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MOSTRE

Il cammino di Pietro, primo Papa

Al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo mons. Fisichella ha inaugurato “Il cammino di Pietro”. Una mostra di oltre 40 capolavori, selezionatissimi provenienti da tutto il mondo e che abbracciano 1.600 anni (sec.IV-XX).

Cultura 09_02_2013
Pietro

Al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, è stato mons. Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, a inaugurare il 7 febbraio (resterà aperta sino al 1° Maggio) la Mostra “Il cammino di Pietro”, che vuole “narrare” la vicenda “incantevole e drammatica” del primo papa.
Una mostra di oltre 40 capolavori, selezionatissimi e talora inediti, provenienti da tutto il mondo e che abbracciano 1.600 anni (sec.IV-XX). Scelti con un’attenzione scrupolosa ai particolari espressivi del soggetto, Pietro.

La Santa Sede l’ha voluta per l’Anno della Fede (2012-13): non solo come viaggio nella bellezza, ma proprio come un percorso di fede, rievocazione, attraverso le immagini, di una vicenda umana tremenda e gloriosa, quella dell’Apostolo, nel cui dramma si ricapitola l’intera storia della salvezza.
A raccontare con i pennelli e lo scalpello questa fede apostolica tiepida, tremula, intrepida, ci sono: Lorenzo Veneziano, Vitale da Bologna, Basaiti, Garofalo, Jan Brueghel, Vasari, de La Tour, Guercino, van Honthorst, van Baburen, Luca Giordano, Mattia Preti, Guido Reni, Polenov, Burnand.

Che strana mostra è questa! È diversa dalle altre rappresentazioni museali: non è morta, è viva. Giri in mezzo a queste quaranta immagini dell’Apostolo, e avverti che quei colori bollenti sono carne viva, ancora satura di passioni indicibili. E le tele sono lembi di pelle: sotto senti pulsare ancora il cuore umano di Pietro.
Ovunque, in questo odore di eterno nella fortezza dei papi, si sente l’antico sospiro di Lui, il Pescatore. Si avverte il suo dubbio, e l’amarezza per aver dubitato.

Il mistero di Pietro è qui, immutato, dopo due millenni. Strano è questo modo poliedrico di narrare l’accidentato, tortuoso “cammino di Pietro”: alla pittura s’alternano proiezioni cinematografiche, i giochi di luci si riverberano sulle note dei brani musicali; in questa sinestesia, con cui tutti i sensi il visitatore è assorbito nella storia di Pietro. Questo viaggio sensoriale parte da qui, dalla via che conduceva al circo di Gaio Caligola, dove con la crocifissione a testa in giù, finiva la storia di Pietro e iniziava la storia petrina: nella ininterrotta successione apostolica. Osservi in questi dipinti il volto di Pietro: c’è qualcosa che lo rende sempre uguale, sempre diverso. Osservi le tenere lacrime di amarezza su quegli occhi dipinti dal Guercino. E vedi anche il volto della Chiesa di oggi, sempre uguale e diverso, fedele e infedele, che rinnega e professa come Pietro la stessa fede di Pietro.

E allora pensi alla contraddizione che c’è fuori da questo Castello. È un fatto che nell’insegnamento cattolico da anni l’argomento Pietro è caduto nell’oblio; che certo progressismo demolitore evitasse con premeditazione la questione petrina: per non dare, dinanzi all’evidenza dei fatti evangelici, ulteriore forza alla figura del papa, nuovo ed eterno Pietro, che risorge sempre a ogni conclave, da duemila anni, dalle sue stesse “ceneri”. Cammini tra i dipinti e le sculture che ti narrano questa storia meravigliosa e contraddittoria, e talora tanto comica, di Pietro. E ti rendi conto che in fondo “Pietro” siamo tutti noi. È tutta la storia sacra e profana, mirabile e tremenda della Catholica, di ieri di oggi di sempre.

Nella vicenda del pescatore di Betsaida, Dio ha disegnato il volto della sua Chiesa e del suo popolo, in ogni singola ruga: Pietro è in assoluto la figura più eminentemente cattolica di tutta la storia della salvezza. Osservi ancora le lacrime di Pietro del Guercino. E la domanda sorge: perché Gesù fa quella scelta così misteriosa, scandalosa persino, di preferire come “prima pietra” (che diventerà presto troppe volte d’inciampo, friabile in ogni caso…) Simon Pietro e non, per esempio, il suo prediletto Giovanni, che del Maestro aveva capito tutto, così dolce, stabile, affidabile come nessun altro degli apostoli? Perché invece sceglie quel pescatore emotivo, iracondo, istintivo, pavido infine, confuso molte volte, e che per giunta non aveva capito quasi niente del messaggio del Maestro? Non era neppure riuscito a comprendere la cosa più lampante: che la salvezza annunciata dal Cristo non era solo per i Giudei ma anche e soprattutto per i Gentili… per tutti.

Spirito di contraddizione fino alla fine, Simon Pietro: colui che stacca con un colpo di spada un orecchio a Malco che era venuto ad arrestare Gesù (il mansueto agnello sacrificale annunciato delle scritture), è anche colui che rinnegherà Cristo molteplici volte; colui che dubita poco prima della pesca miracolosa, è anche quello che poco prima aveva osato ammettere, al contrario di “quel che la gente dice”, “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”. Dov’è il vero Pietro? È proprio lì: in quella sua confusa, pasticciona, vergognosa umanità; ma a suo modo anche generosa, al fondo pura.

Non deve essere un caso se proprio Pietro, più di chiunque altro, dalle pagine del Vangelo ne vien fuori come il personaggio psicologicamente più definito; e, infatti, dopo aver letto il Vangelo, possiamo dire di “conoscere” Pietro da sempre, che sappiamo chi era veramente. Giacché in quelle pagine nulla v’è di superfluo, tutto è concentrato sull’essenziale, una ragione ci deve essere per questo ritratto espressionista petrino tinteggiato dagli evangelisti. Lo stesso che adesso ritroviamo qui in queste opere. Nella carnalità di Simon Pietro, nel suo alternare miserie a grandezze, tutta la cattolicità doveva riflettersi come in uno specchio, paragonarsi, vedere se stessa fino in fondo all’anima: la sua storia consola gli umili e confonde gli orgogliosi, disperde le certezze dei farisei nel tempio e rassicura l’animo scosso dei pubblicani; in lui davvero è palpabile la contraddizione terribile della stultitia crucis, l’idiozia della croce della quale ci parla Paolo.

Nella sua vicenda, è ovunque disperso il Dio che sposta continuamente gli ostacoli e fa nomadi, “che atterra e suscita che affanna e che consola…”. Ed ecco cosa voleva dirci Gesù scegliendo Pietro. Lo sceglie per confermare quanto aveva prima annunciato. “Nessuno è perfetto per il regno dei cieli, nessuno si potrà salvare, ma nulla è impossibile a Dio”. Guardate Pietro – sembra dire – vedete quanto è imperfetto e instabile, incapace di mantenere con coraggio la più solenne delle promesse fatta al Messia, proprio lui che più di tutti s’era esposto pubblicamente a ribadirle senza risparmio di aggettivi. Ecco. Sarà sempre così.

Nessuno si faccia illusioni, perciò, perché neppure Cristo se ne fa. Nessuno osi pensarsi, al suo cospetto, come perfetto: la perfezione non sarà mai di questa terra, né Egli è venuto per creare qui la società dei perfetti. Lo dice Cristo, è evidente anche in questi dipinti. Illusione, quest’ultima, la smania di essere perfetti, ansia di purezza, che non solo è il movente di tutti gli eretici d’ogni tempo, ma è anche il peccato primordiale, il primo commesso, da Lucifero stesso, sino alla pretesa di “essere come Dio”. L’orgoglio. Appunto.

Pietro è l’antidoto al peccato d’orgoglio, vanità, superbia. Pietro, il primo papa, è un peccatore come tutti, fragile come tutti nella sua umanità macchiata dalla colpa antica: promette e non mantiene, poi soffre, si pente, in un momento di grazia e solo allora dà il doppio di quanto il suo Signore gli aveva domandato. Pietro – ossia qualunque papa – è un uomo come tutti, non un puro, un perfetto, un gigante spirituale: è solo Pietro, il pescatore di Betsaida di sempre. Così Dio ha voluto. Nelle rughe del volto di Pietro, gli evangelisti disegnano le linee della vita della Chiesa, dove è predetto il futuro tempestoso di quella “Barca che sembra sempre lì lì per affondare eppur non affonda”, contro ogni legge umana e fisica, contro ogni evidenza contraria: il personaggio di Pietro è una profezia, sinistra e radiosa, sul popolo di Dio e sulla Sposa di Cristo. Ogni lembo della sua pelle è pergamena di profeta.

Molta polemica anticlericale e clericale, in malafede ma anche no, da secoli mira ad additare papi e consacrati come indegni. Dicono che ci sarebbe una “chiesa di Dio”, pura e umana (loro), e una “Chiesa gerarchica”, va da sé, “corrotta e disumana” (i “papisti”). Non è un caso. Pietro sarà sempre un antidoto a questi abbagli.
L’umiltà petrina è sempre l’alternativa all’orgoglio dei superbi. Per questo è odiato o rimosso. Perciò i farisei e i puri di tutti i tempi, pur di perpetrare la loro illusione maliziosa, hanno odiato Pietro; chi per eccesso di zelo e chi per carenza di zelo, ma in ambo i casi, la prima cosa che hanno sempre fatto è rimuovere la “prima pietra”, il papato: scrutando le rughe umanissime disegnate da Dio sul volto dell’Apostolo, vedevano riflessa la loro anima; e si vedevano davvero per così com’erano, e non invece per così come avrebbero voluto essere. Pietro è diventato davvero la “pietra d’inciampo”: ma dei superbi.