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L'analisi

Il documento vaticano sul gender? Troppa confusione sul “dialogo”

Luci e qualche ombra sul documento “Maschio e femmina li creò” della Congregazione per l’Educazione Cattolica.

Gender Watch 14_06_2019

Alcuni giorni fa la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha reso pubblico un proprio documento dal titolo “Maschio e femmina li creò”. Le sue finalità sono indicate nel sottotitolo: “Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione”.

Le cronache di una prima ricezione ci dicono che il documento è stato “diversamente accolto”: i cattolici aperti a una pastorale progressista hanno lamentato la sua struttura ancora troppo rigida, i sostenitori della tradizionale dottrina morale in proposito si sono detti soddisfatti delle importanti conferme e precisazioni contenute nel testo. Il parere di chi scrive non è conforme né ai primi né ai secondi.

Va senz’altro segnalato che la Congregazione precisa in modo piuttosto fermo la dottrina morale cattolica tradizionale sulla complementarità uomo-donna che le fughe in avanti di teologi e pastori hanno messo spesso in discussione. L’ideologia del gender viene dichiarata sbagliata, ingiusta, fonte di sofferenza. Essa viene anche ricondotta alle sue premesse filosofiche e culturali, soprattutto al principio della “libertà di autodeterminazione”. Viene illustrato come la retta ragione, sia scientifica che filosofica, nulla conceda a questa ideologia.

Il documento, utilizzando soprattutto il magistero di Giovanni Paolo II, distingue molto opportunamente tra ordine della natura e ordine biologico e, così facendo, rimette in pista un concetto - appunto quello di “ordine della natura” - ormai piuttosto desueto nella teologia cattolica. Addirittura la Congregazione auspica, con le parole di Benedetto XVI, che si sviluppi una riflessione che “raccolga la verità ontologico-metafisica” della situazione umana, e afferma che “è necessario ribadire la radice metafisica della differenza sessuale”. La nuova pastorale aborre l’uso di un simile vocabolario e quindi bisogna riconoscere a questo documento il coraggio di aver portato la riflessione al livello dei fondamenti. Utili anche molte osservazioni antropologiche e quelle riguardanti la famiglia e la società.

La Congregazione, quindi, riconosce che l’ideologia gender è distruttiva dell’“ecologia dell’uomo” in quanto negatrice dell’unità di anima e corpo e dell’apertura a Dio, dato che impedisce di riconoscere in noi un dono che ci ha preceduto nella creazione: alla visione creaturale della persona è sostituita una visione astratta della stessa, che sceglie essa chi voglia essere, nel nulla completo di riferimenti e quindi nella sua metafisica solitudine.

Più carente è invece il discorso che il documento fa sul dialogo, nonostante fosse il suo oggetto principale. La Congregazione afferma che il dialogo di cui essa parla non riguarda l’ideologia gender, ma gli studi di genere, con la quale espressione intende “le ricerche sul gender che cercano di approfondire adeguatamente il modo in cui si vive nelle diverse culture la diversità tra uomo e donna”. L’assunzione di tale distinzione è una grande ingenuità. L’ideologia gender sostiene infatti che nella cultura attuale la diversità tra uomo e donna si vive appunto secondo l’ideologia gender. Quando l’ideologia gender pretende di entrare nelle scuole lo fa proprio presentandosi come studio di genere, travestimento facilitato dall’uso come paravento del medesimo vocabolo: genere (gender).

Prima la Congregazione dice chiaramente che il dialogo è possibile solo nel caso degli studi di genere e non con l’ideologia gender (n.6), poi però, lungo tutto il documento, si propongono elementi di dialogo anche con l’ideologia gender, con il che viene creata una notevole confusione. Il documento mantiene le ambiguità e difficoltà del concetto di “dialogo” nel postconcilio, per contrastare le quali bisogna ricordare che è la verità che ci fa dialogare, non siamo noi che, dialogando, produciamo la verità. In altre parole la verità c’è da subito e non come conclusione del dialogo. Il che comporta che non si possa dialogare con tutti e su tutto, che il dialogo non esclude l’annuncio (che il documento chiama più modestamente “proposta”), che il dialogo spesso deve essere una dura e combattiva disputa a difesa della verità, che è lecito confutare il male e fare l’apologia del bene anche senza dialogare, che il dialogo può scandalizzare i semplici e i deboli e così via. Su questi punti il documento rimane incerto.

Ci si potrebbe chiedere: un gruppo di “Cristiani Lgbt” dentro una scuola cattolica, come avvenuto per esempio alla Cattolica di Milano, deve essere ammesso e riconosciuto per non contraddire il dialogo? Davanti a un progetto di educazione sessuale gender nella scuola, i genitori coinvolti devono aprire un dialogo o possono anche protestare e chiederne il ritiro o denunciare il dirigente scolastico che lo ha attuato in deroga alle norme? I genitori di una scuola non rispettano il metodo dialogico se denunciano la convenzione della scuola con il Comune e con associazioni tipo Arcigay per l’attuazione di progetti gender? Se una scuola cattolica tratta il problema gender deve necessariamente invitare a parlare agli studenti anche qualche gay o transgender per essere fedele al metodo del dialogo e alla cultura dell’incontro?

Alla fine della lettura del documento rimane una domanda: con l’ideologia gender bisogna solo dialogare o va anche contrastata o, per meglio dire, combattuta? L’educazione non può tirarsi fuori da questo problema.

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