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IL CASO ERRI DE LUCA

I cattivi maestri hanno vinto Anche senza Marxismo

Scrittori e giornalisti, riciclati, ascoltati, letti e intervistai. Sono i reduci della stagione di "lotta" post '68. Come Erri De Luca. Oggi settantenni, sembrano non rendersi conto che il loro «movimento» ha vinto. L’unica cosa che ha perso per strada, e che gli impediva di affermarsi a livello mondiale, era il marxismo. Ma questo ormai non serve.

Attualità 28_05_2018
Erri de Luca

Diceva il capo vandeano Charette che loro, i vandeani, la patria l’avevano sotto i piedi, mentre i rivoluzionari l’avevano solo nella testa. Augustin Cochin descrisse mirabilmente nel suo Meccanica della rivoluzione le «società di pensiero» e la nuvola di parole in cui i rivoluzionari si avvolgevano finendo fatalmente con lo scambiare la realtà coi parti della loro mente.

C’è dunque un motivo se tutti i rivoluzionari, di ieri e di oggi, facevano, e fanno, di mestiere i giornalisti o gli scrittori. Marat, Proudhon, Mazzini, Marx, tutti giornalisti. E i reduci del Sessantotto nostrano? Pure, da Ferrara a Liguori, da Mughini a Lerner. Raccontava un giornalista oggi in pensione che, dopo aver combattuto per anni sulla carta i rivoluzionari da salotto, se li era ritrovati direttori dei giornali su cui scriveva.

Quelli che non hanno potuto trovare spazio sui giornali o sulle televisioni si sono riciclati in giallisti e thrilleristi, ex personaggi della lotta armata compresi. Il pensiero che hanno seminato, tuttavia, oggi comanda con quelli di loro che sono entrati in politica: l’ideologia politically correct, infatti, non è altro che giacobinismo allo stato puro, con tanto di Comitato di Salute pubblica a vigilare, anche coi rigori di legge, su chi si azzarda a sgarrare.

Essendo, dunque, bravi con le parole, non di rado li trovi nelle classifiche dei libri più venduti; come Carlotto, al centro di una  breve polemica perché la Rai gli ha affidato la conduzione di un programma: ex Lotta Continua, condannato per omicidio nel 1976, graziato dal presidente Scalfaro.

Uno che in classifica ci va più spesso è Erri De Luca, che, a differenza di altri, è rimasto delle stesse idee dei tempi in cui lui e i suoi «compagni», erano «rivoluzionari pubblici». Così dice in una video intervista sul CorriereTv del 25 maggio u.s. Pubblici nel senso che quel che facevano era alla luce del sole: avevano pubblicazioni, sedi e manifestavano apertamente per le strade e nelle piazze. Lui fu, dice, uno della prima ora, in quei Gaos (Gruppi Agitazione Studenti Operai) antesignani di Lotta Continua.

Dapprima andavano nelle baraccopoli romane ad allacciare abusivamente l’elettricità ai baraccati, precursori degli odierni «centri sociali», degli «antagonisti» e dei «disobbedienti». Poi l’intervista salta argomento (si parla a braccio, infatti, sulla scia dei ricordi) e De Luca spiega le difficoltà, di allora, del movimento, giacché, dice, dopo il fascismo non ci fu alcuna seria epurazione e gli ex fascisti si ritrovarono questori e giudici.

Tuttavia ammette che, quando l’anagrafe fece il suo lavoro, venne l’ora di Magistratura Democratica. Mi si consenta un ricordo personale. A Scienze Politiche, a Pisa, avevo un collega studente che era un esagitato attivista di Stella Rossa, un gruppuscolo che era più a sinistra ancora di Lotta Continua. Dopo la laurea e qualche anno, incontrai un amico comune e gli chiesi notizie di quello. Mi disse che era entrato in polizia. Chissà se ha fatto carriera. Due amici che, al tempo del liceo, erano maoisti, li ho ritrovati magistrati.

E pensare che, a quel tempo, mi regalarono un Libretto Rosso stampato a Tirana. Insomma, ecco tre che, dopo aver passato lo studentato a scontrarsi con la polizia e la «giustizia borghese», vi si arruolano. Raptus giovanili o meditata infiltrazione? Boh.

De Luca prosegue con l’intervista affermando che l’abbandono del movimento fu nell’autunno 1980, dopo una quarantina di giorni, e notti, di agitazione ai cancelli della Fiat. Non fu lui a lasciare il movimento ma il movimento a lasciare lui. Così dice, anche se non approfondisce. Poi rivendica al movimento la riforma carceraria e quella della leva, dovute, secondo lui, ai «compagni» in divisa militare o carceraria.

Ma, al di là degli amarcord personali e, perciò, parziali, quello di cui i reduci, oggi settantenni, sembrano non rendersi conto è il fatto che il loro «movimento» ha vinto. L’unica cosa che ha perso per strada, e che gli impediva di affermarsi a livello mondiale, era il marxismo. Ma questo, come diceva Vladimir Volkoff ne Il montaggio, ormai non serve