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L’ULTIMA FOLLIA

Eccovi lo xenofemminismo. E purtroppo sono serissim*...

Sapevate che esiste lo xenofemminismo? È la nuova frontiera del femminismo, esposta nel manifesto di Helen Hester, docente di comunicazione presso un’università londinese: “Lo xenofemminismo è consapevole che la fattibilità di progetti di emancipazione abolizionisti - l’abolizione di classe, genere e razza - dipende da una profonda rielaborazione dell’universale. L’universale deve essere colto come generico, vale a dire, intersezionale”. Chiaro, no?

Attualità 12_03_2019

Due parti di Futurismo marinettiano, mezza parte di Alien, tre once di grammelot rivoluzionario alla “dipendente Folagra” di Fantozzi, un goccio generoso di strategismo dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion e una spruzzata di Casaleggio Associati. Shakerare con cura e servire ghiacciato: l’irresistibile “xenofemminismo” è pronto.

Per chi non avesse ancora chiaro di cosa si tratta, pubblichiamo una premessa dal sito http://www.laboriacuboniks.net/it/index.html che dovrebbe illuminare chiunque in un lampo: “Lo xenofemminismo è consapevole che la fattibilità di progetti di emancipazione abolizionisti - l’abolizione di classe, genere e razza - dipende da una profonda rielaborazione dell’universale. L’universale deve essere colto come generico, vale a dire, intersezionale”. Ma attenzione: “L’intersezionalità non è la morcellazione di collettivi in una rappresentazione statica e indistinta di identità dai riferimenti incrociati, ma un orientamento politico che attraversa come una lama ogni particolare, rifiutando la classificazione grossolana dei corpi”.

Andateci piano, dunque, con questo vizio di morcellare i collettivi. La nuova frontiera del femminismo è esplicitata - per grandi e piccini - nel manifesto della giovane Helen Hester (docente di media e comunicazione presso l’università di West London e tra le fondatrici del collettivo femminista Laboria Cuboniks) che rende pienamente onore al suo sottotitolo: “Una politica per l’alienazione”.

La grafica del sito propone una mummia femminile rianimata da alcuni scienziati: potremmo dire che mai nessun logo fu più azzeccato. Non è un caso che il linguaggio utilizzato rievochi un Mesozoico sessantottino godibilissimo - deliziosamente rinnovato dagli asterischi che cancellano il genere - e fa sorgere inizialmente il sospetto che si tratti di un’eccezionale forma di autoironia: “È nel capitalismo che incontriamo l’oppressione nella sua forma trasparente e denaturalizzata: non siete sfruttat* o oppress* perché lavorator* salariat* o pover*; siete lavorator* o pover* perché siete sfruttat*”. (Ma come si fa a leggerlo ad alta voce?).

In realtà, il discorso è serissimo, totalmente privo di ironia. Dopo due settimane siamo riusciti a capire che lo xenofemminismo è “una forma di femminismo tecnomaterialista, antinaturalista e abolizionista del genere”.

In sostanza, quest* ragazz* (il lettore ci perdoni se ci adattiamo alla dotta neolingua) sostengono una politica che favorisca l’impiego massiccio della tecnologia per moltiplicare le forme di sessualità, i generi e le razze. Gli ormoni sono visti come uno strumento di oppressione poiché, come universalmente noto, “hackerano i sistemi di genere attraverso una portata politica che si estende oltre la calibrazione estetica dei corpi individuali”.

La soluzione è prevedibile,  quasi un uovo di Colombo: “Cucire insieme le promesse embrionali che ci vengono offerte dalla stampa farmaceutica 3D (“Reactionware”), dalle cliniche abortiste di base che usano la telemedicina, dagli/le hacktivist* di genere, dai forum di DIY-HRT [terapia ormonale sostitutiva fai-da-te] e così via, per assemblare una piattaforma per una medicina gratuita e open source”.

Risolto il problema degli ormoni, resta quello del bambino, che come tutti sanno è “icona della propagazione di valori razzisti, etero normativi e di classe che rispecchiano una società volta unicamente alla procreazione e a una concezione eterosessuale e binaria”.

A un certo punto, però la Hester deve affrontare un interrogativo che sorge spontaneo: “Come possiamo costruire un parassita semiotico migliore, che susciti i desideri che vogliamo desiderare, che organizzi non un’orgia autofaga di rabbia o indignazione, ma una comunità emancipatoria ed egualitaria sostenuta da nuove forme di solidarietà disinteressata e padronanza di sé collettiva?”.

Semplicissimo (e qui entrano in gioco i Protocolli dei Savi di Sion): “La nostra è una trasformazione che procede con sussunzioni mirate che si infiltrano a poco a poco, piuttosto che un ribaltamento immediato; si tratta di una trasformazione che è una costruzione deliberata, che tenta di sommergere il patriarcato capitalista e suprematista bianco in un mare di procedure che ne indeboliscano il guscio e ne smantellino le difese, per costruire un mondo nuovo dai resti”.

Alla “sussunzione mirata” non si sfugge, ahiloro. Insomma, per spiegarla in due parole a voi patriarchi capitalisti suprematisti bianchi, lo xenofemminismo vuole tecnologizzare le istanze femministe tradizionali facendole uscire dall’angusto limite delle rivendicazioni a favore della donna e disorganizzando ogni struttura morale, sociale, antropologica grazie ai media, alla politica, alla tecnologia e alla medicina: mille razze, mille unioni, mille patrie, mille generi, mille sessi e quindi nessuno.

Il loro obiettivo è un mondo nuovo, e come spiega la Hester forse nell’unica frase veramente onnicomprensiva del suo pensiero: “Noi non vogliamo né mani pulite, né anime belle, né virtù, né terrore. Vogliamo forme superiori di corruzione”.

In bocca al* lup*.