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NUCLEARE

Ecco perché non è opportuno fare la guerra all'Iran

L'Arabia Saudita si doterà di armi atomiche se l'Iran riprenderà il suo programma nucleare. E' il primo passo verso l’escalation del confronto militare tra sauditi e iraniani e tra blocco sciita e blocco sunnita determinata dalla decisione del presidente Donald Trump di portare gli Usa fuori dall'accorso sul nucleare iraniano. A chi conviene?

Esteri 11_05_2018
Iran, rogo di bandiere americane

L'Arabia Saudita si doterà di armi atomiche se l'Iran riprenderà il suo programma nucleare. Lo ha detto ieri alla Cnn il ministro degli Esteri di Riad, Mohammed Bin Salman Adel al Jubeir. Si tratta del primo passo verso l’escalation del confronto militare tra sauditi e iraniani e tra blocco sciita e blocco sunnita determinata dalla decisione del presidente Donald Trump di portare gli Usa fuori dall'accordo sul nucleare iraniano e di ripristinare le sanzioni.

Il monito del ministro degli esteri di Riad ripete quanto dichiarato dal principe saudita Mohammed bin Salman lo scorso marzo ma conferma soprattutto come l’iniziativa di Trump, sostenuta da sauditi e israeliani, ma condannata da Russia, Cina ed Europa, punti a infiammare l’intero Medio Oriente alimentando un’ulteriore corsa al riarmo. L'Iran ha minacciato di riprendere il suo programma nucleare dopo l'annuncio di Trump sebbene il presidente Hassan Rouhani abbia lasciato la porta aperta a lavorare con gli altri partner, a partire dell'Unione Europea. E’ però evidente che la defezione degli Stati Uniti rende l’accordo sul programma nucleare del 2015 quasi inutile, lasciando un ampio margine di manovra anche a Israele e Arabia Saudita: il primo ha lanciato ieri l’ennesimo raid aereo contro una base iraniana in Siria e il secondo vorrebbe schierare proprie truppe in territorio siriano per proteggere i ribelli jihadisti e combattere Bashar Assad.

A preparare il terreno alle bellicose dichiarazioni di Trump aveva provveduto Benjamin Netanyahu fornendo alla Casa Bianca la “pistola fumante” grazie ai ben 100mila documenti riservati che proverebbero le responsabilità di Teheran nel perseguire segretamente il proprio programma per sviluppare ordigni atomici. Rivelazioni espresse “al momento giusto”, ma che non hanno evidenziato prove di nessun tipo contro Teheran: del resto il capo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), Yukiya Amano, ha ribadito ieri che l'Iran rispetta pienamente i suoi impegni relativi all'accordo sul suo programma nucleare del 2015. "In base all'accordo, l'Iran è sottoposto al sistema di verifica nucleare più stringente al mondo, il che rappresenta una significativa garanzia in più”. Dubitare delle rivelazioni provenienti dagli Usa e dai suoi alleati circa le armi di distruzione di massa dei loro nemici è inoltre quanto mai imperativo, specie dopo la serie di figuracce rimediate recentemente dalle potenze occidentali col caso caso Skripal e sull’ipotetico uso di armi chimiche a Douma, in Siria.

Del resto Trump ha affermato che gli Usa lavoreranno insieme ai loro alleati per trovare una "soluzione definitiva" alla minaccia nucleare iraniana ma ha aggiunto di voler fermare lo sviluppo di missili balistici iraniani, bloccare l’influenza di Teheran nella regione mediorientale e persino far cadere il “regime sanguinario di Teheran che opprime la popolazione da 40 anni” sottolineando che “il popolo iraniano merita un governo migliore”. Qualcosa di simile a quello che affermava l’amministrazione Bush Jr. del regime di Saddam Hussein alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, all’inizio del 2003, e del resto il ritorno dei “neocon” pare confermato dall’incarico di Consigliere per la sicurezza nazionale attribuito al “falco” John Bolton, fautore del "regime change". Certo l’Iran ha lavorato a lungo alla “bomba” e non è escluso che in segreto cerchi ancora dotarsi di un arsenale atomico che bilanci quello israeliano e quello potenziale saudita.

Ieri la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, ha detto che l'Iran non negozierà con gli Usa il suo programma di missili balistici, nè la sua influenza nella regione. "Abbiamo firmato l'accordo, ma le inimicizie non sono terminate. Ora citano la nostra presenza nella regione e i nostri missili. Se dovessimo accettare di negoziare, creerebbero altri problemi su altre questioni", ha detto Khamenei. I vettori balistici a medio e lungo raggio sono armi strategiche che servono essenzialmente a portare armi di distruzione di massa, ma Israele ne schiera molte decine e dispone (anche se non lo ha mai ammesso ufficialmente) di circa 200 testate nucleari. Anche l’Arabia Saudita dispone di oltre un centinaio di missili balistici a medio raggio, con gittata tra i 1.800 e i 4mila chilometri: armi acquisite in Cina col via libera di Washington ma che non sembrano preoccupare né l’Onu né l’Occidente. Eppure i sauditi possono contare in caso di bisogno sulle testate atomiche del Pakistan il cui programma nucleare è stato interamente finanziati dai petrodollari di Riad.

Lecito quindi aspettarsi provocazioni statunitensi, israeliane o saudite in Siria, Libano o nel Golfo Persico che potrebbero determinare risposte iraniane, casus belli ideale per un conflitto su vasta scala tra i blocchi sciita e sunnita appoggiati rispettivamente da Mosca e Pechino e da Israele e Stati Uniti. Uno scenario disastroso per l’Europa, anche per le sanzioni che gli Usa pretendono di porre all’Iran e alle aziende straniere che coopereranno con Teheran. Il ministro dell'Economia francese, Bruno Le Maire, ha duramente criticato ieri la decisione degli Stati Uniti di uscire dall'accordo nucleare con l'Iran, definendola "un vero errore diplomatico". E aggiungendo che "non è accettabile" che gli Usa si pongano come "gendarme economico del pianeta". Le Maire ha ammesso che la decisione di Trump avrà "conseguenze" per le imprese francesi, citando Total, Sanofi, Renault e Peugeot: "In due anni - ha detto parlando a France Culture - la Francia aveva triplicato il suo surplus commerciale con l'Iran". Inoltre un Medio Oriente in fiamme determinerebbe lo stop ai flussi energetici e il boom ai flussi di immigrati illegali e profughi di guerra diretti in Europa, soprattutto quella mediterranea.

Trump con l’Iran ha mostrato coerenza rispetto a quanto aveva annunciato fin dalla campagna elettorale ma la denuncia ingiustificata dell’accordo del 2015 potrebbe in prospettiva rivelarsi un boomerang, specie per i rapporti con gli alleati europei. La nuova crisi iraniana conferma infatti quanto siano ormai divergenti gli interessi dell’Europa da quelli degli Usa, alleato sempre più ingombrante che da tempo persegue la destabilizzazione di tutte le aree energetiche (Nord Africa, Medio Oriente e Ucraina) indispensabili al Vecchio Continente. Gli Usa hanno raggiunto da tempo l’autosufficienza energetica e grazie allo shale gas e shale oil nel 2020 saranno potenzialmente i più grandi esportatori di energia. Un export che verrebbe facilitato, in assenza di oleodotti che attraversano gli oceani che circondano l’America, dall’infiammarsi delle aree energetiche tradizionali e dal conseguente innalzarsi dei prezzi. In ogni caso mettere con le spalle al muro Teheran ha senso solo se gli Usa cercano la guerra (da far combattere agli alleati?) ma la crisi potrebbe avere sviluppi molto più gravi e, anche a causa dei protagonisti regionali (tutti ben armati), imprevedibili, sfuggendo rapidamente a ogni possibile controllo.