta. Un fischio decreta l’inizio del silenzio.

La morte è entrata potentemente nel campo della leggerezza, del divertimento, dello sport, ossia della vita che più vita non può esserci. Sul prato verde, infatti, il più vecchio ha la maglia gialla. E’ l’arbitro. Avrà più o meno la mia età. Poco più di 40 anni. La vita risplende in mezzo a quel verde.  Eppure, la vita si ferma. La morte è entrata come un colpo di fucile nell’aria. Un botto. Poi, silenzio. Si ricorda un Vescovo. Mica un calciatore. Mica i morti di una tragedia nazionale. Mica un dirigente della FIGC. Mica un uomo di sport.

Si ricorda un Vescovo. Anzi, un Cardinale. E che Cardinale! Si ricorda Carlo Caffarra il cui nome ti fa mettere sull’attenti. Se uno l’avesse conosciuto avrebbe poi ricavato che quel pozzo di erudizione, era poi un uomo semplice, umilissimo, timido. Ho avuto il privilegio di conoscerlo quell’uomo. Gli ho voluto bene. Molto. Sono sorpreso che prima del match, tutto lo Stadio lo ricordi. Laicamente anche se quanti, fra i ventimila presenti, si sono segnati con il segno della croce? Qualcuno nel silenzio, che come tutte le cose preziose bisogna cercarlo per trovarlo, avrà persino detto l’Eternoriposodonalorosignore…senza magari sapere come va avanti, ma sicuro però di saperne il finale. “Amen”. Nel silenzio, senza che nessuno veda.

Un silenzio come solo ventimila persone possono fare, cioè un silenzio speciale. E’ durato poco perché qualcuno dei napoletani, sempre per quella smania di essere un po’ troppo furbi, ha voluto approfittare dell’occasione, come quando scrivi qualcosa su di un muro appena verniciato. “Tutti lo leggeranno!” senza pensare che, qualunque cosa sia stata scritta, per tutti si leggerà: “Bravo l’asino”. “Forza Napoli”. Tutti hanno sentito il coraggioso violentatore del silenzio. Per un attimo tremo. La curva del Bologna rumoreggia. Si trattiene. Mica si può essere sempre solo tifosi. Siamo uomini prima di tutto. Magari anche cristiani. E comunque, checchè se ne dica, al Cardinale desideriamo regalargli un religioso silenzio. E’ qualcosa di prezioso, il silenzio.

Basta poco per farlo sparire. E’ timido e forte allo stesso tempo. Ti avvince, ma ne hai anche paura. Finisci per pensare. E pensare fa male. Altrochè, se fa male. Per questo, non lo riusciamo a sopportare, il silenzio. Però, io in quei trenta, forse quarantadue secondi di silenzio silenzioso, ho pregato per il Cardinale. “Ti hanno fatto un bello scherzo. Tu che quando te ne sei andato dal tuo ruolo, lo hai fatto senza aver permesso che ti venisse prestato un saluto”.

Comesidice…? In punta di piedi. Uomini così non ce ne sono molti in giro. Ora, allo Stadio, tutti ti onorano con quel silenzio che è la porta per ogni uomo per pensare alle cose più grandi, la vita e il suo senso, la morte e l’aldilà, l’inferno e il Paradiso, la miseria dell’uomo e la misericordia di Dio e la BeataVergineMaria…Un fischio decreta la fine di quel minuto. Ed io mi sono commosso. Poi, il Bologna ha giocato una bella partita e il Napoli ha vinto. Non ha fatto il miracolo. Ne farà altri. Ne sono sicuro. Ma io mi ricorderò quel prato verde e quegli spalti dai molteplici desideri, colmi di silenzio per un vescovo. Anzi, per un Cardinale.