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EUROPA

Contro l'eutanasia, una vittoria di Pirro

Niente trionfalismi. La risoluzione del Consiglio d'Europa sprona i 47 Stati membri a introdurre il testamento biologico nei propri ordinamenti.

Attualità 30_01_2012
Consiglio di Europa

Il 25 gennaio scorso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha pubblicato la Risoluzione n. 1859 in cui sprona i 47 Stati membri, tra cui l’Italia, ad introdurre nelle loro legislazioni una disciplina normativa che riguardi lo strumento del cosiddetto testamento biologico, o direttive anticipate di trattamento (DAT) o living will.


I pericoli, gli errori e gli inciampi giuridici contenuti in questo testo sono molteplici. Vediamone qualcuno in sintesi.


In prima battuta dobbiamo osservare che l’Assemblea fa discendere “il principio di autonomia personale e il principio del consenso” informato dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. Derivazione indebita dato che questo articolo riguarda il rispetto della vita privata e familiare, cioè la privacy personale. Detto in parole povere questo articolo impone che lo Stato o chicchessia non entri nell’intimità della vita personale. Non riguarda assolutamente la possibilità di rifiutare cure mediche.


Un secondo errore sta nel fatto che la Risoluzione applica la disciplina del consenso informato allo strumento del testamento biologico. Ma questa operazione di fatto è impossibile da realizzarsi. Infatti il consenso perché sia valido deve essere formale e attuale. Formale: io firmo o mi rifiuto di firmare un modulo in cui mi si chiede di essere sottoposto ad alcune cure particolari. Attuale nel senso che il mio consenso è efficace solo se espresso dopo che ho ricevuto le dovute informazioni dal medico. Come potrei acconsentire a sottopormi ad un trattamento che non mi è stato ancora spiegato nel dettaglio?


Ora il testamento biologico è sicuramente un documento formale, cioè scritto nero su bianco e – si spera – rispettando alcune caratteristiche di redazione. Ma non è strumento che soddisfa il criterio di attualità. Infatti nel testamento biologico io posso rifiutare cure di cui non ho avuto illustrazione alcuna da parte dei medici, perché forse vi sarò sottoposto solo tra molti anni. Il consenso/rifiuto inserito nel testamento biologico è quindi un consenso/rifiuto non informato, ma disinformato.


Altro inciampo: l’Assemblea afferma che le volontà espresse nel testamento biologico sono vincolanti per il medico perché così è stato stabilito dall’art. 9 della Convenzione di Oviedo. Purtroppo l’art. 9 dice l’esatto opposto. Infatti se si va a leggere il Rapporto Esplicativo di questo stesso articolo si scopre che gli estensori hanno inteso dire che le dichiarazioni anticipate hanno valore non vincolante bensì orientativo, valore consultivo non obbligatorio.


La Risoluzione poi ad un certo punto richiama una Raccomandazione del 2009 (CM/Rec [2009]11), la quale afferma che l’estensore del testamento biologico può nominare un suo fiduciario per l’applicazione corretta delle sue volontà. Purtroppo, come abbiamo già scritto sulla Bussola in passato, il fiduciario, al pari di noi tutti poveri esseri umani, non è immune da errori e quindi non si esclude che possa in buona fede sbagliarsi nell’interpretare il testo del testamento biologico, così come alcuni studi hanno messo in evidenza. Ma potrebbe cadere in errore anche dolosamente se l’estensore delle DAT per ipotesi lo aveva nominato in aggiunta – cosa non rara – successore del suo patrimonio o parte di esso. La tentazione di dare una spintarella al caro nonno moribondo verso la dolce morte in alcune circostanze potrebbe essere molto seducente.


La Risoluzione, come se non bastasse, complica la situazione ancora di più laddove permette all’estensore di nominare più fiduciari: difficile ipotizzare che vadano tutti d’accordo. In merito a questa eventualità il testo prevede l’elezione sempre da parte dell’estensore delle DAT di uno specie di arbitro. Ma anche costui non è esente da errore. E poi viene da chiedersi dove è finito il principio di autodeterminazione con tutta questa gente che decide al posto del paziente.

Inoltre il fiduciario deve seguire non solo le volontà espresse nelle DAT, scritte nero su bianco, ma anche i desideri, gli stati d’animo e gli orientamenti generali di vita devono essere rispettati. Il problema è che desideri, orientamenti di vita etc. sono criteri troppo generali e quindi troppo ambigui per fornire indicazioni precise su quali scelte compiere. Ricordiamo che Eluana morì di fame e di sete perché un giudice sentenziò che gli stili di vita di questa donna prima dell’incidente strizzavano l’occhio all’eutanasia.


Di fronte a tutte queste incertezze i deputati Luca Volontè (Udc) e Renato Farina (Pdl) hanno presentato un emendamento in cui si indica che in caso di dubbio sul da farsi occorre sempre applicare il principio del favor vitae. Però non è escluso che il fiduciario sia sicurissimo di applicare le volontà dell’estensore delle DAT nonostante questi abbia in realtà disposto altro e allora il dubbio nemmeno si pone. Oppure chi ci assicura che fiduciario, familiari e medico non decidano di far dire alla DAT quello che non vogliono dire? Chi controlla? Chi adirà un giudice? E anche nel caso in cui qualcuno percorrerà le vie legali riuscirà a farlo in tempo utile prima che si stacchi la spina?


Altro emendamento proposto da Volontè e Farina: "L'eutanasia, intesa come l'uccisione volontaria o per omissione di un essere umano dipendente per il suo supposto beneficio dovrebbe essere sempre proibita". E' sicuramente apprezzabile lo sforzo di questi due parlamentari nell’evitare derive eutanasiche, ma cantare vittoria contro l'eutanasia per il passaggio di questi emendamenti, è quanto meno temerario. Rimangono infatti alcuni problemi sul tavolo. Se per esempio io nel testamento biologico chiedo, allorchè sarò incapace di intendere e volere, di non essere sottoposto o di interrompere  cure salvavite, i medici dovranno obbedire a questa mia richiesta, causando così la mia morte. Questa situazione configura né più né meno un caso di eutanasia omissiva: io medico non ti do quelle cure che ti permetteranno di vivere, perché tu le hai rifiutate nel tuo testamento biologico. L’effetto di questa decisione è la morte del paziente con la collaborazione omissiva dei medici. Insomma la legge può anche vietare l’eutanasia sulla carta, ma poi non può legittimare pratiche – l’obbligo di rendere effettiva qualsiasi disposizione delle DAT – che rendono nella prassi vano quel divieto.

Altra pezza cucita dall’Assemblea parlamentare: non devono essere accolte quelle indicazioni contrarie alla legge, alla buona pratica medica, o difformi alla situazione prospettata in precedenza nel testamento biologico.

In merito alla legge: io chiedo di morire ma c’è una legge che vieta l’eutanasia. Purtroppo si potrà dare il caso che comunque prevarrà la volontà del paziente seppur il suo rifiuto di cure salvavita lo porterà alla morte. Questo perché su una disposizione generale – divieto d’eutanasia – prevale la normativa specifica (quella sul testamento biologico). Anche nel nostro ordinamento è previsto che il medico debba curare sempre e comunque, eccetto però il caso di rifiuto attuale. Anche un rifiuto che consapevolmente porterà alla morte il paziente.

Per quanto riguarda la pratica medica: in Italia i medici non recitano più nemmeno il giuramento di Ippocrate che vietava l’eutanasia quindi i confini della buona pratica medica ormai sono sempre più indefiniti. Nel nostro Paese è già accaduto che assecondare gli istinti di morte del paziente sia stato qualificato come dovere deontologico del medico.

Infine in merito al verificarsi di nuove situazioni non previste dal testamento biologico, occorre tenere presenti due elementi. Il primo: il testamento biologico non può che avere carattere generico nelle sue disposizioni. Tenta infatti di scrutare il futuro che di per se stesso è ignoto. In genere cosa c’è scritto in questi documenti? Nel caso in cui non fossi più capace di intendere e volere in modo permanente…., nel caso in cui versassi in uno stato vegetativo…. rifiuto qualsiasi presidio vitale. Chiaro è che la situazione di incapacità descritta nel testamento biologico una volta che venisse dichiarata irreversibile (a torto dato che in medicina l’unico stato irreversibile è la morte) come potrebbe mai cambiare? Insomma dopo un mese o poco più di coma si staccherebbe la spina, eliminando così l’ipotesi descritta dalla Risoluzione di un cambiamento del quadro generale.


Seconda obiezione: se invece si decidesse di scrivere le DAT mentre si è già affetti da una patologia grave e degenerativa – in genere è in queste situazioni che si prendono carta e penna –, se non addirittura quando si versa in uno stato terminale della malattia, ci viene da chiedere come questa patologia potrebbe volgere al meglio mutando così la situazione prospettata nelle DAT?

Concludendo potremmo dire che il problema di fondo di questa Risoluzione sta nell'assegnare valore giuridico e quindi vincolante allo strumento del testamento biologico che è uno strumento fragile. Ed è uno strumento fragile perché ha la pretesa di attualizzare una volontà che non può essere attualizzata. Pretende di decidere ora per allora, quando quell’ “allora” non si è ancora compiuto. Non si può attualizzare la volontà nel futuro perché è impossibile prevedere di che male soffrirò e di quali cure avrò bisogno.

E poi una cosa è decidere della mia salute quando sono sano, un altro quando sono ammalato. Se prima da sano alcune terapie mi potevano sembrare un trattamento disumano e inutile, dopo da paziente quelle stesse cure mi potrebbero apparire come una scialuppa di salvataggio. Il testamento biologico elimina questa possibilità di aggrapparsi con speranza alla vita, perché blocca la mia libertà nel passato, la congela in un “ieri” in cui tutta la mia psicologia è completamente diversa da quella dell’oggi in cui mi trovo in un letto di ospedale. Il testamento biologico e le DAT sono la contraddizione dell’autodeterminazione la quale esige che la mia libertà si attualizzi istante per istante.

Infatti quello che ieri era detastabile – respiratori, cannule, sacche per l’alimentazione, esami clinici, interventi operatori – oggi potrebbe apparirmi come strumento prezioso per rimanere in vita. Lasciamo decidere dunque al paziente cosa fare, non alle DAT o al testamento biologico.