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ALFANO E DINTORNI

Il Centro si spacca, dopo la batosta siciliana

Alternativa Popolare è ormai un simulacro di partito, con politici temporaneamente sotto le stesse insegne, ma pronti a prendere direzioni diverse. Le esperienze di governo di questa legislatura hanno dimostrato l’irrilevanza delle idee cattoliche. Rimane il pragmatico e cinico calcolo elettorale e ognuno andrà con chi offre di più.

Politica 12_11_2017
La conferenza programmatica di AP

La scissione è solo rinviata. Probabilmente si consumerà fra una decina di giorni, durante la riunione della direzione nazionale. Alternativa popolare è ormai un simulacro di partito, con politici temporaneamente sotto le stesse insegne, ma pronti a prendere direzioni diverse in vista delle prossime scadenze elettorali. Da una parte, il Ministro degli Esteri, Angelino Alfano, il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin e pochi altri puntano a consolidare l’alleanza con Matteo Renzi e il Pd. Dall’altra, molti senatori, deputati e amministratori locali, soprattutto al nord, hanno le valigie pronte per rientrare nel centrodestra, così come hanno già fatto nelle settimane scorse in Sicilia gli ex alfaniani.

Le elezioni siciliane del 5 novembre hanno infatti inferto il colpo di grazia a un partito già moribondo, che, dopo aver archiviato il nome Nuovo centrodestra per non precludersi alleanze anche a sinistra, ha scoperto la sua irrilevanza, non riuscendo a superare neppure lo sbarramento del 5% nelle elezioni in Sicilia, terra d’origine dello stesso Alfano. Con uno striminzito 4% in una delle regioni nelle quali il partito dovrebbe essere più forte, appare semplice fare pronostici sul risultato nazionale di quella forza politica. Superare lo sbarramento del 3% previsto dal Rosatellum non sembra impresa facile, tanto più che proprio ieri un sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera quotava gli alfaniani al 2,6%.

E la previsione è tarata, peraltro, sull’attuale struttura del partito, che invece potrebbe presto non essere più quella, considerato che alcuni esponenti lombardi di Ap formalizzeranno l’uscita dal partito e la confluenza in Energie per l’Italia, nuova formazione fondata da Stefano Parisi. Altri ambirebbero a rientrare in Forza Italia, anche con ruoli secondari, qualcuno guarda perfino alla Lega.

Ieri la conferenza programmatica di Alternativa popolare ha reso ancor più palesi le divisioni interne, tanto che il leader Angelino Alfano non ha chiarito le sue intenzioni, anzi non ha neppure escluso la corsa solitaria. Ha poi rilanciato la sfida ai “populismi” di Lega e Cinque Stelle, quindi lasciando intendere di essere più vicino ad un’alleanza con il Pd, e ha rispedito al mittente le accuse di tradimento: "Alternativa popolare non accetta lezioni da nessuno. E' stato Berlusconi a collaborare con il Pd dai tempi del governo Monti e Letta, poi ha cambiato idea lui, non noi che siamo rimasti dove ci aveva lasciato. E poi ha fatto il Patto del Nazareno. E ha fatto bene. Dal 2011 vi è stata piena collaborazione di Berlusconi con la sinistra italiana: col governo Monti, poi con Letta e quindi col patto del Nazareno. Tra cinque mesi Berlusconi sarà lui sulla posizione in cui ci troviamo noi ora e sarà costretto al dialogo con la sinistra". 

Matteo Renzi sta peraltro lavorando da tempo a una lista di centro con Dellai, De Mita, Casini e altri esponenti dei vari cespugli centristi. Tuttavia, la tagliola dello sbarramento del 3% potrebbe indurre tutti questi esponenti del centro a confluire in un unico contenitore con Bonino, Della Vedova e i socialisti di Nencini. Si tratterebbe di un cartello fortemente disomogeneo, in cui chi si richiama al pensiero cattolico dovrebbe addirittura andare a braccetto con culture profondamente antitetiche alla sua pur di entrare in Parlamento. E ieri a Bologna, durante l’assemblea nazionale dei centristi per l’Europa, Pierferdinando Casini ha tracciato in effetti proprio questa strada: puntellare l’alleanza con la sinistra renziana e consolidare il fronte “anti-populista” di Grillo e Salvini.

Ma l’impressione è che tale posizione tra i centristi sia ormai alquanto minoritaria. Le esperienze di governo di questa legislatura ormai agli sgoccioli hanno dimostrato l’irrilevanza delle idee cattoliche nella determinazione delle politiche nazionali, soprattutto su temi etici e sensibili. Ma al di là di queste valutazioni di tipo valoriale, che purtroppo in pochi tra gli alfaniani e i centristi hanno dimostrato di compiere, rimane il pragmatico e cinico calcolo elettorale. Con lo schema delle coalizioni, indotto dal Rosatellum, meglio puntare su qualche lista collegata a Berlusconi e al centrodestra, soprattutto al Nord, dove i voti dell’alleato leghista possono consentire il “cappotto” o comunque una consistente dote di seggi anche nei collegi uninominali. Ecco perché Gianfranco Rotondi, con la sua “Rivoluzione cristiana”, ribadisce la sua stabile collocazione nel centrodestra ed ecco perché Maurizio Lupi guida la pattuglia degli alfaniani che intendono separare i loro destini da Renzi e Alfano per costituire, insieme con Parisi, Tosi, Fitto e altri, un rassemblement centrista in grado di negoziare un certo numero di seggi con Berlusconi e di risultare determinante anche nel governo di alcune regioni chiave come la Lombardia, dove l’attuale Presidente, Roberto Maroni appare favorito per la riconferma. Alfano sa bene che alla vigilia del voto scatta sempre la corsa al “voto utile”, che sottrarrebbe consensi a forze minoritarie come la sua, ove decidessero di correre da sole. Di qui l’inevitabilità di una scissione: gli alfaniani duri e puri con Renzi, gli altri con Berlusconi. Poi, una volta rientrati in Parlamento, si vedrà.