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INTERVISTA

Cristiani perseguitati, un affare che ci riguarda

«Pregare è il gesto più grande che possiamo fare per i cristiani in Medio Oriente, perché la pace viene dai cuori convertiti. E la conversione è un dono che viene dall'alto» Parla padre Francesco Ielpo, commissario francescano di Terrasanta, che domenica 20 novembre porterà la sua testimonianza a Milano, durante il mensile Rosario per i cristiani perseguitati, organizzato dal Comitato Nazarat.

Libertà religiosa 19_11_2016
Padre Francesco Ielpo

«Non c’è pace che non parta dal proprio cuore cambiato e non c’è cambiamento possibile che non venga dall’alto». Per il padre francescano commissario di Terra Santa, Francesco Ielpo, è proprio così, letteralmente come dice Cristo nel Vangelo: «Senza di me non potete fare nulla». E per nulla si intende proprio nulla di buono. Per questo Ielpo darà testimonianza domenica 20 novembre alle ore 21 in piazza della Scala a Milano in occasione del Rosario per i cristiani perseguitati (organizzato dal Comitato Nazarat) che verrà recitato anche in altre città come Lugano, Portomaggiore, Loreto, Andota, Cesena, Rimini, Bologna, Prato, Siena. 

Padre, assistiamo ogni giorno di più al disastro di una persecuzione che sembra inarrestabile e che sta portando alla scomparsa della Chiesa in Medio Oriente. Pare che ogni soluzione sia ormai incapace di risolvere il dramma. Che fare?
Pregare è il gesto più grande e vero che un credente possa fare, perché la pace non viene innanzitutto dagli accordi internazionali, che sono solo una conseguenza di essa, ma dai cuori convertiti. E la conversione è un dono che viene dall’alto, non il frutto di uno sforzo. Come dono, dunque, non può essere realizzato ma solo domandato da me. Perciò la preghiera è l’atteggiamento più realista che ci sia.

Ci spieghi meglio perché non è un rifugio?
Direi l’opposto: la preghiera illumina la realtà, chiarendo che la storia non è solo l’esito della libertà umana, ma è mossa e guidata da un Dio che si è incarnato, che è morto ed è risorto. Questa fede genera la speranza necessaria a non soccombere al male e a reagire. Altrimenti non si spiegherebbe perché i nostri fratelli perseguitati in Medio Oriente e in Africa, prima che domandare aiuti economici ci chiedano di pregare. 

Cosa ne pensa dell’iniziativa del comitato Nazarat di recitare proprio il Rosario e di farlo ogni 20 del mese?
La preghiera rivolta a Dio con ripetitività è una grande scuola di fede: la alimenta, educando alla resistenza e alla non rassegnazione. Per questo chi prega spera e sperando continua a pregare. 

Perché non pregare in Chiesa?
Quella che sta avvenendo in Medio Oriente è una persecuzione senza precedenti che riguarda anche noi, sebbene questo venga spesso dimenticato. E’ quindi importante che il gesto sia pubblico, affinché possa raggiungere tutti ed essere una proposta per ogni persona. Il suo valore è poi incrementato dal fatto che il nostro mondo incapace di vedere oltre al materiale ci convince che l’uomo sia l’artefice di tutto. Questo sguardo non è solo miope, ma ci condanna al limite delle nostre forze, che sono poche e misere, producendo quindi rassegnazione e disperazione.

Come superare l’indifferenza verso il destino dei nostri fratelli perseguitati?
Sempre pregando per loro incrementiamo la coscienza del fatto che siamo un solo corpo. Infatti, ricordandoci del loro dolore ci accorgiamo che quando un membro soffre tutto il corpo ne risente. Spesso tendiamo a non ricordarcene, come se le persecuzioni lontane non ci riguardassero. 

In che modo ci riguardano?
Noi francescani siamo custodi della Terra Santa perché lì è nata la nostra fede, quindi tutti noi siamo nati in quei luoghi, siamo figli di quella fede. E lì che si rivive continuamente il venerdì santo in cui Dio soffre per l’edificazione di tutta la Chiesa. Allo stesso modo il martirio dei nostri fratelli edifica la Chiesa. Tutto questo ci ricorda il nostro compito come cristiani anche qui nell’Occidente ateo. Infine, guardare a quanto accade con la coscienza che questo male terribile viene usato da Cristo per produrre vita alimenta la nostra speranza. Per questo abbiamo testimonianze di cristiani laici e di sacerdoti, i quali vivono la persecuzione sulla loro pelle, che dicono di sperimentare, insieme al dolore, un amore illimitato, partecipando a quello di Cristo per noi. Ma di questo ne parlerò domenica.