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TEATRO

Edith Stein, cercare Dio nel silenzio della nostalgia

Si chiama Edith Stein, il silenzio di Dio ed è lo spettacolo che il teatro dell'Aleph porta in scena per la Festa della Bussola. «La sua vita è l'esperienza di un'anima irrequieta e nostalgica, che scopre il suo destino di ebrea portatrice della croce di Gesù guardando il Crocifisso». Intervista al regista della piece che vuole riportare in vita un teatro che parli all'uomo. 

Cultura 02_10_2016
Edith Stein al teatro Aleph

«Tutta la vita di Edith Stein è stato un quaerere Deum. Un cercare Dio nella nostalgia di un vuoto che solo nella sua tragica morte si è mostrato come un portare la croce di Gesù». E’ il messaggio cui fa da sfondo lo spettacolo teatrale Edith Stein. Il silenzio di Dio che il Teatro dell’Aleph porterà in scena domenica 9 ottobre nel corso della Festa della Nuova Bussola Quotidiana

Il regista della compagnia Giovanni Moleri spiega che l’idea di scrivere un testo sulla filosofa ebrea convertita al cattolicesimo e morta nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1942 è nata a seguito di uno spettacolo fatto nel Carmelo di Parma. «Le suore ci hanno ricevuto nel parlatorio e ci hanno “commissionato” uno spettacolo sulla loro santa». Nasce così un monologo dedicato a Teresa Benedetta della Croce dichiarata santa e compatrona d’Europa da San Giovanni Paolo II Papa, che l’Aleph porta in scena da diversi anni con l’attrice Elena Mangola. 

Io non sapevo chi fosse Edith Stein - spiega Moleri alla Nuova BQ -, lo spettacolo nasce quasi per gratitudine verso queste suore che ci hanno parlato della loro consorella morta martire in un campo di concentramento».

Si tratta di uno spettacolo che non tralascia la Shoa, ma che indaga il rapporto di Edith con Dio e che di Dio racconta anche il silenzio. 

«Il sottotitolo infatti è “il silenzio di Dio perché il tema del popolo eletto vittima dell’Olocausto trova nelle parole di Edith una sua compiutezza: la risposta strabiliante e commovente fornita da Teresa Benedetta della Croce è che il popolo ebraico a sua insaputa ha ricevuto il dono di portare anch’esso la croce di Cristo. E’ una risposta terribile e dentro lo spettacolo questo è condensato proprio nella figura di Edith, ebrea cristiana che nella sua esperienza porta dentro di sé il dramma di tanti popoli». 

Tecnicamente il testo non è propriamente un monologo perché ci sono anche immagini che sono parte dell’azione drammatica. Ma centrale è l’aspetto del quaerere Deum. «Già in tenera età Edith era irrequieta, ma di questo soffriva. Speso diceva di aver sofferto di situazioni malinconiche, di una nostalgia potente e irraggiungibile. Alcuni suoi zii si suicidarono e lei stessa arrivò molto vicino al suicidio».

Poi nell’esperienza dell’università rimase colpita dalla conversione di alcuni studenti come lei. La conversione per lei fu un processo quasi immediato: entrò in una biblioteca e vide un libro di Santa Teresa D’Avila. Si racconta che lo lesse tutto in una notte e finalmente comprese: “Qui c’è la verità”. Si fece battezzare nella notte di Natale ed entrando nella chiesa vide Gesù crocifisso e per la prima volta si sentì parte di questa storia. Anche Gesù ha la faccia da ebreo, ma ha dato il suo sangue per questo suo popolo.

Il resto è storia: dopo la conversione Edith divenne monaca di clausura, quando ci fu la notte dei cristalli in cui gli ebrei vengono decimati per le strade chiede di aprire i cancelli per far entrare i fratelli, ma è obbligata a scappare in Olanda dove nel frattempo i vescovi avevano scritto una durissima lettera contro Hitler. A quel punto si prese la decisione di rastrellare anche gli ebrei convertiti al cristianesimo. Venne portata ad Auschiwitz e lì morì, probabilmente nelle camere a gas, che erano state appena attivate oppure con l’ossido di carbonio dei camion. Morì cantando una lode a Dio».

Sarà dunque la dimensione teatrale a dare voce e corpo alla ricerca di Edith, una ricerca che il teatro permette di rappresentare plasticamente nonostante oggi sia sempre più difficile l’arte del racconto. «Il teatro contemporaneo tende a morire perché è sradicato dal tessuto e dalla cultura sociale contemporanea - prosegue Moleri -. Le rappresentazioni teatrali parlano al popolo, ma ormai il popolo non c’è più, non c’è più un’identità a cui riferirsi. In questo modo il teatro diventa o terapia o spettacolarità fine a se stessa».

Ecco perché con lo spettacolo su Edith Stein il teatro dell’Aleph sta cercando di ridare quella ritualità che anche il teatro non è più in grado di dare

 

EDITH STEIN - IL SILENZIO DI DIO
domenica 9 ottobre 
Collegio della Guastalla, Monza, ore 21