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LA TESTIMONIANZA

"Così il pensiero dell'inferno mi salvò la vita"

Una donna racconta di come la Grazia di Dio passi anche dal pensiero dell'Inferno: "Sono stata depressa tre anni, volevo suicidarmi, ma si fece strada in me il pensiero della condanna eterna che mi era stata insegnata a dottrina. Così da quel giorno la Provvidenza iniziò a guarirmi". 

Editoriali 13_04_2018

Riceviamo un'importante testimonianza di una lettrice di Bologna sull'Inferno. Il suo racconto è prezioso per far capire che la Grazia della salvezza passa anche dal solo pensiero dell'esistenza di un giudizio eterno di cui avere timore. Il santo timore di Dio. 

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Molti anni fa (eravamo negli anni ’70) sono caduta in una grave depressione che, fra miglioramenti e peggioramenti, è durata circa tre anni. Ricordo quello che provavo in quel periodo. Tutto mi dava tristezza, tutto mi appariva senza significato. Non provavo gusto a mangiare, anche i cibi più appetibili mi nauseavano. Non vedevo niente di bello e di buono. Ad esempio: una giornata limpida, col sole che illuminava una splendida natura rigogliosa, non mi procurava nessun sentimento di gioia, ma solo angoscia e tristezza. Non godevo del presente, pensavo che tutto quanto c’è di bello è provvisorio, per cui ero triste e angosciata per le nuvole, per il buio, che sentivo sopraggiungere imminente.

Mi ero convinta di avere fatto tutto male nella vita e di non essere buona a niente, e pensavo che per me sarebbe stato meglio non essere mai nata. Niente e nessuno mi interessava più; perfino mio marito e i miei figli parevano essermi diventati indifferenti. In questa angosciosa situazione ambivo solo dormire per non pensare; ma anche il sonno, procurato dai farmaci, era popolato di incubi. Pensavo allora che l’unica cosa positiva per me sarebbe stata morire, e che la mia morte sarebbe stata un sollievo per mio marito, per i miei figli, per tutti.

Ho avuto pensieri di invidia verso chi, in una situazione come la mia, si toglieva la vita perché (così pensavo allora) finisce di vivere una vita inutile, senza senso, senza significato. Vedevo nel suicidio un gesto di coraggio e io mi giudicavo vile per non avere neppure questo coraggio.

Ricordo che, mentre ero preda di questi pensieri negativi, un altro pensiero affiorò alla mia mente: forse dopo la morte non c’era quel nulla che io nella malattia desideravo, ma invece il giudizio di Dio e la condanna alla pena eterna perché il suicidio è un peccato mortale. Questo pensiero proveniva dalla sana dottrina cattolica che da bambina mi era stata insegnata e ora veniva a imprimersi con forza nella mia mente. E questa buona ispirazione mi tratteneva dal desiderare di commettere un gesto irreparabile.

Persistendo tuttavia la depressione, mi rivolgevo al Signore pregandolo di farmi morire perché – gli dicevo nella preghiera - la mia vita non valeva la pena di essere vissuta.  Ma avevo la sensazione che il Signore non mi ascoltasse e di trovarmi in una solitudine ancora peggiore, dove anche il Signore mi aveva abbandonato. Non mi ero accorta allora, che il Signore era invece intervenuto, e mi aveva salvato. Perché la mia vita, che ai miei occhi appariva inutile, era invece preziosa ai suoi occhi.

Così mentre miglioravo con l’aiuto delle medicine e della pazienza di mio marito, la Provvidenza mi fece incontrare una santa monaca che mi ha insegnato a pregare, a leggere e meditare la Sacra Scrittura e la Liturgia delle Ore e mi ha guidato in un percorso di fede dove ho incontrato il Signore nell’obbedienza ai comandamenti e nella pratica dei sacramenti. Sono passati molti anni, sono guarita e non sono più ricaduta nella malattia. Perché è il Signore che dà senso a tutta la nostra vita.

Nessuna vita è inutile, perché il Signore non crea niente di inutile: nella sua creazione tutto ha un senso, tutto ha un perché. La vita – ogni vita umana – è preziosissima ai suoi occhi.  Grazie Signore Gesù.