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IL CASO

Il nuovo Monopoli che non piace al Pd

Nella nuova edizione del gioco Monopoli, alberghi e case sono stati sostituiti da azioni e obbligazioni, suscitando l'ira di alcuni esponenti del Pd, che lo ritengono diseducativo, in quanto alleverebbe una generazione di squali da Borsa.

Politica 27_08_2013
gioco Monopoli

Il fatto: la nuova edizione dell’antico gioco da tavolo nomato «Monòpoli» (chissà perché è rimasta la dizione inesatta –rectius: Monopòli- frutto, evidentemente, dell’Italietta di «Non è mai troppo tardi») anziché con le case e gli alberghi fa giocare i partecipanti con le azioni e le obbligazioni. In effetti, in tempi di Imu e di crollo verticale del mercato edilizio, sarà parso bene ai produttori del popolare giochino (americani) di passare a sfide più consone ai  nuovi tempi.

Tanto è bastato, tuttavia, per far scattare il riflesso condizionato anticapitalistico e, perciò, antiamericano, in ben sette (7) esponenti del Pd, i quali hanno scritto una vibrata lettera di protesta all’Ambasciata americana a Roma. Il cui succo è questo: in un momento storico in cui l’intero pianeta soffre per una crisi finanziaria che ha messo in ginocchio l’Occidente e, dunque, il resto del mondo, un Monopoli “speculativo” è quanto di più diseducativo si possa immaginare per le giovani generazioni. Esso indurrebbe una mentalità spregiante i più elementari diritti umani, lo sfruttamento dei poveri e del proletariato, e alleverebbe una ulteriore generazione di squali da Borsa di cui il mondo non ha affatto bisogno. Naturalmente il testo non  è così alla lettera, ma la sostanza è questa.

E, a volere essere maliziosi, data la provenienza della protesta, niente di strano che nell’arrière pensée ci sia il solito Berlusconi, fresco di condanna  per evasione fiscale e notorio nemico dell’umanità in quanto capitalista con pretese politiche. Come dice in una sua nota l’Istituto Bruno Leoni, rinomato think tank liberale, «l'idea che un gioco da tavolo possa essere il cavallo di Troia per legittimare il falso in bilancio è talmente surreale, che a qualcuno doveva pur venire in mente». Ma i parlamentari del Pd non scherzavano affatto, e addirittura hanno investito della questione la diplomazia dell’unica superpotenza rimasta. La quale si sarà fatta una omerica risata prima di infilare la missiva nella tagliola del distruggi-documenti per farla a fettine.

Ora, si dà il caso che l’attuale crisi finanziaria sia meno globale di quanto si pensi, visto che, per esempio, non ha affatto toccato i ricchissimi arabi del Golfo, i quali, anzi, continuano a costruire le loro cattedrali nel deserto (letterale: ci sono anche campi da sci) secondo lo stile del vecchio Monopoli ma anche del nuovo, visto che non sanno più dove investire i petrodollari. Allah ha voluto che proprio loro stiano seduti su tutto il petrolio del mondo, cosa che fa del Medio Oriente la polveriera che è sempre stata e che continua ad essere. Chissà se esiste una versione del Monopoli “coranica” (il Corano vieta il prestito a interesse, che continua a chiamare «usura» come nel VII secolo, cosa che costringe le banche così dette islamiche a capolavori di escamotages).

Nemmeno la Cina comunista (dove gli squali finanziari nuotano benissimo) pare avere problemi, e forse un gioco-dell’oca-da-tavolo qual è il Monopoli godrebbe colà di un mercato veramente smisurato. Infatti, il Partito cinese è meno  ridicolo di quello italiano. Ma ognuno ha i comunisti che si merita e il nostro è pur sempre il Paese di Arlecchino e Pulcinella. Sarebbe interessante un’indagine statistica che evidenzi quanti, nei decenni passati, a furia di giocare a Monopoli hanno preso il vizio e sono diventati palazzinari, e magari finiti in galera per falso in bilancio, tangenti, aggiotaggio e quant’altro. Non solo. Malgrado la sua popolarità, il Monopoli non è mai diventato un obbligo scolastico, nemmeno ai tempi dell’Italia-da-bere. Dunque, la sua attitudine a «diseducare» i ragazzini (ma ci giocano anche i vecchi) è cosa che poteva venire in mente solo a sfaccendati politicamente corretti. Ma, come conclude l’Istituto Bruno Leoni, «questa cultura per cui non esiste limite a ciò che lo Stato deve fare, nemmeno il limite del ridicolo, è il tarlo del nostro Paese. Riderci sopra è una ben magra  consolazione». Già.