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ANNIVERSARIO

«Cristo centro del cosmo e della storia». Ecco da dove nasce

Quaranta anni fa Giovanni Paolo II pubblicava Redemptor Hominis, la prima delle sue 14 encicliche. Un documento inedito pubblicato in polacco fa risalire l'origine di questa enciclica a un ciclo di catechesi, a metà degli anni '60, centrato sul discorso di San Paolo all'Aeropago.

Ecclesia 04_03_2019
San Giovanni Paolo II

Il 4 marzo 1979 - quarant'anni fa - poco più di quattro mesi dopo la sua elezione al soglio di Pietro, veniva pubblicata la Redemptor Hominis, la prima delle quattordici encicliche di Giovanni Paolo II  (l'ultima sarà, nel 2003, la Ecclesia de Eucharistia). Va da sé che in quattro mesi, peraltro ben spesi, il nuovo Papa non avrà avuto tempo per elaborare il ricco pensiero da lui esposto in questa enciclica, al tempo stesso solenne, in quanto incentrata su Gesù Cristo, «centro del cosmo e della storia» (stando alle prime parole), e molto personale nel suo tono.

Una preparazione prossima di questo documento era stato, per l'autore, il ritiro da lui predicato a Paolo VI e alla curia nella primavera del 1976, ossia tre anni prima, pubblicato con il titolo Segno di contraddizione, dove il predicatore si sforzava di ritornare sul mistero cristiano nella sua totalità, dalla creazione iniziale del mondo fino al suo compimento finale. Ma la riflessione religiosa, espressa anche nei suoi poemi, per Wojtyla, risaliva a molto prima, a margine delle sue attività di insegnamento che lo portavano a impegnarsi nel campo dell'etica, dell'antropologia e della filosofia morale.

È l'obiettivo di un documento inedito recentemente pubblicato in polacco mettere in evidenza questo aspetto, con rimando ai primi anni di maturità di Wojtyla, intorno al 1965 (la data esatta di questo documento è ignota). Il "Discorso sull’Areopago", edito a Cracovia a ottobre 2018, racchiude una serie di tredici brevi “catechesi”, come le definisce l’autore, o piuttosto delle meditazioni che racchiudono l’intero contenuto della fede, e dove si possono ritrovare quasi tutti gli articoli del “credo”, senza che questo ciclo, che non ha nulla di didattico, sia un commento a essi.

Stando agli Atti degli Apostoli (Capitolo 17, 16-34) questi brevi testi prendono spunto dal discorso pronunciato da Paolo sull’Areopago di Atene, che Karol Wojtyla aveva letto sul posto in occasione di un viaggio ad Atene e Gerusalemme nel 1963, in mezzo a due sessioni del Concilio Vaticano II, al quale partecipava in veste di vescovo ausiliare e di prossimo arcivescovo di Cracovia. Ad Atene, Wojtyla è rimasto colpito dalla somiglianza tra la situazione di Paolo, che si rivolgeva al mondo greco-romano che, contrariamente al mondo ebraico, non beneficiava dell’illuminazione dei testi biblici, e la situazione della Chiesa Cattolica impegnata nell’impresa conciliare di apertura al mondo, al quale essa propone diffusamente il discorso sulla fede. Paolo parla ai greci mostrando loro l’azione di Dio nel cosmo e nella storia, stessa cosa fatta dalla Chiesa conciliare che, come Paolo, invita gli uomini a ritornare a Dio, a scoprire le ricchezze della sua grazia.

Una delle caratteristiche di questo ciclo, che cerca di arrivare al cuore della proposta cristiana, è di trasportarsi interiormente nei luoghi del primo annuncio del Cristo. In seguito ad Atene e alla predicazione di Paolo, la meditazione si sposta a Gerusalemme, che funge da contesto al discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste, per una prima proclamazione del saluto in Gesù Cristo. Precedentemente, Gerusalemme aveva assistito, nel cenacolo, all’istituzione dell’Eucaristia, poi al dono dello Spirito, comunicato agli apostoli dal Risorto (Gv 20, 22). Ancora prima, Gesù vi annunciava a Nicodemo la nuova nascita nello Spirito del Battesimo, perché “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”(Gv 3, 16).

Concentrandosi sui luoghi, Wojtyla cerca di entrare mentalmente nel “passaggio del testimone” da Gesù, Figlio di Dio e salvatore, ai suoi apostoli e discepoli. Il momento-chiave in assoluto è quello in cui, la sera di Pasqua, Gesù, che sulla croce “Dio fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2 Co 5, 21), ritorna vittorioso dalla morte e propaga sui suoi discepoli il suo soffio rigenerante, come aveva fatto il Creatore con i primi uomini. I discepoli diventano, quindi, non solo testimoni, come Pietro, Paolo e tutti gli evangelizzatori nei secoli dei secoli, ma anche partecipi di questo rinnovamento interiore, in particolare grazie alla presenza attiva di Gesù stesso nel sacrificio eucaristico, che prolunga questi eventi originari e ha una portata non solo umana, ma cosmica.

Secondo una riflessione di Paolo radicata nel pensiero di Wojtyla, la creazione stessa – l’universo e le realtà fisico-biologiche – anela alla “rivelazione dei figli di Dio”, ossia a un’armonia e a una pienezza di vita che la “libera dalla corruzione” (Rm 8, 21-22), dalla disintegrazione e dal nulla. In questa prospettiva, il messaggio che la Chiesa intende dare al mondo è un messaggio di vita e di misericordia. Dal momento che l’uomo e le società restano segnate dalle deviazioni e dalle rotture interne, conseguenze dell’allontanamento da Dio e del rifiuto del bene, l’appello al mondo che oggi si sostituisce a quello di Paolo e degli apostoli è, innanzitutto, un appello a riconciliarsi con Dio e a entrare nell’orbita della redenzione.

È qui che ritroviamo la Redemptor Hominis, i cui punti cardine biblici spesso sono analoghi ai punti cardine della meditazione delle “catechesi sull’Areopago”. In Gesù Cristo, Dio parla all’uomo in molte modalità, specialmente in queste due: da un lato esprime la potenza dell’amore divino, che ha portato il Figlio di Dio a sacrificarsi per i peccatori, dall’altro manifesta la bellezza dell’umanità di cui Gesù, in cui lo Spirito dimora, è il prototipo.

L’enciclica del marzo 1979, incentrata sul Figlio redentore, è, quindi, strettamente connessa a quella del 1980, Dives in misericordia, così come a quella del 1986 sullo Spirito, Dominum et vivificantem, che completa questa presentazione di Dio Trinità al mondo moderno e s’inscrive, insieme al Discorso sull’Areopago (di prossima pubblicazione), nel ricco patrimonio di fede e di pensiero lasciatoci da Giovanni Paolo II. 

(Traduzione di Davide Polenghi)
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata sulla pagina francese di Aleteia (clicca qui)