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CALENDARIO TRANS IN CHEISA

Il signor Manila e la riparazione

Messa riparatrice nella chiesa violata di Acquaviva delle Fonti. Mentre il trans rivendica di non essere un “diavolo" e l'ordine dei giornalisti impone per i professionisti dell'informazione un codice di linguaggio inaccettabile per chi ha cuore la realtà e la verità. 

Editoriali 15_10_2017

Nella chiesa di Sant’Angelo di Acquaviva delle fonti il parroco don Domenico Giannutri ha effettuato una messa di riparazione per lo scandaloso atto sacrilego che ha visto il tempio occupato come set fotografico da un transessuale di nome Manila Gorio che aveva inscenato un matrimonio con tanto di vestito da sposa per promuovere la causa delle nozze gay. La notizia è stata data da un quotidiano locale che ha aggiunto anche altri dettagli “piccanti” all’incresciosa vicenda. Oltre molte altre provocazioni del transessuale in oggetto. Se ce ne occupiamo di nuovo dato che siamo stati tirati in ballo dal protagonista è per due motivi. 

Anzitutto per notare come non tutto il male venga per nuocere. La dottrina cristiana insegna che gli atti di riparazione alle offese a Gesù Sacramento sono portatori di infinite grazie per chi li compie. Questo insegna la dottrina, quindi il parroco che lo ha fatto d’accordo col vescovo di Acquaviva, ha sicuramente fatto quello che un pastore deve fare: ristabilire il giusto culto a Dio in un edificio che non può per nessun motivo essere utilizzato come set fotografico, figuriamoci per un finto matrimonio “omo” che aggiunge il sacrilegio alla profanazione. In tempi in cui le chiese vengono utilizzate per ogni tipo di utilizzo, l’atto di riparazione ha dunque un valore didattico per ricordare ai fedeli che il Signore va adorato in casa sua e non sostituito dagli idoli più svariati, fossero animati dalle migliori intenzioni.  

Il secondo motivo per cui torniamo a rendere conto della conclusione di questo caso, non è soltanto perché adesso sarà la magistratura a cercare di capire se quella di Manila Gorio sia stata una violazione a insaputa del parroco di uno spazio sacro. Ma è un motivo, diciamo così linguistico, che tocca però il concetto di libertà. Sono proprio le affermazioni di Manila Gorio, il quale si è difeso dall’accusa di essere paragonato a un diavolo, a spingerci su questo versante. Ha detto che la sua non era nient’altro che una provocazione perché lui è cattolico, anche se si fa chiamare lei. 

Ebbene: proprio nei giorni scorsi l’ordine dei giornalisti della Lombardia ha chiamato in cattedra un transessuale per indottrinare i giornalisti su come si devono trattare i casi che li vedono protagonisti. Insomma: siamo alla rieducazione della stampa portata avanti con il metodo dei corsi obbligatori. Qualcuno, riferiscono le cronache, si è lamentato perché «il cambiamento che le organizzazioni trans vogliono produrre, agendo sulle parole, è la negazione della realtà», hanno detto alcuni giornalisti presenti. Una negazione della realtà che passa proprio dalla modifica del linguaggio. Alla quale bisogna decidere se inchinarsi senza proferir parola o opporsi con la dignità di chi non si lascia mettere l’anello al naso, soprattutto dalle corporazioni che pretendono di insegnarti in mestiere. 

Nel caso di cui la Nuova BQ si è occupato e che ha portato alla preghiera di riparazione, è sufficiente notare come la stampa si sia già accodata al mainstream dei “transessualismo corretto”. Ad esempio trattando Manila Gorio sempre al femminile. Eh, no, colleghi. Il trans che ha profanato la chiesa potrà anche farsi chiamare all’anagrafe Manila, o anche “doccia” o “portaombrelli” o “trebbiatrice”, ma resterà sempre il signor Manila. Lo dice la natura, lo dice il dato di realtà e di verità, quella verità che dovrebbe essere l’ambizione più sincera della nostra professione. Non ce ne voglia Manila, ma noi continueremo sempre a chiamarlo signor Manila, senza ironie, senza rivendicazioni e, ci permetta, senza doverci sentire in colpa perché non pieghiamo la testa di fronte a questo nuovo totalitarismo.

In quanto al linguaggio utilizzato dalla stampa, va da sè che definire provocazione quella fatta in chiesa, sia l’ennesimo tentativo per sfumare e spostare l’oggetto altrove. Non si chiama provocazione, ma sacrilegio. Questo dice la realtà delle cose. In quanto al suo difendersi dall’accusa di essere un “diavolo” facciamo notare che il Santo Curato D’Ars ricordava: “Togliete le messe dalle chiese e i diavoli balleranno sugli altari”. Proprio quello che ha fatto il signor Manila. Non di certo un Acquasanta, delle Fonti. Non sarà evangelico, ma il morettiano “le parole sono importanti” qui è quanto mai azzeccato.