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MIGRANTI NELLE DIOCESI

Di lotta o di governo? Due anime agitano la Cei

Arrivano nelle diocesi i primi 50 dei 100 migranti dopo la conclusione dell'Affaire Diciotti. La Chiesa si farà carico di vitto, alloggio e pratiche legali per il riconoscimento dello status di rifugiato. Che non dovrebbe essere difficile dato che si tratta di eritrei, molti dei quali perseguitati perché cristiani. Una situazione diversa dalla maggior parte dei richiedenti asilo e che non sembra destinata a ripetersi: «Siamo intervenuti per un braccio di ferro tra il governo e un'Europa cieca. Non possiamo farci carico noi dell'emergenza». Parole che segnano una visione distante rispetto alla linea Avvenire-Sant'Egidio del "porte aperte a tutti". E che non a caso il governo del "cattivo" Salvini predilige.
-UNA APP PER LA DIGNITA' DEI PROFUGHI di Anna Bono

Attualità 01_09_2018
I migranti ospitati a Rocca di Papa

Sono arrivati ieri a Milano i primi otto migranti provenienti dall’incrociatore Diciotti e ospitati dalla diocesi ambrosiana dopo l’accordo della Cei con il governo italiano. Si tratta di otto richiedenti asilo che verranno accolti a spese della diocesi a casa Suraya, una dimora gestita dalla cooperativa Farsi Prossimo all’interno del complesso delle Suore della Riparazione dove sono già presenti altri richiedenti asilo. L’arrivo degli 8 migranti ha preceduto di qualche ora la partenza dal Cas di Rocca di Papa di un’altra quarantina di migranti che da questa mattina saranno alloggiati nelle strutture di cinque diocesi italiane. 

«Dopo Milano - ha spiegato don Ivan Maffeis alla Nuova BQ - sarà la volta di Terni, Capua, Arezzo, Frosinone e Firenze. E con i prossimi giorni destineremo i restanti cinquanta alle altre diocesi che hanno dato la loro disponibilità. Cento in tutto».

L’accordo con il governo, siglato attraverso un’apposita convenzione con il Ministero degli Interni, prevede che a farsi carico dei costi di gestione del vitto, l’alloggio e le pratiche legali di richiesta di protezione umanitaria sia la Chiesa italiana in stretto contatto con il Viminale. E questo è per certi versi l’aspetto più singolare di una vicenda che ha visto polarizzarsi per giorni sui quotidiani da un lato il Ministro degli Interni Matteo Salvini e dall’altro il quotidiano dei vescovi Avvenire. Ma la convenzione siglata con il ministero nasconde qualche altro risvolto in più dato che proprio il governo più “odiato” per la Cei, stando alle campagne muscolose di Avvenire che ieri non ha esitato a ipotizzare la diserzione per quei militari coinvolti nelle operazioni di blocco navale messe in campo da Salvini, è quello con il quale la Chiesa ha raggiunto un accordo soddisfacente che consente al governo di dimostrare agli elettori che lo Stato non spenderà un euro per la gestione dei richiedenti asilo. 

Un assist a Salvini? Sembrerebbe di sì perché i rapporti tra Stato e Chiesa non sembrano affatto tesi come invece il quotidiano dei vescovi vorrebbe far credere. 

«L’identificazione che è stata fatta dal ministero a Messina ci conferma che si tratta di eritrei - spiega il portavoce della Cei - ed è con questa provenienza che verosimilmente verranno effettuate le richieste di protezione umanitaria». L’Eritrea infatti è un paese che è appena uscito da una guerra e sarà più semplice per i migranti dimostrare il loro effettivo riconoscimento di rifugiati.

Maffeis aggiunge che «molti di loro hanno già dichiarato di essere intenzionati «ad andare all’estero dove hanno parte della loro famiglia». Sembra dunque delinearsi una situazione molto diversa rispetto a quelle alle quali siamo abituati, con la presenza sul territorio italiano di richiedenti asilo provenienti da paesi non in guerra e che al termine dell’iter, non riuscendo a dimostrare di essere in pericolo in patria, si svelano come migranti economici e dunque, dopo i dinieghi delle prefetture, clandestini.

Ma è diversa anche per un altro motivo: «Le diocesi possono offrire un percorso di accoglienza all’interno di una comunità ecclesiale che è fatta da quella qualità di relazioni necessaria per integrarsi e per molti di loro si tratta anche di una condivisone della stessa fede».

La maggior parte dei migranti sbarcati dalla Diciotti sono dunque cristiani e don Maffeis non esita a raccontare anche un episodio che lo ha visto testimone: «Due di loro con i quali ho parlato mi hanno mostrato con orgoglio un crocifisso appeso al collo, Un orgoglio che mi ha colpito: dietro quel crocifisso c’è una grande testimonianza di fede cristiana che può portare una iniezione di fede nelle stesse comunità perché la loro storia di persecuzione non può lasciarci indifferenti». 

Certo, è probabile che una buona parte di loro siano musulmani, in questo caso le diocesi offriranno percorsi di ascolto e accoglienza, ma ciò che stupisce è notare come a confermare la Cei sulla bontà dell’operazione, sia stato proprio il vedere l’orgoglio di questi fratelli nella fede che sono arrivati qui dopo essere stati picchiati a motivo della loro fede: «Per me è stata una “frustata” incredibile. Se penso che noi ci vergogniamo della nostra…», ha commentato.

La Cei sembra essersi comportata astutamente in questa partita: ha giocato da protagonista, ma alla fine ha accolto le porte a migranti che facilmente saranno considerati profughi e soprattutto cristiani. Ma che cosa succederà se dovesse esserci un’altra crisi e dovessero presentarsi tipologie di clandestini diverse e di più difficile gestione? 

«Sia ben chiaro - mette le mani avanti -, questa è stata una iniziativa legata ad uno stato di emergenza. L’Europa si è mostrata miope e sorda, noi possiamo andare avanti a fare appelli, ma c’è il rischio di una polemica politica che non può appartenere alla Chiesa. Certo, la Chiesa nelle sue strutture accoglie già decine di migliaia di richiedenti asilo, ma in questo caso stiamo parlando di un pugno di persone che erano ostaggio di un braccio di ferro tra un’Europa cieca e il governo. E’ ovvio che il tema dell’immigrazione non possa essere affrontato così, serve per forza che ci sia un coinvolgimento della politica e della politica comunitaria».

Infatti «le diocesi non potrebbero farsi carico di migranti economici, c’è un impegno della Chiesa ad accogliere a comunicare tutti gli spostamenti, ma è chiaro che la Chiesa non si può sostituire agli Stati. Di certo questa vicenda ci deve interrogare, ma bisogna ridimensionare il nostro apporto: abbiamo soltanto dato una risposta in una fase di emergenza umanitaria quando tutti i Paesi europei si sono voltati dall’altra parte. In questo senso abbiamo svolto un ruolo di supplenza».

Parole che nei toni e nei contenuti sono diverse da quelle con le quali Avvenire ha affrontato la vicenda, dettate da un risentimento politico antileghista evidente e ispirate alla linea Galantino-Sant’Egidio, e che mostrano una visione del problema migrazioni chiaramente orientata al “porte a perte a tutti”. 

Di contro, con questa operazione, la Cei mostra invece una capacità di una gestione dell’immigrazione controllata e maggiormente accorta, che non è dispiaciuta al governo del “cattivo” Salvini. 

Sono differenze di approcci che delineano l’esistenza di due anime: da un lato Avvenire, dall’altro i vescovi più concreti e decisamente meno ideologici verso un dramma, quello della tratta dei clandestini, che va gestito e non incentivato.