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LA STORIA

Femminista e pro life, la battaglia "eretica" di Fiorella

Testimone delle prepotenze delle abortiste, oggi Fiorella Nash denuncia "la contraddizione di un attivismo femminista dai falsi diritti umani". Così opta per un’opera pro vita, perché "dove sono le femministe quando le donne vengono sterilizzate e uccise dall’aborto perché femmine?".

Vita e bioetica 03_11_2018

Ai più l’accostamento suonerà strano, ma lei si considera una femminista pro life e ha cura di spiegare perché crede che i due concetti - appunto il femminismo e la difesa della vita umana fin dal concepimento - possano stare insieme. Parliamo di Fiorella Nash, una scrittrice nata in Italia da genitori maltesi e cresciuta in Inghilterra, che ha di recente pubblicato il suo ultimo libro (in passato si è firmata spesso come Fiorella De Maria), dal titolo The abolition of woman. How radical feminism is betraying women (L’abolizione della donna. Come il femminismo radicale sta tradendo le donne).

La Nash, sposata e madre di quattro figli, ritiene che l’espressione corretta per definire coloro che sostengono l’aborto come fosse un dogma sia quella di «femministe radicali». Come ha spiegato a LifeSiteNews, la scrittrice pensa infatti che il femminismo non sia sbagliato in sé ma che il movimento abbia smarrito il suo fine. «È diventato così ideologicamente ossessionato dall’aborto e da una visione molto ristretta della sessualità femminile che si è allontanato molto dal suo scopo originario». Pur comprendendo bene che il termine «femminismo», con le istanze contro la famiglia e contro la vita portate avanti dalla stragrande maggioranza delle sue esponenti, è divenuto parecchio «contaminato» e «corrotto», l’autrice dice di non essere pronta ad abbandonarlo e indica quale dovrebbe essere la strada di un vero movimento femminile: «Dimentichiamo quanto in altri Paesi la vita sia molto diversa per le donne». E aggiunge: «In molte parti del mondo le donne combattono ancora per i diritti più elementari, come il diritto a non essere abusate e il diritto di dare alla luce una bambina».

Come si può leggere nella presentazione del suo nuovo libro, la Nash pone in effetti domande scomodissime per il femminismo mainstream e per la corrente politica e giornalistica che lo sostiene: «Dov’è la loro appassionata indignazione quando le donne cinesi vengono forzatamente abortite e sterilizzate? Dov’è la loro preoccupazione per le migliaia di bambine uccise dall’aborto ogni anno perché le loro vite sono ritenute inutili semplicemente per il fatto di essere femmine? Che dire delle migliaia di donne usate come [madri] surrogate per coppie occidentali benestanti, trattate come schiave e private dei più basilari diritti umani?».

La scrittrice è stata coinvolta in campagne per i diritti umani fin dall’infanzia e via via è andata maturando un’amara consapevolezza: è rimasta sorpresa cioè dalla quantità di colleghi attivisti che supportavano l’aborto. All’Università di Cambridge, specie durante un referendum studentesco tenutosi nel 2000, è stata testimone delle prepotenze dei fautori dell’aborto (soprattutto donne) arrivando a temere per l’incolumità degli oratori pro life e accorgendosi del «lato brutto del femminismo». Ha scoperto in breve «l’enorme contraddizione» di certo attivismo che si nasconde dietro una falsa accezione di «diritti umani», decidendo così di orientarsi verso un’opera pro vita.

Da 15 anni collabora con la britannica Spuc (Society for the protection of unborn children), un’associazione che si propone di proteggere i nascituri. Svolge lavoro di ricerca e tiene conferenze per sensibilizzare sui reali bisogni dell’universo femminile, denunciando tra l’altro l’ipocrisia di coloro che stanziano fondi ingenti per promuovere contraccettivi e aborti nei Paesi in via di sviluppo anziché destinarli a sostenere i servizi prenatali e la maternità, oppure danno una visione romanzata della prostituzione e dell’industria della fecondazione artificiale, intrinsecamente contraria alla dignità umana e nociva per tutte le parti in causa, dalle donne che vendono i propri ovuli fino ai bambini.

Davanti a drammi di questo tipo, se si eccettuano alcune femministe che quantomeno si oppongono all’utero in affitto (rimanendo però nella gran parte dei casi silenti quando si tratta della prospettiva del bambino), il movimento femminista non fa nulla per invertire la rotta e anzi continua a seguire un’ideologia mortifera. Un’ideologia di cui l’aborto è il grande caposaldo. Per le femministe radicali, ragiona la Nash, «sei un’eretica e devi essere trascinata indietro all’ovile, con la forza se necessario», se non credi all’aborto. Alla domanda di Dorothy Cummings McLean sul perché si sia sviluppata quest’ossessione nel femminismo, la Nash risponde: «Penso che ciò alla fine sia collegato all’idea del sesso senza legami», perché le femministe sanno che la contraccezione è inaffidabile e ritengono che l’aborto sia necessario «per cancellare gli errori». Insomma, l’aborto «è visto come l’estrema forma di libertà». Una «libertà» che la scrittrice pro life, e femminista sui generis, non ha paura di additare come una menzogna.