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INDIA-PAKISTAN

Crisi in Kashmir, Modi sfida il Pakistan (e il pluralismo)

Annessione del Kashmir da parte dell'India. Finora era una regione, musulmana, che godeva di piena autonomia nella federazione indiana. Per il Pakistan era parte della sua identità nazionale, per l'India un banco di prova per il pluralismo religioso ed etnico. Modi cambia tutto, vuole uno Stato a forte connotazione indù e sfida il Pakistan

Esteri 08_08_2019
Posto di blocco in Kashmir

Il Kashmir è isolato; l’esercito indiano pattuglia le strade, internet e telefoni sono fuori uso, è entrato in vigore il coprifuoco - nonostante le incessanti proteste del popolo - e l’allerta terrorismo è alle stelle. Questa la situazione in cui versa il Paese a 48 ore dalla perdita della sua autonomia.

Lunedì scorso, l’amministrazione del  primo ministro indiano Narendra Modi ha cancellato – con decreto presidenziale - l’articolo 370 della Costituzione, revocando lo status speciale del Kashmir, in vigore dal 1954. L’articolo 370, infatti, garantiva allo Stato di Jammu e Kashmir un certo grado di indipendenza politica, con la possibilità di legiferare in maniera autonoma – ad eccezione di materie come politica estera, difesa e comunicazioni – una Costituzione propria e una bandiera. Una mossa improvvisa, ma tutt’altro che inaspettata. Da tempo il governo indiano aveva intenzione di abolire l’articolo 370 – pensato come misura temporanea, pur essendo diventato de facto una norma fissa della Costituzione –, ma si era sempre limitato per timore di una guerra con il Pakistan.

Il Kashmir, infatti, è rivendicato nella sua totalità sia dal Pakistan che dall’India. Era quest’ultima, finora, a controllare due terzi della regione. La disputa tra i due Paesi ha radici molto antiche e comprende motivazioni strategiche, religiose ed etniche. Gli scontri per il possesso del Kashmir sono iniziati nel 1947, con la dissoluzione dell’impero anglo-indiano e la conseguente nascita di due Stati indipendenti: il Pakistan, a maggioranza musulmana, e l’India, a maggioranza indù. Inizialmente indipendente da entrambi gli Stati, il Kashmir – nel quale un maharajah indù governava su una maggioranza musulmana – è stato presto invaso dal Pakistan. In quel frangente, il maharajah si era rivolto all’India che, decidendo di federare la regione, le concedeva anche uno status speciale, a garanzia di una certa indipendenza dal governo centrale.

Ad oggi, entrambi i Paesi hanno interesse a controllare la regione. Per il Pakistan, il Kashmir è parte integrante dell’identità nazionale, che si basa sull’unione di tutti i musulmani del sub-continente indiano. L’India, invece, uno Stato federale con una forte multi-religiosità, ha trasformato il Kashmir in un banco di prova per la coesistenza – seppur forzata - di minoranze diverse nel Paese; tutelandosi così anche da eventuali ulteriori tendenze centrifughe.

La situazione del Kashmir è rimasta invariata per 65 anni; almeno fino a lunedì scorso, quando Modi ha annunciato la decisione di annettere definitivamente la regione all’India. In realtà, il governo di Nuova Delhi aveva già adottato questo provvedimento lo scorso febbraio, ma è stato costretto a posticiparne l’annuncio a causa dell’escalation di tensione con il Pakistan. Il 14 febbraio, infatti, un terrorista suicida legato al gruppo Jaish-e-Mohammed ha colpito un autobus su cui viaggiavano gli agenti della Central Reserve Police Force (Crpf), la principale forza di polizia indiana, uccidendone 39. Qualche giorno più tardi (26 febbraio), in risposta all’attentato, l’Aeronautica indiana ha bombardato le postazioni del gruppo terrorista nei pressi di Balakot (Pakistan). Il picco di tensione è stato raggiunto il giorno successivo, quando jet da combattimento indiani e pakistani si sono scontrati nei cieli dell’India e le forze di Islamabad hanno abbattuto un velivolo indiano, catturandone il pilota. Le tensioni sono poi rientrate, ma l’ondata nazionalista che si è sollevata in India ha contribuito a rafforzare la posizione di Modi nelle elezioni dell’aprile-maggio scorso, incoraggiando l’annuncio dell’abolizione dello status quo dello Stato di Jammu e Kashmir.

Si tratta tuttavia di una decisione irricevibile per il Pakistan. Il primo ministro di Islamabad, Imran Khan, ha bollato come “illegale” quanto accaduto, affermando di voler ricorrere a qualsiasi strumento per “contrastare le azioni compiute dall’India”, un tentativo – secondo le autorità pakistane - di assecondare la maggioranza indù a discapito della minoranza musulmana. Khan ha infatti accusato l’omologo indiano di voler “promuovere un’ideologia che mette l’induismo al di sopra di qualsiasi altra religione”, creando “uno Stato che reprime ogni altro gruppo religioso”.

Se per il primo ministro Modi l’intera vicenda non sarebbe altro che un passaggio amministrativo, una “semplice riorganizzazione” del territorio attesa da molto tempo, i suoi oppositori interni hanno parlato di “un attacco al cuore dell’identità secolare indiana” e un duro colpo a uno Stato che si è sempre definito “una democrazia tra le più libere e stabili tra i Paesi in via di sviluppo”. Ma c’è di più: alcuni analisti temono che l’abolizione dell’articolo 370 sia solo l’inizio e che, una volta realizzato il piano previsto per il Kashmir, Modi possa dedicarsi a questioni ancor più polarizzanti dal punto di vista religioso. Tra queste vi sarebbero l’abolizione delle leggi musulmane su matrimonio ed eredità e la costruzione di un tempio indù a Ayodhya, sulle rovine di una moschea.