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IL BELLO DELLA LITURGIA

Il Lazzaro michelangiolesco di Sebastiano di del Piombo

La pagina del Vangelo che racconta la Resurrezione di Lazzaro, nella V domenica liturgica sottolinea il valore del Battesimo quale concreta possibilità di risorgere in Cristo. Una delle tele più famose che lo riguardano è del pittore veneto Sebastiano del Piombo, del 1519. Anche Michelangelo pare gli abbia dato una mano.

Cultura 17_03_2018
La resurrezione di Lazzaro (Sebastiano del Piombo)

“Lazzaro, vieni fuori!” Gv 11, 43

Nella liturgia ambrosiana la Quaresima ha una decisa connotazione battesimale poiché sul finire del IV secolo, l’età di Ambrogio, questo tempo forte era vissuto non solo come attesa della Pasqua ma, in un’epoca di progressiva cristianizzazione, come preparazione alla ricezione del Battesimo che avveniva proprio durante la veglia pasquale. La pagina neotestamentaria che racconta la Resurrezione di Lazzaro, firmata dal solo Giovanni, nella V domenica liturgica sottolinea il valore del Battesimo quale concreta possibilità di risorgere in Cristo. E’ comprensibile, dunque, che questo tema sia stato registrato dalla storia dell’arte fin dalle origini del Cristianesimo: nelle decorazioni delle catacombe è, per diffusione, secondo solo alla figura del Buon Pastore.

Molti sono stati, lungo i secoli, gli artisti che hanno traslato su muro, tavola, vetro, tela, ceramica, marmo, carta, questa iconografia. Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, Rembrandt in una celebre acquaforte, Caravaggio, nel dipinto conservato a Messina. Ma anche maestri più vicini a noi nel tempo quali Van Gogh, William Blake o Salvador Dalì. Noi ci soffermiamo sulla versione che ne diede Sebastiano del Piombo, pittore veneto giunto a Roma nei primi decenni del Cinquecento, che, nella leggendaria rivalità tra i due artisti di punta della corte papale di quegli anni, Michelangelo e Raffaello, decise di schierarsi a favore del Buonarroti.

Così scrive, a riguardo della tela, Vasari: “fu contraffatta e dipinta con diligenza grandissima, sotto ordine e disegno in alcune parti di Michelangelo”. E’ doveroso, a questo punto, un passo indietro: alla fine del 1516 il cardinale Giulio de’ Medici, futuro Clemente VII, aveva commissionato per la sede vescovile di Narbonne due pale d’altare rispettivamente a Raffaello, che eseguì, senza portarla a termine, la Trasfigurazione e a Sebastiano del Piombo, che nel 1519 consegnò al potente prelato la Resurrezione di Lazzaro, esposta in Vaticano “con grande sua laude et di tutti et del Papa”.

C’è chi sostiene che Sebastiano, per l’occasione, fu aiutato da Michelangelo ricevendo dal maestro i disegni di alcune figure, prime fra tutte quelle di Gesù e di Lazzaro. I pareri a riguardo sono contrastanti ma comunque siano andate le cose certo è che questo dipinto rappresenta una delle opere meglio riuscite dell’artista veneto.

La scena, piuttosto affollata, è ambientata nel sepolcreto fuori dalla città di Betania. In primo piano i due protagonisti, Gesù e Lazzaro, compaiono l’uno rialzato sul gradino in posa perentoria ed eloquente, l’altro, seminudo, mentre esce dalla tomba ancora e in parte avvolto dalle bende.  Accanto a loro si distribuiscono a semicerchio due file di persone che suggeriscono la profondità dello spazio, animandolo con gesti inequivocabili, come quello di coprirsi il volto per non sentire il fetore proveniente dal sarcofago.

«Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni», aveva detto Marta. Individuiamo la sorella di Lazzaro in piedi accanto a Cristo, mentre con fare deciso e impulsivo, visto il suo temperamento, reagisce alle parole dell’Amico fraterno. Altrettanto fedele al testo evangelico è Maria, l’altra sorella, ritratta, viceversa, in posa adorante al cospetto di Nostro Signore.

Il paesaggio sullo sfondo – forse l’antica Roma e le sponde del Tevere? – contribuisce a rafforzare la misteriosa drammaticità di questo episodio soprattutto grazie agli effetti atmosferici della luce che filtra attraverso le nubi del cielo, creando così un’alternanza di chiari e scuri che mette in risalto l’acceso cromatismo delle vesti. Evidentemente Sebastiano non aveva dimenticato la lezione di pittura tonale della sua terra d’origine.

Il gesto di Cristo è il fulcro di tutta la scena. Dalle sue mani, dal suo braccio disteso sembra scaturire un’energia che la figura di Lazzaro, così vicina a quelle michelangiolesche della Sistina, raccoglie. Riconosciamo in lui un uomo forte, che si rialza dopo una caduta, ancora più potente. Quella di Lazzaro è una storia che racchiude la promessa della vita eterna.