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PAOLO IL CALDO

Dai rubinetti non solo acqua, ma demagogia a go go

Quanta demagogia e stupidaggini sull'acqua. Gli argomenti “acqua” e “gestioni idriche” vengono oggi dibattuti per lo più sulla base di stimoli emotivi, alimentati per motivi politico-elettorali in maniera populista  da formazioni politiche e  ambientalisti che hanno l’unico obiettivo di portare  allo sfascio del Paese. 

Paolo il caldo 12_11_2014
Quanta demagogia sull'acqua

Parlare oggi di acqua e di consumi idrici equivale a dare la stura ad una serqua di minchionerie che difficilmente possono essere riscontraei se si parla di altri temi. Gli argomenti “acqua” e “gestioni idriche” vengono infatti dibattuti per lo più sulla base di stimoli emotivi, alimentati per motivi politico-elettorali in maniera populista (e quindi incolta) da formazioni politiche, gruppi di pseudo ambientalisti e marpioni, che hanno l’unico obiettivo di portare un loro potente contributo allo sfascio del Paese. E non è che non ci stiano riuscendo: con il loro referendum – barbaro, ignorante e quindi approvato dalla mente ottusa e dall’incultura dei nostri connazionali che sono stati trascinati a votare – hanno dato una bella spinta alla sovietizzazione dell’Italia. Si tratta indubbiamente di un fenomeno interessante, che applica in modo estensivo lo slogan marxiano della proprietà pubblica dei mezzi di produzione, reclamando anche la proprietà pubblica delle gestioni di servizi pubblici. 

Tutta l’operazione parte dalla rivendicazione della proprietà pubblica delle risorse idriche: pleonasmo ignorante, dato che tale regime era già previsto dalla legge sulle acque del 1903, ed è stato confermato da un provvedimento del 2006. Ma quello che non si è capito, o non si è voluto capire, è che l’acqua non è come l’aria: l’aria è presente dappertutto per sua natura, e il suo uso non ha bisogno di interventi umani. In termini economici l’uso dell’aria è giustamente gratuito. Per l’acqua non è la stessa cosa: l’acqua ha bisogno di essere captata, potabilizzata, trasportata, e dopo l’uso depurata, prima di essere nuovamente immessa in un corpo idrico. Chi andasse alla sorgente, attingesse l’acqua, se la trasportasse a casa, la utilizzasse e la pulisse, giustamente avrebbe un ciclo dell’acqua a costo zero. Ma tutte queste attività, se non svolte in proprio, hanno dei costi, che qualcuno deve pagare: o li sopporta un soggetto che poi recupera il costo dell’investimento e un giusto ritorno dai capitali investiti emettendo bollette proporzionate al bene usato, oppure quei costi ricadranno sulla fiscalità generale, cioè su tutti noi. È evidente che le situazioni di indigenza andranno trattate come occasioni necessarie di assistenza pubblica.

Come ci spiega Sesto Giulio Frontino, curator aquarum sotto Nerva, nel suo De aquaeductu urbis Romae, già in epoca romana il profluvio di acque che giungeva nell’Urbe poteva essere utilizzato dai privati solo dietro pagamento di una tassa proporzionata alla dimensione della deviazione che veniva utilizzata; e oltretutto, se l’acqua fosse gratuita, la cosa andrebbe solo a vantaggio dei grandi utilizzatori, che si vedrebbero finanziata un’importante materia prima da tutti i cittadini. Da allora il mondo è cambiato, ma le regole no: quello che non si poteva fare gratis mille anni fa non può farsi gratis neppure ora. I costi presenti, ora come allora, vanno sostenuti, e qualcuno deve pagarli.

Mentre scrivo questa nota, constato che l’imbecillità (o la faziosità) della gente non ha limiti. Leggo su un giornale che spruzza bile da ogni suo pezzetto (la bile derivante dalla faziosità frustrata, direbbe Milton) una nota intitolata: “Acqua pubblica: in Australia non si elemosina un bicchier d’acqua al bar”, nel quale si fa un confronto tra Australia (dove l’acqua non si elemosinerebbe) e Italia, dove invece sì. Mi viene da chiedermi dove ha vissuto e dove viva chi l’ha scritto. Io da settantadue anni vivo a Roma e comunque in Italia, e quando, avendo sete, sono entrato in un bar per chiedere un bicchier d’acqua, l’ho ottenuto senza “elemosinarlo”. Forse l’”autore” ha un aspetto ripugnante? Emana cattivi odori? Quando ha fatto la richiesta era in stato di ubriachezza molesta e ripugnante? Dava segni di essere sotto l’effetto di droghe o psicofarmaci? Ha avuto la sfortuna di imbattersi solo in baristi collerici e maleducati? Questi casi, e pochi altri, possono spiegare il rifiuto opposto alla richiesta di un bicchier d’acqua; che pure, a ben vedere, costa qualcosa al barista: quanto meno la spesa sopportata per la pulizia del bicchiere. 

Mi sono soffermato su questo articolo solo per dimostrare come l’argomento “acqua” stimoli populismo e imbecillità; ma voglio anche ricordare che populismo e imbecillità hanno fatto sì che l’ottima norma sulle risorse idriche chiamata “legge Galli” dal nome del suo estensore sia stata sconciata e ridotta ad un orrore giuridico prima ancora di essere applicata, per opera dei ministri Pecoraro Scanio, Prestigiacomo e Orlando. E che adesso la materia è dominata da imbecillità e demagogia.